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Rifugio Casera di Dordona
Alpe Dordona (Val Madre), a 1930 metri
Partenza : Località Teccie (m 1250)
Arrivo : Rifugio Casera di Dordona (m 1930)
Dislivello Complessivo : m 680
Tempo di percorrenza : 2 h
Elementi di interesse :
Itinerario Sintetico :
MAPPA
Coordinate GPS :
46.070568° N 9.755408° E
GALLERIA IMMAGINI
DESCRIZIONE DELL'ESCURSIONE
Autore: M. Dei Cas
È di recente apertura il rifugio Casera di Dordona, in alta Val Madre (m. 1930), non lontano dal passo di Dordona. Il rifugio è posto fra le baite dell’alpe omonima, raggiunte dalla strada sterrata che, dal 2004, sale fino ai 2063 metri del passo, congiungendosi con la pista gemella che sale da Fòppolo, in alta Val Brembana. Si tratta, in ordine di tempo, della seconda pista transorobica, che congiunge, cioè, i due versanti delle Orobie, dopo quella più celebre e carrozzabile che scavalca il passo di San Marco, nella valle del Bitto di Albaredo. La pista sterrata che valica il passo di Dordona (il più basso ed agevole sul crinale orobico ad est di quello di San Marco) è chiusa al traffico veicolare, ma può ovviamente, essere sfruttata dagli amanti della mountain-bike, che possono utilizzarla per effettuare l’affascinante traversata Valtellina-Val Brembana.
La pista può servire anche solo per salire al rifugio e di lì fino al vicino passo, di notevole interesse per i resti delle fortificazioni militari risalenti alla prima guerra mondiale. I motivi di interesse storico non finiscono qui: la Val Madre, anche per le attività di estrazione del ferro che vi si esercitavano fu, fino al secolo XVI, è una delle più importanti del versante orobico valtellinese ed una delle più interessate dai commerci con il versante bergamasco (il paese che si trova al suo sbocco, Fusine, deve il suo nome alle fucine nelle quali il ferro veniva lavorato).
Raggiungiamo, dunque, Fusine, staccandoci dalla statale 38, sulla destra (per chi proviene da Milano) al passaggio a livello di San Pietro-Berbenno. Dal limite orientale (di sinistra) del paese parte una strada asfaltata che risale, per diversi chilometri, il fianco montuoso che sovrasta il paese. Oltrepassiamo così l’abside secentesca costruita sulle rovine dell’antichissima chiesa di S. Andrea e la bella chiesetta quattrocentesca della Madonnina (m. 552); passiamo, poi, per le baite di Ca' Manari (m. 800), prima di svoltare a destra ed effettuare un lungo traverso verso ovest, che ci introduce nella valle, sul fianco orientale. Il traverso, lungo il quale l’asfalto lascia il posto alla terra battuta, propone anche un tratto scavato nella viva roccia, sul limite di un impressionante salto: una Madonnina posta su una roccia che si affaccia sul baratro ci protegge dai pericoli di questa aspra montagna. Dopo un ultimo tratto, la strada ci porta al centro del piccolo nucleo di Valmadre (m. 1195), a 10 km da Fusine. Qui troviamo, oltre ad alcune belle baite, la graziosa chiesetta secentesca di San Matteo.
Il centro era un tempo di considerevole importanza: Feliciano Ninguarda, nella sua celebre visita pastorale in Valtellina del 1589, vi contava 178 abitanti, ridotti a poco meno di un centinaio sul finire dell’Ottocento. Vi resistettero un parroco ed una scuola fino alla prima guerra mondiale, poi il lento spopolamento. Ora regna una quiete immota. Presso la chiesetta una meridiana ci ricorda come il tempo, scorrendo implacabile, ci toglie, a poco a poco, la vita. Ciascuno reagirà a questo messaggio secondo il proprio carattere e la propria sensibilità (con qualche scongiuro o qualche meditazione): in ogni caso questo ammonimento non ci impedirà di inoltrarci nella valle, seguendo la comoda carrozzabile che procede per un buon tratto con andamento quasi pianeggiante e tocca le baite della Costa e di Grumello.
Possiamo, così, raggiungere la località Teccie (m. 1250), a circa 2 km da Valmadre, dove, in corrispondenza di un primo ponte sul torrente Madrasco, troviamo il cartello che ci vieta di proseguire con l’automobile, che possiamo lasciare nello slargo sulla sinistra, dove si trova anche l’edicola del parco regionale delle Orobie. Può darsi, tuttavia, che siamo giunti fin qui in mountain-bike, percorrendo 12 km: in questo caso la fatica si farà certamente sentire, perché in diversi tratti la strada Fusine-Valmadre propone strappi che mettono a dura prova muscoli e polmoni.
Varchiamo, ora, una prima volta il Madrasco su un ponte, portandoci dal suo lato sinistro (per noi) a quello destro. Comincia la salita del punto più angusto e uggioso della valle. Dopo un secondo ponte, torniamo sul lato sinistro della valle ed affrontiamo una serrata successione di tornanti, che ci consentono di guadagnare quota e di sormontare la soglia della valle che precede la piana delle baite Forni (m. 1452), che raggiungiamo dopo un ultimo breve tratto in discesa. Da qui individuiamo facilmente il piccolo altipiano sul quale è collocato il passo. Se avessimo qualche dubbio, basterebbe seguire la sequenza dei tralicci che lo raggiungono, una presenza che, sicuramente, un po' turba la bellezza selvaggia di questi luoghi.
Qui ci si presentano due possibilità . Se siamo a piedi, ci conviene lasciare la strada sterrata seguendo una traccia che parte dalla baita alla nostra destra e, dopo aver fiancheggiato il Madrasco, porta ad un ponticello che ci permette di oltrepassarlo e di trovare, poco oltre, una ben visibile mulattiera che sale verso sul fianco occidentale della valle, fino ad intercettare, ad una quota più alta, la pista per il passo di Dordona. Se, invece, siamo in mountain-bike dobbiamo proseguire sul lato sinistro della piana, per iniziare, poi, una serie di ampi tornanti che consente di guadagnare quota molto gradualmente. La pista si porta dal lato orientale a quello occidentale della valle, in corrispondenza dei prati e delle balze dell’alpe Dordona. Poco sotto l’ultimo tornante sinistrorso prima del lungo traverso che conduce al passo, raggiungiamo le baite dell’alpe, fra le quali spicca il nuovo edificio del rifugio, posto a 1930 metri.
Non possiamo, ovviamente, tralasciare di effettuare almeno una rapida puntata al passo, che non è lontano. L’ultima diagonale lo raggiunge, proponendo pendenze del tutto abbordabili. Se siamo giunti fin qui in mountain-bike da Fusine, abbiamo impiegato circa un'ora e mezza/due, superando un dislivello di 1780 metri (Fusine è a 285 metri s.l.m.), e ci siamo allenati per la Dordona-skybike, appuntamento del primo autunno da non perdere per gli appassionati della mountain-bike.
Proprio sul passo troviamo, oltre a qualche resto di altre fortificazioni, un cunicolo scavato nella roccia, che conduce ad un osservatorio dal quale si domina buona parte della Val Madre. Queste fortificazioni furono costruite fra il 1916 ed i primi mesi del 1917 dalla milizia territoriale, costituita in gran parte da soldati reclutati sul posto o, più raramente, su base regionale. L'area della cosiddetta "linea Cadorna", che correva su buona parte del crinale orobico, era presidiata da tre battaglioni della Milizia territoriale, dalle compagnie alpine Morbegno, Tirano, Edolo e Vestone e da quattro drappelli di Alpini sciatori della Regia Guardia di Finanza. Dopo la drammatica ritirata conseguente alla disfatta di Caporetto gran parte di questi reparti venne inviata al fronte, perché la linea Cadorna aveva assunto un'importanza strategica minore, di fronte alla minaccia prioritaria di uno sfondamento della linea del fronte che si era stabilizzata sul Piave. La Prima Guerra Mondiale è conosciuta anche come la "grande guerra", ed impegnò l'esercito del Regno d'Italia contro quello dell'Impero Austroungarico su diversi fronti. La linea del fronte passava dallo Stelvio ed interessava i gruppi dell'Ortles, del Cevedale e dell'Adamello.
Lo stato maggiore italiano temeva che la pressione austriaca potesse determinare un cedimento su questo versante, con la conseguente invasione della Valtellina. Se anche questa, poi, fosse stata persa, per l'esercito nemico si sarebbe aperta una facile porta per l'invasione delle grandi città del nord, e l'esercito italiano sarebbe stato preso, nella pianura Padana, fra due fuochi e posto in una situazione strategicamente drammatica. Il rischio era reso più concreto dalla possibilità che gli Austriaci invadessero la neutrale Svizzera, passando per i Grigioni e la Val Poschiavina. Per fronteggiarlo, il generale Cadorna decise di allestire una serie di fortificazioni sui passi orobici di più facile accesso, come quelli di Dordona, San Marco, di Verrobbio e di Stavello, al fine di evitare che l'esercito nemico li utilizzasse per invadere su più direttrici, attraverso le valli bergamasche, la pianura Padana. Tali postazioni erano costituite da trincee, polveriere, cunicoli e postazioni di osservazione e di artiglieria. Oggi se ne possono osservare i resti, i ruderi di un fronte mancato, perché, per fortuna, la guerra non giunse mai ad insanguinare il bel suolo orobico.
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