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Il Sentiero Roma

Il Sentiero Roma tra Val Codera e Val Masino
Escursionista sul Sentiero Roma (foto R. Moiola)
Tipologia : Alta Via
Difficoltà : EE (Escursionisti Esperti)

Percorso completo
Partenza : Novate Mezzola
Arrivo : Chiesa in Valmalenco
Tempo di percorrenza : 5 giorni

Percorso ridotto
Partenza : Bagni di Masino
Arrivo : Filorera
Tempo di percorrenza : 3 giorni


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Introduzione

Il sentiero Roma è forse la più classica ed affascinante delle escursioni sulle Alpi centrali, un'esperienza che non si dimentica e che diventa, per chi la vive, non solo un motivo di orgoglio, ma anche una lezione che insegna pazienza, capacità di guardare, scoprire e gustare dimensioni sottratte al tempo. Il sentiero deve essere percorso in più giornate e presenta diverse varianti.
Prima di considerarle, però, vanno fatte alcune avvertenze generali. Il sentiero non richiede una specifica preparazione alpinistica, ma non va neppure preso sotto gamba. In particolare, nella sua sezione centrale, costituita dalla terza e quarta giornata (traversate Gianetti-Allievi e Allievi-Ponti), oppure già dalla prima, se si sceglie la variante breve del Sentiero Risari (Omio-Gianetti), propone diversi passaggi attrezzati, nella salita e discesa dai passi che scavalcano costiere impervie, per cui è necessario munirsi di cordino e moschettone per assicurarsi alle corde fisse. Non è affatto prudente affrontarlo da soli, o in condizioni di allenamento non adeguate. È del tutto sconsigliabile, poi, affrontarlo con neve o nelle giornate di tempo brutto (in molti tratti non c’è un vero e proprio sentiero, ma si debbono attraversare gande fra le quali, in condizioni di tempo buono, i numerosi segnavia dettano chiaramente il percorso, ma altrettanto facilmente ci si può perdere, se la visibilità si riduce, cosa che accade assai rapidamente quando il tempo si guasta).
Non si confidi, poi, nei telefonini: restano desolatamente muti. Un’ultima minaccia, se ce ne fosse bisogno: i sassi mobili, che escursionisti poco attenti possono involontariamente lanciare sui malcapitati che si trovano più in basso: sono veri e propri proiettili, possono uccidere.
Non vorremmo aver troppo spaventato con queste avvertenze, o, peggio ancora, dissuaso dall’affrontare un’esperienza che non si dimentica. L’intento è, invece, di invitare a farla, ma a farla nelle dovute condizioni di allenamento, equipaggiamento, umiltà, prudenza e bel tempo. Il periodo migliore è quello compreso fra agosto e settembre (anche luglio è un ottimo mese, se d’inverno non è nevicato troppo). Per il resto dell’anno la neve può costituire un’insidia di non poco conto.

I rifugi del Sentiero Roma

I bivacchi del Sentiero Roma

1a Tappa - Da Novate Mezzola in Valchiavenna al Rifugio Brasca attraverso la Val Codera

Partenza : Novate Mezzola (m 316)
Arrivo : Rifugio Brasca (m 1304)
Dislivello : m 1000
Durata : 4 h e 30 min
Difficoltà : E ( Escursionistica )

Scheda

La prima tappa del sentiero Roma parte da Novate Mezzola, poco distante dall'omonino lago, ad una quota poco superiore ai 300 m. Una volta giunti a Novate il parcheggio di partenza del sentiero è raggiungibile seguendo le indicazioni per Val Codera.
La parte iniziale del sentiero sale in maniera decisa all'interno del bosco lungo un bel sentiero in molti tratti "a gradoni". Il bosco, la pendenza e la quota relativamente bassa sono complici nel rendere il tragitto molto accaldante. Si consiglia quindi di evitare i momenti più caldi della giornata e di partire alle prime ore del mattino.
Raggiunta la località Avedeè il sentiero diventa più dolce e porta in breve tempo alla località di Codera, principale centro della valle.
Si prosegue lungo il fondo valle senza particolari difficoltà, passando a fianco a piccoli centri, fino a giungere al rifugio Brasca.

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Il racconto dell'escursione

Il lago di Novate Mezzola (foto M.Dei Cas) Autore : Massimo Dei Cas

Il percorso integrale del sentiero Roma parte da Novate Mezzola, paese posto all'imbocco della Val Chiavenna, e precisamente dai 316 metri del parcheggio di Mezzolpiano (lo raggiungiamo seguendo le indicazioni per la valle, e salendo alla parte alta del paese, sulla sinistra), dal quale si stacca una bellissima mulattiera, larga un paio di metri, spesso scalinata ed incisa nel granito, che sale, nel primo tratto, in un bosco di castagni. La Val Codera è l'unica fra le valli maggiori della provincia di Sondrio a non essere accessibile alle automobili: questo le conferisce un fascino per molti aspetti unico.
Le fatiche iniziali impongono qualche sosta, anche perché il fiato non è ancora rotto. In particolare, ad una prima cappelletta ci si può volgere alle spalle per ammirare l’ottimo colpo d’occhio sul Pian di Spagna e sul lago di Novate Mezzola, cui fa da cornice, sul fondo, spostato a sinistra, il massiccio corno del monte Legnone, estrema propaggine occidentale della catena orobica. Poi alla cornice di un gentile bosco di castagni si sostituisce quella più severa della nuda roccia, Codera (foto M.Dei Cas)il granito, signore del Sentiero Roma. Un granito che, però, in questa zona l’uomo ha piegato al suo servizio: si tratta, infatti, del San Fedelino, qualità pregiata che ha dato determinato l’apertura di numerose cave. Il sentiero è qui scavato proprio nel granito, e solo così può scavalcare la forra terminale della valle, che precipita, selvaggia, per circa 300 metri, sul fondo del torrente Codera.
Più avanti, incontriamo, a quota 714, una seconda cappelletta, al culmine dello sperone roccioso che veglia il fianco settentrionale della bassa Val Codera; poi ci tocca una prima discesa, all’ombra di un bosco di betulle, olmi e castagni, fino ad un valloncello, superato il quale riprendiamo a salire, fino all'abitato di Avedee, posto a 790 metri, sul lungo dosso che scende verso sud-est dal monte omonimo (m. 1405). Dalle sue baite solitarie si vede bene Codera, il centro principale della valle. Sulla sua verticale, il pizzo di Prata (m. 2727), denominato anche “Pizzasc”, che sovrasta, sul lato opposto della catena montuosa, anche Prata Camportaccio. Ad Avedèe troviamo anche graziosa chiesetta.
Saline (foto M.Dei Cas) Ci tocca, ora, un tratto in discesa, elegantemente scalinato, con qualche tornante: scendiamo di un centinaio di metri per superare valloni dirupati, che ci impongono poi diversi saliscendi, ed anche l’attraversamento di due gallerie paramassi. Prima della seconda, superiamo un breve tratto nel quale la montagna sembra incombere proprio sul nostro capo: un grande roccione si ripiega sopra la nostra testa, come una bocca pronta a richiudersi.
Attraversata la seconda gallerie si torna a salire, si incontra una nuova cappelletta e si raggiunge il piccolo cimitero del paese. La piana di Bresciadega (foto M.Dei Cas)Una scritta sulla parete della cappelletta antistante ci invita a meditare sulla fragilità della condizione umana: “Ciò che noi fummo un dì voi siete adesso, chi si scorda di noi scorda se stesso”. No, non ci vogliamo scordare di chi riposa qui. Delle generazioni che qui, in questa valle aspra ed insieme dolce, hanno visto dipanarsi l’intero filo dell’esistenza, un’esistenza quieta, severa, anche misera, difficilmente immaginabile. L’esistenza di chi ha dovuto strappare alla valle di che sopravvivere, mentre noi, ora, strappiamo scampoli di emozioni profonde. Dentro la cappelletta, la Madonna della visione dell’Apocalisse, coronata di stelle, nell’atto di schiacciare il dragone-serpente, simbolo del male. Proseguiamo, incontrando un’altra cappelletta.
Ed ecco, infine, l'imponente campanile della chiesa di S. Giovanni Battista (m. 825), staccato dal corpo della chiesa. E, nella piazza della chiesa, uno dei due rifugi che qui si trovano, la Locanda Risorgimento (il secondo rifugio, nella parte più alta del paese, è denominato "Osteria alpina"). Siccome la prima tappa del sentiero è la meno impegnativa, vale la pena di fermarsi a gustare l'abitato, che non rimane deserto neppure nei mesi invernali e presenta, fra gli altri motivi di interesse, un caratteristico museo etnografico, nell’edificio dell’ex-oratorio.
Poi, seguendo le indicazioni, si lascia il paese e si prosegue su un sentiero che sale con molta gradualità ed impone numerosi saliscendi, descrivendo un ampio semicerchio in direzione nord-est. La testata della val Spassato con il passo Ligoncio (foto M.Dei Cas)La valle si allarga, e lo scenario cambia, diventando più aspro, anche a causa delle numerose gande che si debbono superare. Sfilano diversi gruppi di baite che parlano di una vita dura e severa: Corte, Ganda, Belèniga (m. 1037), Saline (m. 1085). Se le tappe che portano nel cuore del sentiero Roma mostrano la poesia della montagna, qui appare piuttosto la durezza ed il sudore di chi alla montagna ha dovuto strappare faticosamente di che vivere.
Sul fondo, appaiono alcune importanti cime del gruppo del Masino, che avremo modo di vedere più da vicino e da una diversa prospettiva. Al centro, tre cime poco pronunciate, quasi gemelle, le cime dell’Averta, che guardano sulla valle omonima, sul versante della Val Codera, e sulla Val Porcellizzo, cui approderemo nella seconda giornata. Alla loro destra, una cima dal profilo netto ed affilato, la cima del Barbacan (m. 2738). Alla loro sinistra il corpo poderoso del pizzo Porcellizzo (m. 3075). Torniamo a fissare lo sguardo sulla cima del Barbacan, e guardiamo alla sua sinistra: distingueremo un ripido canalone e, alla sua sommità, un passo: è il passo del Barbacan nord, che varcheremo nel momento culminante della seconda giornata.
Intanto si va avanti, si lasciano alle spalle le tristi gande, ci si immerge in una ben più poetica pineta. Dopo aver varcato il torrente Codera su un ponticello, usciamo all’aperto, Il rifugio Brasca (foto M.Dei Cas)incontrando prima le baite di Stroppadura (m. 1033) e poi la piana di Bresciàdega (m. 1214), dove si trova il rifugio omonimo, oltre ad una cappelletta e ad una chiesetta. Guardiamo ancora ai bastioni di granito che lo sguardo incontra in direzione est: la cima del Barbacan appare ora proprio al centro, mentre a destra poderosi contrafforti celano i pizzi dell’Oro.
La prima giornata riserva solo un’ultima breve ulteriore fatica, per raggiungere il rifugio Brasca. Nell'ultima sezione del percorso appare sulla destra, altrettanto improvvisa ed imponente, la selvaggia e cupa val Spassato o val Spazza (chiamata anche, in passato, valle d’Arnasca). Anche questa valle merita un'attenta osservazione. Si nota, al suo centro, l'evidente depressione sulla cui sinistra si trova il passo Ligoncio (m. 2557), incorniciato fra il Lis d'Arnasca, o pizzo dell’Oro meridionale, a sinistra (m. 2695) e la punta della Sfinge (m. 2802) ed il pizzo Ligoncio (m. 3032) a destra. Sorprende ed impressiona soprattutto la liscia parete occidentale della punta della Sfinge: una sfida, una vertigine.
Si deve tener presente che la salita al passo, che può essere servita dal bivacco Valli, rappresenta un'interessante variante al sentiero Roma, in quanto permette di scendere comodamente in valle dell'Oro e di raggiungere il rifugio Omio, dal quale poi, seguendo il sentiero Risari, Il monte Gruf, visto dal rifugio Brasca (foto M.Dei Cas)si raggiunge il rifugio Gianetti (proprio dal rifugio Omio in Valmasino parte una variante del sentiero Roma che permette di non effettuare questa prima tappa che attraversa la Val Codera). Questa traversata è denominata sentiero attrezzato Dario di Paolo, e, più precisamente, rappresenta il ramo settentrionale di tale sentiero. Si tenga però presente che la salita al passo non è priva di difficoltà: bisogna sfruttare una lunga cengia esposta, anche se protetta da corde fisse.
Ma torniamo al nostro percorso: dopo 4 ore e mezza circa di una salita condotta con buon passo (esclusi i tempi di eventuali soste), ecco infine, a 1304 metri, la meta, il rifugio Luigi Brasca, in posizione solitaria, in un’amena radura incorniciata da splendidi abeti. Qui si può pernottare, recuperando energie preziose per la seconda e più dura tappa che attente il giorno successivo, la salita al passo del Barbacan nord, il tratto più faticoso del sentiero Roma. Si tenga presente che il rifugio può essere punto di partenza anche per quella salita in val Spassato di cui si è detto sopra. Guardiamo, infine, verso l’alta valle, a nord: distingueremo il profondo intaglio della bocchetta della Teggiola (m. 2490), a sinistra dei pizzi dei Vanni. Un sogno. Una meta per una prossima escursione.



2a Tappa - Dal Rifugio Brasca in Val Codera al Rifugio Gianetti in Valmasino

Partenza : Rifugio Brasca (m 1304)
Arrivo : Rifugio Gianetti (m 2534)
Dislivello : m 1290
Durata : 6 h
Difficoltà : EE (escusionisti esperti)

Scheda

Dal rifugio Brasca, seguendo le indicazioni per il passo del Barbacan, si imbocca il sentiero che poco dietro il rifugio subito si addentra nel bosco.
Il sentiero è molto ripido e sale in uno stretto zig-zag, l'accentuata pendenza permette, con fatica, di guadagnare dislivello in breve tempo. Fuoriusciti dal bosco, intorno a quota 2000 m occorre deviare verso sinistra spostandosi sul versante opposto della valle ove si trova il gruppo di case dell'Alpe Averta. Si riprende quindi a salire, ed il tracciato assume le caratteristiche nel tipico sentiero d'alta quota (occhio agli ometti), puntando la bocchetta che sta a sinistra del Barbacan (alla destra si trova il più impervio passo dell'Oro).
Scollinato a quota 2600 m si si è passati dalla Val Codera alla Valmasino e si inizia la discesa seguendo le indicazioni per il rifugio Gianetti. Dopo essersi raccordati con il sentiero proveniente dal rifugio Omio si prosegue verso NE per più di un'ora lungo un percorso lineare, seguendo i sali scendi lungo un sentiero che spesso attraversa grossi massi e placche rocciose come è tipico in Valmasino, fino a raggiungere il rifugio Gianetti ( 2534 m ).

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Il rifugio Brasca in val Codera (foto R. Ganassa) Il rifugio Brasca in val Codera (foto R. Ganassa)
Dopo la lunga salita arrivo al passo del Barbacan (foto R. Ganassa) Dopo la lunga salita arrivo al passo del Barbacan (foto R. Ganassa)
La testata della val Porcellizzo dal passo del Barbacan (foto R. Ganassa) La testata della val Porcellizzo dal passo del Barbacan (foto R. Ganassa)
Il rifugio Gianetti in val Porcellizzo (foto R. Ganassa) Il rifugio Gianetti in val Porcellizzo (foto R. Ganassa)
Escursionisti verso il rifugio Gianetti (foto R. Ganassa) Escursionisti verso il rifugio Gianetti (foto R. Ganassa)
Pizzo Badile e Cengalo visti dal passo del Barbacan (foto R. Ganassa) Pizzo Badile e Cengalo visti dal passo del Barbacan (foto R. Ganassa)
Pizzo Badile e Rifugio Gianetti in val Porcellizzo (foto R. Ganassa) Pizzo Badile e Rifugio Gianetti in val Porcellizzo (foto R. Ganassa)

Il racconto dell'escursione

Il cartello del Sentiero Roma al'alpe Coeder. Foto M.Dei Cas

Autore : Massimo Dei Cas

La seconda giornata comincia all'insegna della fatica: ci si muove, infatti, dal rifugio Brasca, salutando lo scenario della parte occidentale della testata della Val Codera, per affrontare la faticosa salita al passo del Barbacan nord, lungo la valle dell'Averta. Poco oltre il rifugio, nell'alpe Coeder, si trova il cartello che indica la deviazione: il sentiero Roma, infatti, si stacca dal tracciato che prosegue addentrandosi nella media ed alta Val Codera e conducendo al bivacco Pedroni-Dal Prà, dal quale si può salire al passo della Trubinasca, per poi scendere al rifugio Sasc Fourà in Val Bregaglia (presso il rifugio Brasca si trova una cartina chiara che illustra bene queste possibilità).
La salita in valle dell'Averta non concede respiri (tranne quelli che uno si prende da sé in qualche sosta opportuna). Guardiamo in alto, in direzione della valle dell’Averta: le tre cime gemelle, le cime dell’Averta meridionale, centrale e settentrionale sono ben visibili. La Valle dell'Averta e la Val Codera viste dal passo Barbacan nord. Foto M. Dei CasOcchieggia anche, sornione e quasi irridente, alla loro destra, l’affilata punta della cima del Barbacan (m. 2738), alla cui destra si trova (non visibile da qui) il passo che dovremo varcare, cioè il passo Barbacan nord.
Il sentiero dapprima risale, con traccia non sempre evidente ma ben segnalata, un bosco, sul versante sinistro idrografico della valle (destro per chi sale), attraversa da destra a sinistra un torrentello, poi esce all'aperto e, superati i due rami che confluiscono nel torrente principale, si porta sul lato opposto e raggiungere, a quota 1957, le baite dell'alpe. La traccia piega poi leggermente a sinistra, facendosi sempre meno evidente e prendendo un andamento est-sud-est. Tuttavia, seguendo le abbondanti segnalazioni non è possibile sbagliare. Bisogna solo prestare attenzione a non seguire la deviazione a destra, segnalata su un masso, per il passo dell'Oro.
Risaliamo, così, passo dopo passo, la sterminata ganda dell’alta valle, in direzione dello stretto intaglio del passo. Salendo la parte terminale della valle e prestando attenzione ai sassi mobili, si giunge infine al passo, posto a 2598 metri: Caratteristico spuntone di roccia al passo del Barbacan nord. Foto M.Dei Cassono trascorse più di quattro ore (al netto delle soste) dalla partenza. Dalla sommità del canalino terminale, dove si trova neve anche a stagione avanzata, si domina l'erto e sudatissimo percorso effettuato, ma si può gettare un'occhiata anche su una parte del percorso della prima giornata, cioè sulla piana della Val Codera, nella quale si distingue Bresciadega. Sul passo troviamo, ad attenderci, un curioso spuntone di roccia. Su un masso, una freccia bidirezionale bianco-rossa ci rassicura, in caso di scarsa visibilità: è proprio questa la più agevole porta fra la Val Porcellizzo e la Val Codera.
Ritemprate le forze, ci si può ora disporre alla discesa, che può avvenire secondo due diverse direttrici. La maggior parte degli escursionisti, valicata la stretta porta del passo, scende per un canalino gemello che, ripido ed impegnativo nella prima parte, diventa ben presto assai più tranquillo. Bisogna prestare però un'estrema attenzione a non far cadere sassi mobili, perché il canalino conduce al frequentatissimo sentiero Risari (tratto Omio-Gianetti), dove eventuali sassi finirebbero per scendere ad una velocità pericolosissima. Nella seconda parte della discesa, si intercetta una traccia di sentiero che conduce al sentiero Risari, Il canalino che scende dal passo Barbacan nord. Foto M. Dei Casin prossimità di un masso che segnala, con un triangolo rosso, la deviazione per il rifugio Brasca, pochi metri prima che il sentiero, sulla destra, attacchi la costiera del Barbacan, salendo al passo del Barbacan sud-est.
Ci si deve però dirigere in direzione opposta, cioè verso nord-est, alla volta del rifugio Gianetti. Intanto si apre davanti agli occhi l'imponente testata della Val Porcellizzo, uno spettacolo davvero unico. Possiamo passare in rassegna tutte le sue cime. Si mostrano, da sinistra, le cime dell’Averta, meridionale, centrale e settentrionale (m. 2778, 2861 e 2947), il pizzo Porcellizzo (m. 3075), riconoscibile per il prolungato sperone che si incunea profondamente, scendendo verso sud-est, negli ultimi pascoli dell’alta valle, la più piccola punta Torelli (m. 3137), il celeberrimo ed inconfondibile pizzo Badile (m. 3308), la punta Sertori (m. 3288), che, alla sua destra, fa quasi da paggio, l’arrotondata ed imponente cuspide del pizzo Cèngalo (m. 3367), il più alto nella testata della valle, i più modesti pizzi Gemelli (m. 3229 e 3261) e, a chiudere la testata ad est, il pizzo del Ferro occidentale, o cima della Bondasca (m. 3267).
La testata della Val Porcellizzo vista dal passo del Barbacan nord. Foto M.Dei CasCon questo superbo spettacolo impresso nell’anima, il cammino riprende. Dopo aver superato, scendendo, uno sperone roccioso, si giunge ad un grosso masso, presso il quale il sentiero Risari si congiunge con il sentiero Roma che scende dal passo del Barbacan nord. Infatti, come già detto, esiste una seconda possibilità di valicare questo passo, quella classica e segnalata dalle carte: dal passo si può, infatti, invece di infilarsi nel canalino, si può prendere a sinistra, sfruttando inizialmente una cengia esposta (questo tratto manca di protezione, per cui la cautela deve essere massima; in caso di pioggia o scarsa visibilità, poi, i rischi si moltiplicano); si scende, così, verso nord, seguendo i triangoli rossi, a sinistra rispetto al canalino che termina al Sentiero Risari.
Questo itinerario, vuoi per la sua maggiore esposizione, vuoi perché meno visibile ed intuitivo per chi raggiunga il passo dalla valle dell’Averta, è assai meno battuto. I triangoli rossi, qui, invitano a badare non tanto all'incolumità altrui, ma alla propria. La discesa verso sinistra raggiunge poi luoghi meno pericolosi, cioè i pascoli più alti, e conduce ad un ampio terrazzo ricoperto da massi e, Verso il rifugio Gianetti. Foto M. Dei Castalora fino a stagione avanzata, da neve. Per un tratto si prosegue quasi in parallelo con il Sentiero Risari, che passa poche decine di metri più in basso, poi, piegando leggermente a destra, si scende agevolmente ad intercettarlo, in corrispondenza di un grande masso che indica la biforcazione dei sentieri, a 2530 metri circa.
A questo punto si tratta solo di proseguire in direzione del rifugio Gianetti, godendo dello scenario incomparabile dei pizzi Badile e Cengalo. Il tratto compreso fra il passo ed il rifugio è percorribile in circa un'ora e mezza. Al rifugio, posto a 2534 metri, ci si può fermare a pernottare. Si conclude così la seconda giornata di cammino.
Segnaliamo, infine, anche un'interessante variante al percorso illustrato. Se, risalendo la valle dell'Averta, si seguono le indicazioni che portano al passo dell'Oro (m. 2526), si può poi scendere agevolmente in valle dell'Oro, raggiungendo il rifugio Omio, dove è possibile pernottare, per percorrere, l'indomani, il sentiero Risari (vedi tratto Omio-Gianetti). Bisogna tenere presente che i canalini terminali che conducono al passo dell'Oro e a quello del Barbacan nord presentano spesso neve anche a stagione avanzata, per cui richiedono, per essere affrontati I pizzi Badile e Cengalo. Foto M.Dei Casin sicurezza, attrezzatura adeguata (ramponi e piccozza). Del resto si tratta di un'attrezzatura che non deve mancare nell'equipaggiamento di chi affronti il sentiero Roma.

Il rifugio Gianetti. Foto di M. Dei Cas

Variante Omio: traversata dalla Omio alla Gianetti per il Passo Barbacan che coincide con il giorno 2 per chi è partito da Novate Mezzola e sta affrontando il tratto Brasca-Gianetti

Partenza : Bagni di Masino (m 1172)
Arrivo : Rifugio Gianetti (m 2534)
Dislivello : m 1450
Durata : 4 h e 30 min
Difficoltà : EE (escusionisti esperti)

Il pizzo Ligoncio e la punta della Sfinge, visti dal sentiero per il rifugio Omio (foto M.Dei Cas)

Autore : Massimo Dei Cas

Il vero sentiero Roma infatti, percorso da ovest ad est, comincia da Novate Mezzola e dalla salita al rifugio Brasca, in val Codera. È però possibile percorrerne una versione abbreviata, che parte dal sentiero Risari, cioè dal rifugio Omio (m. 2100), in valle dell’Oro, cui si sale dai Bagni di Masino in due ore e mezza. Tratteremo qui il percorso relativa a questa variante del sentiero Roma.
In genere, chi sceglie questa variante sale in una sola giornata al rifugio Omio dai Bagni di Masino, per poi effettuare la traversata della Valle dell’Oro, attaccare il passo e scendere in Val Porcellizzo, chiudendo la giornata alla capanna Gianetti. Nella sua variante abbreviata, infatti, il Sentiero Roma viene percorso generalmente in tre giorni: nel primo si effettua il percorso Bagni Masino-Omio-Gianetti, nel secondo la traversata Gianetti-Allievi, nel terzo la traversata Gianetti-Ponti, con discesa finale dalla Valle di Preda Rossa a Filorera, appena sopra Cataeggio. Questa variante breve in tre giorni rimane, quindi, interamente entro i limiti della Val Masino.
Il rifugio Omio (foto M.Dei Cas)Vediamo, dunque, come effettuare questa classicissima traversata Bagni-Omio-Gianetti. Per raggiungere i Bagni basta percorrere interamente la statale della Val Màsino, che si imbocca staccandosi dalla ss 38 dello Stelvio all’altezza di Ardenno: oltrepassate Cataeggio e San Martino, la strada risale la bella Valle dei Bagni, terminando proprio ad un ponticello sul torrente Màsino, oltre il quale si entra nell’area dell’Hotel Bagni di Masino, dove è possibile parcheggiare a pagamento, in un ampio spiazzo, l’automobile (ed in effetti nei finesettimana estivi o nel periodo di punta della stagione non è facile trovare parcheggio altrove).
Alla nostra destra troviamo l’antico edificio dei Bagni, costruito nel 1832 a partire da un preesistente nucleo in legno che risale al secolo XVII, quando si sentì la necessità di offrire un ricovero confortevole alle numerose dame che raggiungevano l’allora isolata e remota valle per avvalersi delle proprietà curative delle acque termali. A queste ultime, infatti, non ai paesaggi alpini è legata la fama storica della valle: l’interesse alpinistico per le cime del gruppo del Màsino è assai recente (data dagli anni Sessanta dell’Ottocento), mentre fin dall’antichità questi luoghi accoglievano visitatori che potevano permettersi L'attacco della salita al passo del Barbacan sud-est (foto M.Dei Cas)il costo del viaggio e desideravano curare affezioni dell’apparato respiratorio o gastro-intestinale con l’acqua termale, che sgorga da una fonte alle spalle dei Bagni vecchi ad una temperatura costante di 38 gradi (e che aveva fama di curare anche i problemi di sterilità femminile). Il nuovo Hotel dei Bagni, unito al vecchio edificio da una passerella di legno sopraelevata, risale invece al 1883.
La valle dei Bagni è, in se stessa, piuttosto modesta, ma è circondata da tre considerevoli anfiteatri alpini. Il più modesto, sconosciuto e selvaggio è posto a sud dei Bagni, ed è la valle della Merdarola. A nord, invece, si trova la valle più ampia e famosa dell’intero gruppo del Màsino, la Val Porcellizzo. Ad ovest, infine, ecco la valle dell’Oro, l’unica che, nella sua solarità, si mostri allo sguardo dalla piana dei Bagni, anche se il severo gruppo costituito dalle punte Medaccio e Fiorelli, sulla costiera Merdarola-Ligoncio, ne nasconde la parte meridionale (cioè la val Ligoncio).
Per salire al rifugio Omio, dobbiamo incamminarci lungo il sentiero che parte nei pressi dell’edificio dei Bagni; ignorata la deviazione a destra, segnalata, per la Gianetti, superiamo, su un ponticello, il torrente, e puntiamo in direzione del bosco, dove inizia la salita, con una pendenza sempre piuttosto impegnativa. Stiamo risalendo il fianco settentrionale della valle, ed incontriamo una prima più modesta radura, per poi raggiungere, dopo circa tre quarti d’ora di cammino, il bel poggio costituito dal pian del Fago (m. 1590), L'ultimo tratto della salita al passo Barbacan sud-est (foto M.Dei Cas)che non costituisce solamente un buon punto di sosta, ma anche e soprattutto un ottimo osservatorio sulla sorella maggiore, la Val Porcellizzo, della quale si mostra da qui un suggestivo squarcio, con i pizzi Badile e Cengalo in evidenza.
Rientrati nel bosco, proseguiamo nella ripida salita fino al suo termine, a quota 1760 metri circa. Dobbiamo superare una breve fascia costituita da enormi massi, sotto uno dei quali osserviamo un modesto ricovero per uomini ed animali: si tratta dei segni più evidenti di una frana ciclopica che, nel 1963, uccise alcuni pastori e molti capi di bestiame. Il pensiero non può non andare alla durezza delle condizioni di vita cui hanno dovuto sottoporsi tutti coloro che, per secoli, hanno frequentato queste montagne non per cercare suggestioni ed emozioni, ma i mezzi necessari per un magro sostentamento.
Oltre i massi, attraversiamo un torrentello e cominciamo a risalire le ampie balze che ci separano dal rifugio. La traccia di sentiero, segnalata dagli immancabili segnavia rosso-bianco-rossi, descrive un percorso piuttosto diretto, per cui la pendenza rimane considerevole e la fatica, in questi ultimi tre quarti d’ora circa di cammino, comincia a farsi sentire. La capanna è là, sembra la si debba raggiungere in breve tempo, La Valle dell'Oro vista dal passo del Barbacan sud-est (foto M.Dei Cas)ma gli ultimi tratti di cammino sono sempre i più lunghi. Dopo circa due ore e un quarto di cammino, superati 930 metri di dislivello, possiamo finalmente ristorarci e riposarci al rifugio, che suscita un senso di amena tranquillità, anche se è intitolato a quell’Antonio Omio che perì in una tragicamente famosa ascensione alla punta Rasica del 1935.
Davanti a noi, guardando verso est, il panorama sulla valle dei Bagni è ampio e suggestivo; volgendo lo sguardo, possiamo passare in rassegna una lunga serie di cime che hanno quasi tutte la caratteristica di apparire poco pronunciate, tranquille, anche se molte di loro, viste dalle valli confinanti (soprattutto dalla val Codera) mostrano un profilo ben più severo ed arcigno. Fanno eccezione, alla nostra destra (sud-est) le punte Medaccio (m. 2350) e Fiorelli (m. 2401), il cui affilato profilo ricorda quello di una lama.
Seguendo verso destra il filo del crinale della costiera Merdarola-Ligoncio, scorgiamo, poi, l’intaglio del canalone che scende dalla bocchetta di Medaccio e che mette in comunicazione le due valli. La costiera termina con la cima di quota 2762, che appartiene al gruppo delle cime della Merdarola. Proseguendo ancora verso destra, incontriamo la cima del Calvo (o monte Spluga), nodo di confluenza, con i suoi 2967 metri, delle tre valli Ligoncio, Corde fisse nella discesa dal passo Barbacan sud-est (foto M.Dei Cas)Merdarola e di Spluga. Seguono, a sud del rifugio, il pizzo dei Ratti (m. 2919) ed il pizzo della Vedretta (m. 2907), alla cui destra è posto il passo della Vedretta meridionale. A sud-ovest del rifugio incontriamo la tozza sagoma del pizzo Ligoncio, la più alta vetta della sua testata, con i suoi 3032 metri, ed anche il nodo di confluenza delle valli Ligoncio, dei Ratti e Arnasca (o Spazza, o ancora Spassato, laterale della val Codera). Immediatamente a destra del pizzo la caratteristica punta della Sfinge (m. 2802), il cui profilo ricorda la famosa figura mitologica, e la marcata depressione sul cui lato destro è posto il passo Ligoncio.
A destra del passo, la serie dei pizzi dell’Oro, compresi fra i 2600 ed i 2700 metri, fino allo snello profilo della punta Milano (m. 2610). A nord del rifugio, infine, ecco la lunga costiera del Barbacan, che dall’omonima cima (m. 2738, dove confluiscono le valli dell’Oro, di Averta e Parcellizzo) scende fino al monte Boris (m. 2497).
Mettiamoci ora in cammino alla volta del passo del Barbacan sud-est. Partendo dalla capanna si percorre, seguendo le bandierine rosso-bianco-rosse verso nord, il sentiero Risari, lasciando alle spalle il pizzo Ligoncio, che domina la valle. Dopo un primo tratto di salita, dobbiamo superare, con un po’ di attenzione, una vallecola. Proseguendo nella salita, troviamo un grande masso, sul quale è ben visibile la scritta, con vernice rossa “P. Oro R. Brasca”. Discesa dal passo del Barbacan sud-est (foto M.Dei Cas)Si tratta dell’indicazione della deviazione, a sinistra, che sale al passo dell’Oro (m. 2574), poco frequentata ma assai interessante porta che congiunge la Valle dell’Oro alla valle dell’Averta, laterale della Val Codera. Scendendo dal passo in Valle dell’Averta, ad un certo punto ci si congiunge con il percorso della seconda tappa del Sentiero Roma, diciamo così, “edizione integrale”, e, seguendolo, si raggiunge il rifugio Brasca.
Noi, però ignorando la deviazione a sinistra e proseguiamo puntando la costiera del Barbacan. Il panorama dal sentiero verso sud ed est è molto ampio: si intravedono, sullo sfondo, i Corni Bruciati e le cime orobiche. Il punto dal quale comincia l’attacco alla costiera è facilmente riconoscibile per la presenza di un grande rombo bianco su una parete posta alla sua sinistra. La salita al passo inizia sfruttando un canalino. Nel primo tratto dobbiamo superare una placca rocciosa, in corda fissa, con un po’ di attenzione. Poi il sentiero piega leggermente a destra e sale, più tranquillamente, per balze erbose, mentre alle spalle lo scenario che si allarga. L’intaglio del passo, posto sulla costiera che scende dalla cima del Barbacan al monte Boris, è, questo versante, poco evidente; il sentiero, però, lo raggiunge facilmente, dopo aver piegato a destra. I segnavia La testata della Val Porcellizzo vista nella discesa dal passo Barbacan sud-est (foto M.Dei Cas)sono quelli giallo-rossi, che indicano il sentiero Risari.
Il passo, a 2610 metri, è uno stretto intaglio vegliato da uno speronino roccioso, sul quale è segnata una freccia giallo-rossa, vicino ad una targa con una Madonnina. Dal passo, volgendo indietro lo sguardo, si può scorgere la parte superiore della liscia parete ovest del pizzo Ligoncio (m. 3032). Davanti agli occhi si apre invece l’imponente anfiteatro della Val Porcellizzo e della sua granitica testata. Oltre la Val Porcellizzo appaiono anche i Pizzi del Ferro, testata della valle omonima. Si tratta però, ora, di lasciare il passo alle spalle e scendere.
Su questo versante il sentiero richiede molta più attenzione, perché sfrutta cenge esposte, e diventa pericoloso con neve o cattivo tempo. Teniamo presente che, dopo inverni caratterizzati da abbondanti nevicate, sul versante della Val Porcellizzo si può trovare neve anche a stagione avanzata. Nell’estate del 2001, per esempio, alla fine di agosto si dovette sgomberare questo tratto del sentiero dalla neve salendo con piccozza e pala. Ad ogni buon conto, visto che sul versante della Valle dell’Oro la neve rimane assai meno, è opportuno assumere informazioni al rifugio Omio. Le corde fisse aiutano la discesa. Per la affronta per la prima volta, si tratta di una discesa niente affatto tranquilla, perché l’esposizione suscita sempre una certa impressione. La punta Torelli ed il pizzo Badile (foto M.Dei Cas)Ma ci si abitua. Quando si torna (perché rimane dentro, insopprimibile, la voglia di tornare), l’impressione è già diversa.
Alcuni punti più tranquilli, nei quali si può sostare, permettono di ammirare la costiera del Cavalcorto e, sullo sfondo, il Disgrazia ed i Corni Bruciati. È però la Val Porcellizzo ad offrire lo spettacolo più grandioso. Si mostrano, da sinistra, le cime dell’Averta, meridionale, centrale e settentrionale (m. 2778, 2861 e 2947), il pizzo Porcellizzo (m. 3075), riconoscibile per il prolungato sperone che si incunea profondamente, scendendo verso sud-est, negli ultimi pascoli dell’alta valle, la più piccola punta Torelli (m. 3137), il celeberrimo ed inconfondibile pizzo Badile (m. 3308), la punta Sertori (m. 3288), che, alla sua destra, fa quasi da paggio, l’arrotondata ed imponente cuspide del pizzo Cèngalo (m. 3367), il più alto nella testata della valle, i più modesti pizzi Gemelli (m. 3229 e 3261) e, a chiudere la testata ad est, il pizzo del Ferro occidentale, o cima della Bondasca (m. 3267). Ma non è solo questa splendida successione di cime ad incantare.
In realtà ciò che stupisce e rapisce è la perfetta sinfonia cromatica che la valle propone all’occhio commosso. Gli immensi pascoli, dal verde intenso, sembrano la compagine compatta degli archi, le macchie irregolari dei nevai, le linee sottili dei torrentelli, le nuvole sempre mutevoli in una bella giornata sembrano i fiati, ed infine le perentorie e massicce pareti di granito delle cime, che si stagliano nel cielo blu cobalto, sembrano gli ottoni.
Il rifugio Gianetti (foto M.Dei Cas)La discesa, esposta nella prima parte, diventa un po’ più tranquilla nell’ultima (ma la cautela non deve mai venir meno) e conduce in breve tempo alla base della costiera, ai piedi di un canalino che, sulla nostra sinistra, rappresenta una variante frequentata del passo del Barbacan nord. Su un masso, troveremo un triangolo rosso, una freccia e la scritta R. Brasca. Qui, infatti, si congiungono il sentiero Andrea Risari ed il più frequentata percorso che, nella seconda tappa del Sentiero Roma integrale, scende dal passo Barbacan nord. Attenzione, però: non è il caso di attardarsi in questo tratto, perché dal canalino spesso scendono, con velocità micidiale, sassi piccoli e meno piccoli, talvolta messi in movimento da escursionisti poco avveduti.
Il sentiero Risari prosegue scendendo da uno sperone roccioso e, dopo essersi congiunto, presso un grande masso, con la meno frequentata variante del sentiero Roma che scende dal passo Barbacan nord, punta verso nord-est, in direzione del già visibile rifugio Gianetti. Passiamo, poi, quasi ai piedi del pizzo Porcellizzo, che, visto da qui, non appare particolarmente elegante. Alla sua destra, lo sperone che scende verso sud dalla punta Torelli assume un profilo inconfondibile, che gli ha meritato la denominazione di “Dente della Vecchia”. Sempre elegantissimo, invece, è il pizzo Badile, che fa da cornice al rifugio Gianetti (m. 2534), dove le nostre fatiche terminano. I pizzi Badile e Cengalo (foto M.Dei Cas)Qui, ovviamente, ci si può fermare a pernottare. Se siamo partiti dal rifugio Omio, siamo in cammino da circa 2 ore e mezza, ed abbiamo superato un dislivello approssimativo di 520 metri. Se, invece, siamo saliti dai Bagni di Masino il tempo sale a circa 4 ore e mezza/5, ed il dislivello a 1450 metri.

3a Tappa - Dal Rifugio Gianetti, in Val Porcellizzo, al Rifugio Allievi, in Valle di Zocca

Partenza : Rifugio Gianetti (m 2534)
Arrivo : Rifugio Allievi (m 2385)
Dislivello : m 550
Durata : 5 h
Difficoltà : EE (escursionisti esperti)

Scheda

La terza tappa parte dal rifugio Gianetti, al cospetto degli splendidi Pizzo Badile e Cengalo, attraversando la Val Porcellizzo verso est.
Terminato il tratto pianeggiante il sentiero sale in maniera decisa verso il Passo del Camerozzo, la presenza di corde e catene caratterizza l'ultimo tratto della salita. La discesa sul lato opposto ( nella Val del Ferro ) è il tratto più tecnico di tutto il sentiero Roma, sono presenti catene fisse lungo tutta la discesa. Dapprima seguendo un canalino e poi svoltando verso sinistra il sentiero taglia in diagonale una parete verticale che rende il sentiero molto esposto. E' raccomandato l'utilizzo di attrezzatura da ferrata e la verifica delle condizioni del tracciato prima di percorrerlo, in particolare riguardo la presenza di neve.
Il sentiero prosegue con leggeri sali scendi attraverso la Val del Ferro, al centro della quale si incontra il bivacco Molteni Valsecchi ( posizionato un centinaio di metri più in basso rispetto al sentiero ).
Si affronta poi il passo Qualido che porta nell'omonima valle con un dislivello decisamente meno impegnativo rispetto al Camerozzo. Attraversata la Val Qualido si supera il passo dell'Averta senza particolare fatica. Prima di raggiunge il rifugio Allievi occorre scendere e risalire la gola, che porta al fondo valle della Val di Zocca, separando il passo dal rifugio. In alcuni tratti sono presenti delle corde.

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Il pizzo Badile dal passo Camerozzo (foto R. Ganassa) Il pizzo Badile dal passo Camerozzo (foto R. Ganassa)
Nuvole insolite sui pizzi del Ferro (foto R. Ganassa) Nuvole insolite sui pizzi del Ferro (foto R. Ganassa)
A sx la val del Ferro, a dx la val Qualido (foto R. Ganassa) A sx la val del Ferro, a dx la val Qualido (foto R. Ganassa)
Escursionista al passo dell'Averta (foto R. Ganassa) Escursionista al passo dell'Averta (foto R. Ganassa)
Sulle praterie in alta valle di Zocca (foto R. Ganassa) Sulle praterie in alta valle di Zocca (foto R. Ganassa)
Le cime della valle di Zocca (foto R. Ganassa) Le cime della valle di Zocca (foto R. Ganassa)
Il rifugio Allievi (foto R. Ganassa) Il rifugio Allievi (foto R. Ganassa)

Il racconto dell'escursione

I pizzi Badile e Cengalo (foto M.Dei Cas) Autore : Massimo Dei Cas

Lasciamo, in questa terza giornata (o seconda, se percorriamo il Sentiero Roma nella versione breve), il rifugio Gianetti, per cominciare l’entusiasmante traversata della valli Porcellizzo, del Ferro, Qualido e Zocca, che ci porterà al rifugio Allievi.
Uno sguardo allo scenario che lasciamo alle nostre spalle, prima di iniziare il cammino: guardando ad ovest, vedremo in primo piano, da destra, il monte Porcellizzo (alla cui destra si intravede il canalino che conduce al passo omonimo, a 2950 metri, dal quale si scende, con un tratto su un ripido ghiacciaietto, quindi insidioso, in alta Val Codera, effettuando una bella traversata al bivacco Pedroni-Dal Prà), le tre cime dell’Averta, lo stretto intaglio del passo Barbacan nord, seminascosto, la cima del Barbacan e la compatta costiera del Barbacan, che separa la Val Porcellizzo dalla Valle dell’Oro.
In secondo piano, a sinistra della cima del Barbacan si distingue facilmente il pizzo Ligoncio (m. 3033). Il masso spaccato sul Sentiero Roma (foto M.Dei Cas)Proseguendo verso sinistra, si distingue l’intaglio del passo della Vedretta, che congiunge la Val Ligoncio alla Val dei Ratti, il pizzo della Vedretta, il pizzo Ratti e il monte Spluga, o cima del Calvo (m. 2967), dove si incontrano gli spartiacque delle tre valli Ligoncio, dei Ratti e della Merdarola.
Il cammino riprende proseguendo sul sentiero Roma verso nord-est. Sulla testata della valle, la fisionomia del pizzo Badile gradualmente cambia e, sotto la punta Sertori, compare una curiosa e quasi buffa formazione rocciosa che sembra qualcosa come un dente di gigante. Più avanti incontriamo un’enorme placca di granito, percorsa da rivoli d’acqua, che ci nasconde quasi interamente, per un tratto, la visuale dei pizzi Badile e Cengalo. Più avanti, si incontra un masso davvero singolare: non è possibile non notarlo, perché è spaccato in due con geometrica precisione, come se qualche divinità, nel vivo di una discussione animata, vi avesse battuto sopra il suo pugno furente, oppure un fulmine lo avesse colpito nel cuore di una notte da tregenda.
Verso il passo Camerozzo (foto M.Dei Cas)Del resto, inizia qui la terra del più misterioso dei misteri, quello del mitico gigiàt, animale singolarissimo e gigantesco, dalle sembianze multiformi, mezzo caprone e mezzo stambecco, capace di varcare un’intera valle con pochi balzi, e qualche volta, dicono (ma forse è solo una maldicenza), di far un sol boccone degli escursionisti che si perdono in questo oceano di granito.
Se guardiamo, invece, questi luoghi con l’occhio della passione alpinistica, piuttosto che con quello della fantasia, non potremo non notare, a monte del masso, lo sperone roccioso che scende dallo spigolo posto a sud del pizzo Cengalo, il famoso (per gli alpinisti) spigolo Vinci. Lo scenario a nord si imprime indelebilmente nella memoria: non ci si stancherebbe mai di ammirare la bellezza dei pizzi Gemelli e della cima di Bondasca. Il panorama verso sud è altrettanto suggestivo: si vedono bene la piana dello Zoccone (in tempi assai remoti occupato da un lago che, certo, non stonerebbe in questo splendido scenario) e, sul fondo, le valli della Merdarola e dell’Oro.
Finora il percorso ci ha proposto alcuni saliscendi: dai 2534 metri del rifugio La valle del Ferro vista dal passo Camerozzo (foto M.Dei Cas)Gianetti siamo scesi una prima volta a quota 2500, per poi risalire a quota 2550 circa e ridiscendere ai 2500. Ora cominciamo a salire in direzione della massiccia costiera che separa la Val Porcellizzo da quella del Ferro. Nella parte alta essa è costituita dal massiccio spigolo che scende verso sud dal pizzo del Ferro occidentale, o cima della Bondasca, fino all’intaglio del passo del Camerozzo (m. 2765), cui dovremo salire.
La costiera prosegue verso sud proponendo la punta Camerozzo (m. 2876), riconoscibile per il suo agile profilo, le punte Paganini (m. 2815) e Moraschini (m. 2790), il monte Sione (m. 2815), al vertice della valle omonima, e la cima del Cavalcorto (m. 2763). Il sentiero supera alcune vallecole, mantenendosi, nel primo tratto, quasi pianeggiante. A nord prosegue, dietro due morene, l’imponente sinfonia del granito, che mostra, alle diverse ore del giorno, diversi colori e diverse sfumature.
Incontriamo in questo tratto, ad una quota approssimativa di 2500, quando ci troviamo più o meno sotto la verticale del grande sperone che scende verso sud-sud-ovest dai pizzi Gemelli, la deviazione, a sinistra, per il passo di Bondasca, o di Bondo (m. 3169), per il quale si accede all’omonima vedretta, scendendo, poi, al rifugio Sciora di val Bondasca, in territorio elvetico. Cima di Castello e pizzi Torrone visti dal passo Camerozzo (foto M.Dei Cas)Sul passo è posto anche il bivacco Titta Ronconi. Cominciamo, ora, la salita, seguendo un bel tracciato, fino ad uno sperone, con tratto un po’ esposto e protetto, cui si accede dopo aver salito una singolarissima scaletta costituita da grandi blocchi di granito.
I magri pascoli cedono il posto a grandi massi, fra i quali si può trovare annidato, anche a stagione avanzata, qualche nevaietto. Oltrepassato lo sperone, il sentiero piega leggermente a sinistra, poi di nuovo a destra, e si districa a fatica fra gli enormi blocchi di granito che precedono l’attacco terminale della costiera. Troviamo, qui, numerosi segnavia “storici”: si tratta delle croci di color amaranto, i primi segnavia ad essere posti qua e là, sui grandi massi, quando il sentiero, a partire dal 1928, in pieno regime fascista, venne tracciato; il riferimento storico spiega anche la sua denominazione, che rimanda ai fasti ed alle celebrazioni della grandezza di Roma.
Eccoci, alla fine, con un po’ di fatica, all’attacco della costiera. Il tratto terminale è il più impegnativo, anche se risulta agevolato dalle corde fisse e da una provvidenziale staffa. Qui l’assicurazione alle corde fisse è di rigore, soprattutto nell’ultimissimo passaggio prima di raggiungere la bocca del passo. Ho detto bocca non a caso. Il passo, ben distinguibile già dalla capanna Gianetti, Discesa dal passo Camerozzo (foto M.Dei Cas)si presenta, infatti, come uno stretto e marcato intaglio, a sinistra dell’agile punta del Camerozzo, un intaglio dalla forma singolare, che ricorda vagamente le fauci di qualche animale predatore, pronte a richiudersi sugli incauti escursionisti che osino violarlo. È soprattutto il suo lato di destra (meridionale), ricurvo, quasi ad uncino, a suscitare questa impressione.
Quando, però, alla fine lo raggiungiamo, scopriamo che le fauci non si richiudono, ma, anzi, sembrano aprirsi, o meglio, aprire uno scenario che lascia stupefatti per ampiezza e bellezza, lo scenario della valle del Ferro, della costiera Remoluzza-Arcanzo, del monte Disgrazia e dei Corni Bruciati. Ma andiamo con calma. In primo piano, sul fondo dell’ampia Valle del Ferro, la costiera che la separa dalla Val Qualido, sulla quale spicca l’arrotondato torrione Qualido (m. 2707), alla cui sinistra si trova il passo omonimo, il prossimo cui ci toccherà di salire, se sopravviveremo alla discesa dal Camerozzo. Sulla verticale del torrione, il re del Sentiero Roma, il monte Disgrazia, che, con i suoi 3678 metri, sovrasta per mole ed altezza ogni altra cima. Alla sua destra, i vassalli, cioè i Corni Bruciati, sentinelle orientali della valle di Preda Rossa. I Corni Bruciati, con la caratteristica tonalità rossastra che giustifica anche la denominazione, si intravedono, però, appena, perché nascosti dalla massiccia costiera Remoluzza-Arcanzo, che propone invece le tonalità La valle del Ferro al termine della discesa dal passo Camerozzo (foto M.Dei Cas)di grigio del granito e che separa la Val di Mello dalla Valle di Preda Rossa.
Sul limite sinistro della costiera distingueremo appena il monte Pioda, che fa da spalla al monte Disgrazia; alla sua destra la costiera prosegue con un tratto senza rilievi, sul quale è difficile individuare la bocchetta Roma, il passo che ci attende nella quarta giornata (traversata Allievi-Ponti). Poi, inizia una serie di cime che termina con la piramide regolare ed elegante del monte Arcanzo. All’orizzonte, dietro la costiera, si intravedono le più alte cime della catena orobica. Sulla parete del breve corridoio del passo troviamo anche una targa di bronzo, che reca scritto: “Dauro Contini vivi sul Sentiero Roma da lui amorevolmente curato”. Sopra la targa, a caratteri cubitali, nel caso si avesse qualche dubbio, la scritta “Passo Camerozzo”. Qui ci sentiamo, per un po’ ancora, al sicuro. Del resto il nome del passo deriva dal toponimo “càmer”, che significa luogo riparato, protetto. Per poco ancora, però.
Si deve pur scendere, e la discesa verso la Valle del Ferro si presenta difficile. Un’ultima occhiata, prima di scendere, alla Val Porcellizzo, che salutiamo: il pizzo Badile mostra, da qui, un profilo più affilato, quasi smagrito. Stiamo entrando in un nuovo regno, perché passiamo dalla Valle dei Bagni di Masino alla Val di Mello, di cui la Valle del Ferro La testata della Valle del Ferro (foto M.Dei Cas)rappresenta la prima laterale settentrionale. Bene, in cammino, ma senza fretta. La parete del pizzo Camerozzo incombe su un percorso che rappresenta il passaggio più ostico dell’intero sentiero Roma, da affrontare con cautela e calma, in assenza di neve e con attrezzatura adeguata, facendo particolare attenzione, fra l'altro, per evitare che lo zaino si incastri nei canalini più stretti. Per chi non avesse mai affrontato il passo, è consigliabile di varcarlo una prima volta in senso opposto, dalla Valle del Ferro alla Val Porcellizzo; farà meno impressione, poi, la discesa in Valle del Ferro. Non commettiamo, infine, l’imprudenza di scendere da soli, oppure quando i nevai residui moltiplicano i rischi.
Il primo tratto è una lunga discesa in diagonale verso destra (sud), su ripidi e magri pascoli, placche di granito e strette cenge, con l’ausilio delle corde fisse. Raggiungiamo, così, il punto nel quale il sentiero volge a sinistra. Si tratta anche del punto più tranquillo della discesa, per cui possiamo sostare un po’, prima di affrontare i passaggi più impegnativi. Da qui si mostra tutta la Valle del Ferro, verde, ampia, coronata dai pizzi del Ferro (vediamo quello centrale e quello orientale). Di nuovo in piedi, per l’ultimo tratto.
Il bivacco Molteni-Valsecchi (foto M.Dei Cas)La seconda parte, anch’essa in corda fissa, traccia una lunga diagonale verso sinistra, che segue una stretta cengia la quale, in alcuni punti, si riduce ad un intaglio nella parete di granito che precipita a valle. Diversi, dunque, sono i passaggi impegnativi ed esposti. Si rendono necessarie, quindi, la massima calma, attenzione e concentrazione. Grande è quindi la soddisfazione quando, toccati i primi sassi della valle del Ferro, si può guardare dal basso l’impressionante parete che scende dal passo. Il primo contatto con la Valle del Ferro è quasi sempre, in verità, sulla neve, poiché anche a stagione avanzata si può trovare un nevaio alla base della costiera.
La testata della valle è costituita dai tre pizzi del Ferro, occidentale (m. 3267), centrale (m. 3289) ed orientale (m. 3199). La valle, come già detto, è molto ampia, anche se meno della Val Porcellizzo. Fin dal primo tratto del percorso che la attraversa si può però già riconoscere chiaramente il prossimo passo, cioè il passo Qualido, a nord (sinistra) del torrione omonimo. Il Sentiero Roma prende a salire gradualmente, da una quota approssimativa di 2470 metri, fra blocchi di granito di tutte le dimensioni e macchie di pascolo poste come radi isolotti in un mare di granito. Più o meno al centro della valle, abbiamo, come chiaro riferimento visivo, il bivacco Molteni-Valsecchi (m. 2510): Salita al passo Qualido (foto M.Dei Cas)il sentiero Roma passa appena sopra, ad una quota di 2525 metri circa.
Dal bivacco, se lo si desidera, si può scendere, verso destra e su tracce di sentiero (o a vista, senza difficoltà), alla casera della valle del Ferro e di qui, piegando a sinistra e seguendo con attenzione le segnalazioni (per evitare lunghi e faticosi giri), in Val di Mello (località Ca' de Rogni). Se invece si vuol proseguire, si seguono le segnalazioni, attraversando la valle fra grandi placche granitiche, rare oasi erbose e grandi massi. Guardando alla testata della valle, riconosciamo, a destra, l’arrotondata cima del pizzo del Ferro orientale, al centro il caratteristico torrione del Ferro e, alla sua sinistra, la piccola punta del pizzo del Ferro centrale, ed infine, seminascosta sulla sinistra, la cima del pizzo del Ferro occidentale, o cima della Bondasca. Proprio sotto il pizzo del Ferro centrale si può notare una singolare formazione rocciosa, denominata, per la sua forma, “Pera del Ferro”. Se, invece, ci volgiamo in direzione opposta, cioè verso sud, potremo osservare uno scenario più morbido e verdeggiante. Al centro, in primo piano, il lungo crinale dell’alpe Granda, che separa la bassa Val Masino dalla Valtellina. Sul fondo, la catena orobica centro-occidentale, con la Val tartano e, a destra, le Valli del Bitto di Albaredo e Gerola.
Il passo Qualido (foto M.Dei Cas)La salita al passo Qualido è rapida e sfrutta un facile canalino. Anche in questo caso il lato destro della porta ha una forma sinistramente (scusate il gioco di parole) ricurva ed adunca, la l’impressione complessiva è decisamente più rassicurante. In breve il passo (m. 2647) è raggiunto, e si può gettare l’occhio su una nuova valle, la Val Qualido, dalla caratteristica placca liscia nella costiera orientale. Alle sue spalle, uno scenario assai simile a quello già osservato dal passo Camerozzo, con la costiera Remoluzza-Arcanzo, il monte Disgrazia ed i Corni Bruciati. Guardando più a sinistra, però, si mostrano nuove eleganti cime, oltre la Val Qualido: a sinistra incontra la cima di Zocca, poi la cima di Castello ed i tre pizzi Torrone. La lo scenario più affascinante è quello che si propone guardando a nord, dopo aver fatto qualche passo verso destra, sul sentierino che scende in Val di Mello: si mostrano infatti le guglie digradanti della poderosa costiera Ferro-Qualido, che scende dal pizzo del Ferro orientale.
La discesa dal passo è meno ardua rispetto a quella dal Camerozzo, ma richiede ugualmente una certa attenzione. Avviene nella prima parte verso destra (sud), su un sentierino all’inizio esposto, poi più tranquillo. Il sentiero volge quindi a sinistra (attenzione a non proseguire sulla traccia che continua a destra, salendo al ben più impegnativo passo Qualido meridionale, a sud del torrione) e scende, sfruttando una cengia esposta, nel cuore di un angusto canalino: Discesa dal passo Qualido (foto M.Dei Cas)le corde fisse sono di grande aiuto. Il percorso risale, quindi, di qualche metro, supera una sorta di porta nella roccia e lascia alle spalle il canalino. L’ultimo tratto di discesa verso sinistra taglia il fianco esposto della bassa costiera, prima di condurci ai pascoli della Val Qualido.
Il primo tratto del Sentiero Roma nella valle attraversa le propaggini del lungo canalone che scende dal pizzo del Ferro orientale, che vediamo al suo termine, lontano e defilato. Cominciamo a salire, fino alla quota approssimativa di 2570 metri, superando con attenzione una placca quasi sempre bagnata; poi, raggiunta la sommità di un dosso, il sentiero inizia a scendere. Si impone allo sguardo la grande placca liscia sulla costiera orientale della Val Qualido, la seconda laterale di destra della Val di Mello.
La traversata della Val Qualido è la più breve, per cui, al termine della discesa, si giunge in poco tempo aduna quota approssimativa di 2450 metri, ai piedi del canalino che sale al passo dell’Averta. Poco prima di imboccarlo, si incontrano le segnalazioni del sentiero che scende, verso destra, nella valle.
Se fossimo nella necessità di scendere a valle, potremmo sfruttarlo, ma con attenzione. Scendiamo portandoci gradualmente al centro della valle, Il passo dell'Averta (foto M.Dei Cas)fino a giungere in vista di un caratteristico ed inconfondibile sperone roccioso che ne divide la parte bassa in due rami. Giunto alla sella erbosa ai piedi dello sperone, proseguiamo a destra, cercando di seguire i segnavia, fino ad un sistema di roccette che presenta qualche insidia, soprattutto perché si presenta spesso bagnato. Superate con attenzione le roccette, approdiamo ad una conca erbosa, sul limite sinistro della quale troviamo il sentiero che, con un po’ ai attenzione, ci permette di scendere al fondovalle, superando anche una grande placca di granito nella quale il sentiero disegna alcuni tornanti.
Ma torniamo al racconto del Sentiero Roma. La salita del canalino che porta al passo dell’Averta è piuttosto agevole, anche se si deve fare attenzione a non far cadere sulla testa di chi sta più in basso eventuali sassi. Solo l'ultimo passaggio, un traverso a sinistra quando si è ormai prossimi al passo, richiede una certa attenzione e l'ausilio di corde fisse.
Raggiunto il passo (m. 2540), stretto intaglio sulla costiera che divide la val Qualido dalla valle di Zocca, si apre, improvvisa ed emozionante, la visione della monolitica ed imponente cima o punta di Zocca (m. 3174), alla cui sinistra si pone il torrione di Zocca (m. 3151). Difficile descrivere la sensazione di potenza suscitata da questo monte. Sembra una cattedrale, i cui poderosi pilastri di granito si protendono verso l’alto, nel trionfo terminale di guglie che giocano in un elegante ricamo terminale con la leggerezza del cielo. La cima di Zocca vista dal passo dell'Averta (foto M.Dei Cas)A destra della cima di Zocca, sfilano, altrettanto imponenti, la punta Allievi (m. 3121), la cima di Castello (m. 3392), la punta Rasica (m. 3305) e, in rapida successione, l’uno alle spalle dell’altro, i pizzi Torrone occidentale (m. 3351), centrale (m. 3290) ed orientale (m. 3333), cime legate indelebilmente alla storia dell'alpinismo. Più a destra ancora, di nuovo il monte Disgrazia ed i Corni Bruciati. Interessantissimo è anche il colpo d’occhio sulle costiere Zocca-Torrone e Torrone-Cameraccio, un’esplosione vertiginosa di salti di granito, che toglie il fiato, come in un tripudio di verticalità.
La discesa in valle di Zocca non è difficile, ma anche qui l’attenzione non deve mancare. Il percorso prosegue su un sentierino che scende verso sinistra e raggiunge un canalino che si supera con l’ausilio di corde fisse. Anche a stagione avanzata qui possiamo trovare un nevaietto residuo, che impone ulteriore attenzione. Dopo un ultimo tratto su cengia esposta (corde fisse ed una staffa risultano essenziali), sempre sulla sinistra, la discesa, che non è lunga, termina in corrispondenza di un piccolo nevaio residuo.
Il Sentiero Roma, ad una quota approssimativa di 2450 metri, percorre quindi un pianoro disseminato di grandi massi e sempre dominato dalla mole della cima di Zocca. La cima di Castello ed i pizzi Torrone visti dal passo dell'Averta (foto M.Dei Cas)I massi cedono poi il posto ad un fondo erboso più riposante, finché, superato un torrentello, si scende fino all'estrema propaggine dello spigolo di sud-est della cima di Zocca. Per superare questo sperone roccioso il sentiero affronta un tratto un po' esposto su entrambi i lati e protetto da corde fisse. Si piega poi a sinistra, scendendo ulteriormente fino ad una quota approssimativa di 2300 metri, nel cuore di un vallone che precipita nel pianone della valle di Zocca.
Poi, quando la stanchezza moltiplica ormai la fatica, riguadagniamo gradualmente quota, fino ai 2420 metri del punto nel quale il sentiero supera un torrentello, piegando a destra e raggiungendo, in leggera discesa, i rifugi Allievi e Bonacossa (2385), dopo circa 5 ore di cammino. Ed anche questa terza giornata, la più bella, probabilmente, dal punto di vista degli scenari e delle emozioni, si chiude. La notte ci sorprenderà nel cuore del rifugio.

La discesa dal passo dell'Averta (foto M.Dei Cas)

Il rifugio Allievi, rovinato da una valanga scesa nella primavera del 2001 (foto di M. Dei Cas)

4a Tappa - dall'Allievi alla Ponti per il Passo Val Torrone, il Passo di Cameraccio e la Bocchetta Roma

Partenza : Rifugio Allievi (m 2385)
Arrivo : Rifugio Ponti (m 2559)
Dislivello : m 1100
Durata : 6 h e 30 min
Difficoltà : EE (escursionisti esperti)

Scheda

La tappa inizia dal rifugio Allievi seguendo la direzione SE e con un modesto dislivello porta al passo del Torrone. Oltre il passo si scende lungo un ripido e stretto canale con l'ausilio di catene. Arrivati in fondo al canale si imbocca il sentiero erboso che scende ancora più in basso di un centinaio di metri (di dislivello) prima di iniziare la risalita.
La salita si accentua man mano che si sale e riprende dopo poco il percorso roccioso, in corrispodenza del bivacco Manzi che si incontra a metà salita.
Oltre il bivacco inizia il nevaio, una volta superato quest'ultimo si imbocca il canale finale che porta al passo del Cameraccio, sempre con l'ausilio di catene. Occorre fare molta attenzione durante la salita, specialmente se la roccia è bagnata.
Il sentiero scende sul lato della Val Cameraccio in maniera più dolce e centrale, seguite sempre i segni rossi sulle rocce. Il percorso prosegue su tratti caratterizzati dalla presenza di grandi massi e senza grandi dislivelli porta al bivacco Kima, un bivacco in muratura molto ospitale posizionato al centro della Val Cameraccio.
Si prosegue verso la Bocchetta Roma, l'ultimo passo della giornata, dapprima scendendo in un avvallamento e poi risalendo sul lato opposto, fino a quando il sentiero si ferma ai piedi di una parete rocciosa che deve essere risalita per raggiungere la bocchetta. Tenete conto che anche se di grado non elevato, quest'ultimo tratto è di arrampicata e non di trekking. E' quindi necessaria la giusta attenzione e preparazione. Sono comunque presenti catene lungo tutta la risalita.
La Bocchetta Roma è la meta che permette di arrivare nella Valle di Predarossa, al cospetto del Monte Disgrazia, per poi scendere in maniera graduale, lungo un percorso che passa sui sassi, verso il rifugio Ponti.

Per chi termina qui il sentiero si scende dal rifugio lungo la Valle di Predarossa. (vedi scheda Rifugio Ponti).

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GALLERIA IMMAGINI

La Valle di Zocca e il Rifugio Allievi (foto R. Ganassa) La Valle di Zocca e il Rifugio Allievi (foto R. Ganassa)
Escursionisti sotto il passo Torrone in val Cameraccio (foto R. Ganassa) Escursionisti sotto il passo Torrone in val Cameraccio (foto R. Ganassa)
Il canale del passo Torrone (foto R. Ganassa) Il canale del passo Torrone (foto R. Ganassa)
Nei pressi del bivacco Manzi in val Torrone (foto di R. Ganassa) Nei pressi del bivacco Manzi in val Torrone (foto di R. Ganassa)
Tramonto dal bivacco Manzi in val Torrone (foto R.Ganassa) Tramonto dal bivacco Manzi in val Torrone (foto R.Ganassa)
Tratto impegnativo attrezzato al passo Cameraccio (foto R. Ganassa) Tratto impegnativo attrezzato al passo Cameraccio (foto R. Ganassa)
Il bivacco Kima in val Cameraccio (foto R. Ganassa) Il bivacco Kima in val Cameraccio (foto R. Ganassa)
Il Rifugio Ponti (foto R. Ganassa) Il Rifugio Ponti (foto R. Ganassa)

Il racconto dell'escursione

Cima di Castello, punta Rasica e pizzo Torrone orientale (foto M.Dei Cas)

Autore : Massimo Dei Cas

Quarta giornata: traversata dal rifugio Allievi al rifugio Ponti. Attraverseremo altre quattro valli, quella di Zocca, la Val Torrone, la Val Cameraccio e l’alta Valle di Preda Rossa, valicando i tre passi di Val Torrone, Cameraccio e della bocchetta Roma.
Se, per qualunque motivo, dovessimo però scendere a valle, basta percorrere il ben marcato e segnalato sentiero che parte nei pressi del rifugio, scende al Pianone che dà il nome alla valle e prosegue, con un’elegante scalinatura, nelle fresche pinete della media valle, passando su un bel ponte di legno dal suo lato sinistro a quello destro e terminando sul fondo della Val di Mello.
Alle spalle del rifugio, poi, può essere interessante ricordarlo, parte una traccia di sentiero (piuttosto labile, per la verità) che sale al ben visibile passo di Zocca (m. 2749), il più agevole fra i valichi che congiungono la Val Masino al territorio svizzero. Dal passo si può scendere, poi, nell’alta valle dell’Albigna, fino al rifugio omonimo. La cima ed il passo di Zocca (foto M.Dei Cas)Chi desiderasse salire al passo, tenga presente che questo è facilmente individuabile per il ben visibile obelisco di granito che lo veglia sul suo lato destro, e che lo si raggiunge con poco più di un’ora di cammino dal rifugio.
Ma torniamo al Sentiero Roma. La prima parte della quarta tappa prevede la traversata del lato orientale dell’alta valle di Zocca, fino al passo di Val Torrone, che permette una facile discesa nella valle omonima. Si tratta di una traversata a dir poco spettacolare, per i superbi scenari che propone. Passiamo, innanzitutto, vicino alla punta Allievi (m. 3223); scorgiamo la cima di Castello, seminascosta, più a nord, a destra della cima quotata 3228 m., sul fondo dell’omonimo vallone (la più alta del gruppo del Masino, con i suoi 3392 metri), la punta Rasica (m. 3305), famosa nella storia dell’alpinismo, che deve il suo nome alla conformazione frastagliata della cima, simile ad una sega, ed infine la possente mole del pizzo Torrone occidentale (m. 3349), che si distingue per la base davvero possente e la curiosa cima, che si restringe repentinamente nell’esile punta terminale.
A sinistra della punta Allievi, invece, si può ammirare un diverso profilo della cima di Zocca (m. 3175), alla cui destra è ben visibile il già citato passo omonimo. La punta Allievi (foto M.Dei Cas)Dietro il passo si intravede appena il gruppo delle Sciore, in territorio elvetico. Di fronte a questo spettacolo, si può ben dire che se Walter Bonatti ha definito la Val Masino come l’Università dell’Alpinismo, la valle di Zocca sia un po’ come la sua aula magna.
Con qualche saliscendi, verso est, ci si avvicina al Passo di val Torrone (m. 2518), guadagnando gradualmente quota. Bello è anche il panorama alla nostra destra, cioè verso sud: si intravede, in basso, uno spicchio della Val di Mello, mentre sul fondo, incorniciata a destra dalla parte orientale della valle della Merdarola e a sinistra dalla cima degli Alli e dalla cima di Arcanzo, la Val Gerola, nelle Orobie occidentali.
Il passo è costituito da un canalino che si imbocca all'estremità di un pianoro posto sul limitare della Val di Zocca. Dal passo si può ammirare la massiccia costiera che separa le valli Torrone e Cameraccio, che, vista da qui, desta una forte impressione di verticalità. Sullo sfondo sono visibile anche la costiera Remoluzza-Arcanzo ed i Corni Bruciati. La discesa dal passo non è particolarmente difficile, ma richiede, in qualche punto, cautela, come testimoniano le corde fisse. Attenzione, anche qui, a non lasciar cadere sassi su chi si trovasse più in basso. Scendendo, passiamo a sinistra di un caratteristico corno roccioso, che è ben visibile al termine della discesa.
La discesa dal passo di Val Torrone (foto M.Dei Cas)Alla fine la base del passo è guadagnata, a circa 2300 metri, ed il sentiero, risalendo un dosso, passa molto vicino ai piedi dell’impressionante parete del picco Luigi Amedeo, una delle più difficili, dal punto di vista alpinistico, delle Alpi centrali.
Ad est (destra) del picco Luigi Amedeo lo sguardo incontra il pizzo Torrone occidentale, che anche da qui mostra la sua curiosa caratteristica: una base imponente, costituita da impressionanti lastroni di granito, sormontata da una cima di dimensioni assai ridotte, che dà l’idea del corpo di un gigante con la testa di nano. A destra è ben visibile anche il caratteristico avamposto conico quotato 2951 metri. Una cima secondaria, senza nome, che tuttavia ha la singolare caratteristica di rubare interamente la scena al pizzo Torrone occidentale quando si guarda la testata da quote inferiori. Più a destra ancora, distinguiamo la punta Ferrario (m. 3258), avamposto roccioso che, a sua volta, nell’intera valle ruba la scena al pizzo Torrone centrale (m. 3290). La testata della valle è chiusa dal pizzo Torrone orientale (m. 3333), alla cui sinistra si distingue il caratteristico obelisco roccioso di una quarantina di metri detto Ago del Torrone o Ago di Cleopatra, mentre alla sua destra è ben visibile il passo Cameraccio. Questa testata rappresenta una delle immagini che si imprimono con maggiore forza nel cLa testata della Val Torrone (foto M.Dei Cas)uore di quanti percorrono il sentiero Roma.
Dopo un tratto pianeggiante, il sentiero riprende a salire, sul filo di un dosso erboso, fino a raggiungere, a quota 2300 metri circa, la deviazione che permette di scendere nella valle, verso destra, fino alla Val di Mello. Se si sceglie, per qualsiasi motivo, la discesa, si tenga presente che è necessario seguire i segnavia, tendendo con gradualità verso destra, fino alla casera Torrone (m. 1996). La discesa prosegue, ripida, nel cuore ombroso della media valle, e conduce alla fine sul fondo della Val di Mello.
Se si prosegue sul sentiero Roma, invece, si comincia a salire, su un ampio dosso che accoglie gli ultimi magri pascoli, guadagnando rapidamente quota. Davanti agli occhi, in primo piano, il cono della punta Ferrario, alla cui sinistra spicca una curiosissima formazione rocciosa, che sembra un cono minora troncato. Alla sua destra, invece, l’ago del Torrone ed il pizzo Torrone orientale, con il suo caratteristico doppio salto. In realtà sono diverse, le punte minori che si possono scorgere, in una sorta di selva di cime che si susseguono in rapida successione. Per esempio, fra i pizzi Torrone occidentale e centrale si trovano, da sinistra, la punta Alessandra (m. 3263), il colle del Torrone centrale (m. 3204) e la punta melzi (m. 3287). Il bivacco Manzi-Pirotta (foto M.Dei Cas)Fra i pizzi Torrone centrale ed orientale, invece, si trova il colle del Torrone (m. 3182), oltre al già citato Ago del Torrone (m. 3224).
Si intercetta, poi, la segnalazione della deviazione per il bivacco Manzi-Pirotta (2540 m.), che si trova poco lontano (è dato, infatti, a 5 minuti di cammino, ma richiede, per essere raggiunto, qualche passo di arrampicata), sul crinale di un massiccio sperone roccioso. Se la Valle del Ferro suscita un senso di apertura e solitudine, la Val Qualido un senso di protezione materna e la valle di Zocca un senso di grandiosità, la Val Torrone ha certamente qualcosa di severo, e selvaggio e arcano. Volgendo le spalle si riesce sempre meglio a vedere, come in un gioco di quinte, la successione delle quattro costiere sulle quali sono collocati i passi già valicati.
La salita procede su un terreno un po’ più faticoso, perché il sentiero serpeggia in una morena di terricico e piccoli massi. Giungiamo così in una sorta di rande conca terminale, dove regnano il silenzio ed un’atmosfera sospesa, irreale, misteriosa. È come se fossimo alla fine del mondo. Perché non si immagina che possa esserci altro mondo oltre quelle compatte e lisce pareti di granito, grigie e giallastre. Ed invece una porta annuncia altro mondo. È il ben visibile passo Cameraccio, ai piedi del pizzo Torrone orientale, sulla sua destra.
Il passo Cameraccio (foto M.Dei Cas)Per raggiungerlo si taglia in diagonale un nevaio, che conduce proprio ai suoi piedi. Il percorso non segue il canalino franoso di destra, pericoloso per i sassi mobili, ma il sistema di placche e rocce sulla parte sinistra. La salita è agevolata anche in questo caso dalle corde fisse, perché ci sono alcuni punti impegnativi da superare, soprattutto per la scivolosità di alcune rocce. L’ultimo tratto della salita si svolge proprio a ridosso del fianco roccioso del pizzo Torrone orientale, ai piedi della suo corrugato versante meridionale. Al termine della salita, un nevaietto ci introduce ai 2950 metri del passo, il punto più alto toccato dall’intero Sentiero Roma.
Ecco che si apre la sterminata Val Cameraccio, dominata dal monte Pioda (m. 3431), dietro il quale si scorge l'impressionante parete nord del Monte Disgrazia (m. 3678). Alla nostra sinistra, in primo piano, l’enorme e tormentata parete orientale del pizzo Torrone orientale. Sul fondo, verso destra, occhieggiano invece i Corni Bruciati, con l’inconfondibile colore rossastro. La valle è davvero ampia, la più ampia, dopo la Val Porcellizzo, fra quelle toccate dal Sentiero Roma. Mentre, però, la Val Porcellizzo è ingentilita dal verde intenso dei pascoli, ed anche maggiormente frequentata per la presenza del rifugio Gianetti, qui domina la solitudine, una solitudine che quasi inquieta, o rapisce, o tutte e due le cose insieme. Il passo Cameraccio (foto M.Dei Cas)Nelle belle giornate la luce sembra rifrangersi da ogni lato in questo deserto di granito, rincorrendosi di masso in masso e circondando da ogni lato l’escursionista.
La prima parte della discesa dal passo avviene su nevaio, poi si attraversa una grande placca bagnata, che richiede attenzione. Oltrepassata la placca, se si conosce il sentiero, che nella parte alta è solo labile traccia, ma anche procedendo a vista fra facili balze erbose, si può scendere in Val Cameraccio e quindi in Val di Mello.
La discesa, però, non è facilissima. Se ci trovassimo nella necessità di scendere, teniamo il lato destro della valle, senza allontanarci troppo dalla costiera del Cameraccio. Più in basso, intorno a quota 2100, troviamo il sentiero che ci accompagna nella rimanente discesa fino al fondo della Val di Mello, di cui la Val Cameraccio costituisce il grandioso anfiteatro terminale.
Torniamo al Sentiero Roma. Raggiunta una quota approssimativa di 2750 metri, comincia una traversata, con qualche saliscendi, su terreno morenico, in direzione della morena posta al centro della valle. Raggiunta una zona caratterizzata dalla presenza di grossi massi, troviamo, su uno di questi, l’indicazione per il bivacco Odello-Grandori: alcuni segnavia guidano nella salita al passo.
Il bivacco Kima (foto M.Dei Cas)Ignorata la deviazione, proseguiamo scendendo lungo una caratteristica grande placca, raggiungendo la parte alta della morena. Qui ci attende l’ultimo nato nella famiglia dei rifugi e bivacchi di Val Masino, il recentissimo bivacco Kima, a 2700, inaugurato nell’agosto del 2004, in occasione della celebre corsa in alta quota denominata, appunto, Trofeo Kima.
Ottima idea, tenuto conto che un punto d’appoggio posto proprio al centro di questa valle sterminata e solitaria è quando mai opportuno: farsi cogliere dal maltempo qui, infatti, è una disavventura che si può pagare assai cara. Fermiamoci qui, dunque, ad osservare la testata della valle, costituita, da sinistra, dal pizzo Torrone orientale (m. 3333, inconfondibile per la forma a punta di lancia con la quale si stacca nettamente dal profilo delle altre cime), dal monte Sissone (m. 3331), dalla punta Baroni o cima settentrionale di Chiareggio (m. 3203), dalle cime centrale e meridionale di Chiareggio (m. 3107 e 3093) e dal monte Pioda (m. 3431), che ruba interamente la scena al monte Disgrazia. Fra il monte Sissone, le cime di Chiareggio ed il monte Pioda si notano anche tre evidenti depressioni. La più settentrionale, cioè quella di sinistra, è denominata passo di Chiareggio (m. 3010), mentre quella più meridionale, cioè più a destra, è il più celebre e praticabile passo di Mello (m. 2992), sul quale è posto il bivacco Odello-Grandori.
Microlaghetto e monte Pioda (foto M.Dei Cas)Salire al passo dalla Val Cameraccio non è agevole, perché l’ultimo tratto presenta passaggi esposti e non protetti, e non ci sono segnavia che indichino il percorso migliore per attaccare il fronte roccioso che precede il passo. La discesa in Val Sissone è altrettanto difficile, per cui richiede attrezzatura adeguata e consolidata esperienza. Merita un'attenta osservazione anche la lunga e compatta costiera Remoluzza-Arcanzo, che separa la Val Cameraccio dalla Valle di Preda Rossa, e sulla quale si colloca la bocchetta Roma. Vi si individuano, da sinistra, il pizzo della Remoluzza (m. 2814), il pizzo di Averta (m. 2853), il pizzo Vicima (m. 2687) e la cima d’Arcanzo (m. 2715). Altrettanto interessante, anche se più ridotta, è la costiera che si va delineando alle nostre spalle, cioè la costiera del Cameraccio: vi si distinguono, proseguendo a sinistra dal passo Cameraccio, la punta Cameraccio (m. 3026), le torri settentrionale, centrale e meridionale di Cameraccio (m. 2950, 2796 e 2838), la torre di Re Alberto (m. 2627) e la punta meridionale del Cameraccio (m. 2741).
Riprendiamo, poi, il cammino, scendendo per un breve tratto la morena e piegando a sinistra quando i segnavia, che nell’intera valle sono abbondanti, lo segnalano. Scendiamo, così, ad una nuova e faticosa fascia di grandi massi, passando leggermente a valle di un microlaghetto alimentato dal piccolo ghiacciaio che si annida fra le pieghe del versante meridionale del monte Pioda. Si tratta solo di una pozza un po' più grande, direte; ma, considerato che è l'unico specchio d'acqua che si incontra lungo l'intera traversata del Sentiero Roma, merita anch'essa la giusta considerazione. Questo tratto è piuttosto faticoso, perché ci dobbiamo districare con attenzione fra massi piuttosto grandi. Salita alla bocchetta Roma (foto M.Dei Cas)La stanchezza si fa sentire, ma non dobbiamo perdere la concentrazione, perché qui scivolare e farsi male è facile, se non si è attenti. Riprendiamo, poi, a salire, lungo il filo di una grande morena, raggiungendo una nuova fascia di massi.
Superato un tratto pianeggiante, ci avviciniamo ad un primo nevaietto, oltre il quale dobbiamo risalire una fascia di sfasciumi e placche, prima dell’ultimo nevaietto che precede l’attacco della costiera Remoulzza-Arcanzo. In quest’ultima parte della traversata si mostra, come un grande e possente scivolo di granito che si restringe sulla cima, il monte Pioda, elegante e possente.
Prima di raggiungere i 2898 metri della bocchetta Roma dobbiamo risalire il fianco roccioso della costiera, superando passaggi non facili. Il primo tratto della salita è il più impegnativo: corde fisse e staffe sono necessarie per sormontare alcune grandi rocce. Siccome siamo stanchi, ed abbiamo appena risalito un piccolo nevaio, l’attenzione deve essere raddoppiata. Poi si sale con maggiore facilità, con un primo traverso a destra, ed un secondo a sinistra. Qui la cautela deve essere rivolta ad evitare di far cadere sassi, o di riceverne in testa: è facile, infatti, farli partire, e poi diventano subito pericolosi proiettili, soprattutto per chi si trova all’attacco della costiera e, avendo la visuale coperta dai roccioni, non li vede arrivare.
Probabilmente questo è il punto nel quale si accusa la maggiore stanchezza durante l’intero Sentiero Roma, La Val Cameraccio vista dalla bocchetta Roma (foto M.Dei Cas)perché, una volta raggiunta la bocchetta Roma, avremo superato un dislivello in altezza approssimativo di 1100 metri, camminando sempre in alta quota, il che, data la minore concentrazione di ossigeno, aumenta lo sforzo. Questi richiami alla cautela, dunque, hanno una loro ragion d’essere. L’ultimo passaggio, anch’esso servito da corde fisse, richiede attenzione, ma alla fine siamo alla bocchetta, presidiata da un grande ometto, ben visibile anche a distanza.
La bocchetta è panoramicissima. Ad ovest sfilano tutte le valli percorse dal sentiero, ad eccezione della Val Porcellizzo, che resta nascosta dietro quella del Ferro: da sinistra abbiamo la valle dell’Oro, quella del Ferro, la Val Qualido, la Valle di Zocca, un piccolo scorcio della bassa Val Torrone e lo scenario immenso della Val Cameraccio.
A nord, in primo piano, il monte Disgrazia, separato dal monte Pioda dalla sella di Pioda. Ad est la corrugata costiera che separa la Valle di Preda Rossa dalla Val Airale (questo è il nome dell’alta Val Torreggio, in Valmalenco), sulla quale si trovano, da sinistra, la cima di Corna Rossa (m. 3180), il passo di Corna Rossa (m. 2836), che dovremo superare per completare il Sentiero Roma, ed i Corni Bruciati (m. 3097 e 3114), più volte evocati, ed ora presenti, come protagonisti, per la gioia dei nostri occhi.
I Corni Bruciati visti dalla bocchetta Roma (foto M.Dei Cas)A sud-est si apre l’alta Valle di Preda Rossa, dove si trova la meta finale, il rifugio Ponti. Sul fondo, il fresco scenario della Val Gerola. Siamo su un confine. Un confine cromatico e geologico. Abbiamo lasciato il cosiddetto Plutone del Masino, vale a dire il regno del granito dalle mille sfumature di grigio, di cui la Val Cameraccio costituisce l’ultima apoteosi, ed entriamo in un nuovo regno, in cui, non fatichiamo a notarlo, la tonalità dominante è il rosso. La denominazione stessa della Valle nella quale scendiamo, “Preda Rossa”, significa, appunto, “pietra rossa”. Il colosso che la domina, il monte Disgrazia, appartiene già a questo regno, così come appartengono ad esso gli altri colossi che si trovano ad oriente, nel cuore della Valmalenco.
La discesa verso il rifugio, non difficile e ben segnalata, avviene fra grandi massi, descrivendo un arco che attraversa anche due piccoli nevai, per poi perdere gradualmente quota puntando in direzione del rifugio. Anche qui, nella parte alta, la stanchezza può giocare brutti scherzi, perché ci dobbiamo muovere fra grandi massi, ed il pericolo di scivolare è sempre in agguato. Dopo 6 ore di cammino dal rifugio Allievi, eccoci, finalmente, al rifugio Ponti (m. 2559), dove possiamo pernottare prima della sesta ed ultima giornata, che prevede la traversata in Valmalenco per il passo di Corna Rossa e la discesa conclusiva a Chiesa Valmalenco o a Torre S. Maria.
Il rifugio Ponti ed il monte Disgrazia (foto M.Dei Cas)Se, però, stiamo percorrendo la terza giornata della versione più breve del sentiero, e non possiamo fermarci a dormire al rifugio, proseguiamo nella discesa sul facile sentiero segnalato, che percorre il fianco nord-occidentale (destro) dell’alta valle fra sassi e pascoli, scende ripido piegando a sinistra alla piana di quota 2113 e prosegue nella discesa, fra radi larici ed in uno scenario dominato dalla presenza imponente, sulla sinistra, dei Corni Bruciati, fino alla stupenda piana di Preda Rossa (m. 1900). Una perla, questa, un gioiello che regala le suggestioni più delicate al tramonto, quando il torrente, che indugia quieto in pigre anse, sembra voler trattenere, mesto, la luce del giorno. Poco sotto la piana giunge una strada asfaltata costruita dall’Enel quando ancora, negli anni Sessanta del secolo scorso, si progettava di utilizzarla per farne un bacino idroelettrico. La strada è oggi chiusa al transito, soprattutto perché, più in basso, ha un fondo molto sconnesso.
Essa raggiunge la bucolica piana della valle di Sasso Bisòlo (m. 1500), dove si trova anche il rifugio Scotti, sulla destra, in fondo alla piana. Poi un sentiero conduce alla località Valbiore (m. 1225), presso una grande frana, dove si può lasciare l’automobile. Il monte Disgrazia si specchia in una pozza che precede la piana di Preda Rossa (foto M.Dei Cas)Da Valbiore una carrozzabile asfaltata riporta, infine, a Filorera ed a Cataeggio.

Secondo alcuni il Sentiero Roma termina qui, ma, nel progetto originario e nella tradizione, manca un'ultima tappa, che conduce nel cuore della Valmalenco. Per conoscerla, apri la scheda della quinta tappa, che descrive per la traversata dalla Val Masino alla Valmalenco.

 

Dal Rifugio Ponti a Chiesa Valmalenco attraverso il Passo di Corna Rossa

Partenza : Rifugio Ponti (m 2559)
Arrivo : Chiesa Valmalenco (m 960)
Dislivello : m 380
Durata : 5 h
Difficoltà : EE (escursionisti esperti)

Scheda

Quest'ultima tappa, facoltativa, porta dalla Valmasino alla Valmalenco.
Partiti dal rifugio Ponti, ci si dirige verso la morena del ghiacciao e la si oltrepassa seguendo le indicazioni per rifugio Desio. Occorre guadare il torrente seguendo il percorso del sentiero oppure spostandosi in un punto migliore nel caso ci sia molta acqua.
D'ora in avanti il sentiero continua sempre su roccia e grossi massi, aumentando man mano la pendenza. Salendo sul sentiero compare lo sfasciume che rende faticoso il passo. Appena oltrepassato il passo di Cornarossa si incontra il decadente ex rifugio Desio. Si è quindi lasciata la Valmasino e ci si trova in Valmalenco.
La discesa sul lato opposto nella Val Torreggio ( laterale della Valmalenco ) si percorre seguendo le indicazioni per il rifugio Bosio. Le rocce rosse che vi circondano rendono l'idea di quale sia l'origine del nome del passo. Nel primo tratto sono presenti delle catene di ausilio alla discesa. Il percorso inizialmente caratterizzato da grandi massi diventa più semplice man mano che si scende, fino a giungere alla piana della vallata, a 2000 metri, ove si trova il rifugio Bosio.
Esistono varie vie che scendono dal rifugio, verso Chiesa Valmalenco oppure verso Torre Santa Maria. Per raggiungere Chiesa Valmalenco si percorre la via che piega in direzione NE e che rimane interamente sul versante nord della valle. Il sentiero scende molto dolce fino a Primolo, oppure direttamente a Chiesa Valmalenco nel caso si imbocchi la discesa che passa per l'Alpe Lago.

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La morena nei pressi del Rifugio Ponti (foto R. Ganassa) La morena nei pressi del Rifugio Ponti (foto R. Ganassa)
Il monte Disgrazia e alla sua destra il passo di Corna Rossa (foto R. Ganassa) Il monte Disgrazia e alla sua destra il passo di Corna Rossa (foto R. Ganassa)
Ex rifugio Desio al paso di Corna Rossa (foto R. Ganassa) Ex rifugio Desio al paso di Corna Rossa (foto R. Ganassa)
Nei pressi del rifugio Bosio (foto R. Ganassa) Nei pressi del rifugio Bosio (foto R. Ganassa)
Al rifugio Bosio (foto R. Ganassa) Al rifugio Bosio (foto R. Ganassa)
Il rifugio Bosio (foto R. Ganassa) Il rifugio Bosio (foto R. Ganassa)

Il racconto dell'escrusione

La morena centrale e il monte Disgrazia (foto M.Dei Cas) Autore : Massimo Dei Cas

L’ultima giornata del Sentiero Roma prevede il passaggio dalla Val Masino alla Valmalenco, con discesa finale a Chiesa Valmalenco o a Torre S. Maria: si compie, così, il progetto grandioso di una traversata da Novate Mezzola, alle porte di Valtellina e Valchiavenna, al cuore della Valmalenco, baricentro delle Alpi Retiche.
Dal rifugio Ponti, seguendo le abbondanti segnalazioni, si può salire al passo di Corna Rossa. Questo itinerario, nella sua prima parte, coincide con quello seguito dagli alpinisti che scalano il Disgrazia. Si attraversa il primo torrente che scende dal ghiacciaio di Preda Rossa, per poi salire sul filo della grande morena centrale che termina ai piedi del medesimo ghiacciaio. Seguendo le bandierine rosso-bianco-rosse, si scende, quindi, sul lato opposto, seguendo un sentierino e, ignorate le indicazioni per il monte Disgrazia, si raggiunge un masso sul quale è segnalato il percorso per i rifugi Desio e Bosio.
Volgendo lo sguardo alle spalle, si può godere di un buon colpo d’occhio sulla poderosa costiera Remoluzza-Arcanzo, fra Valle di Preda Rossa e Val di Mello, sulla quale sono individuabili, da nord (cioè da destra) la bocchetta Roma, il pizzo della Remoluzza (m. 2814), il pizzo di Averta (m. 2853), il pizzo Vicima (m. 2687), la cima degli Alli, o Ali (m. 2725) e la cima di Arcanzo (m. 2715). La salita al passo di Corna Rossa (foto M.Dei Cas)La discesa termina sul greto del secondo torrente che scende dal ghiacciaio e che deve essere attraversato. Il sentiero è a tratti ben visibile, ma talora ci si deve affidare alle segnalazioni.
Fra massi rosseggianti sempre più numerosi e con immagini sempre diverse del monte Disgrazia (m. 3678, alla cui sinistra si individua bene la sella di Pioda, a sua volta a destra del monte Pioda), il percorso prosegue, passando a monte della seconda morena della valle, quella orientale, e giungendo ad un grande masso, su cui un’indicazione indirizza ad un nevaio che è presente anche a stagione avanzata e che deve essere risalito. E' già visibile, in alto, la piccola depressione del passo (m. 2836), posto a sud della cima di Corna Rossa (m. 3180); il monte Disgrazia, intanto, si defila sempre più dietro la dorsale della punta di Corna Rossa.
Il nevaio va tagliato verso sinistra, o aggirato a monte, con cautela, perché, nella parte alta, è abbastanza ripido, per cui val la pena di calzare i ramponi. Raggiunta la fascia di rocce sul suo limite superiore, si inizia la salita su un fondo costituito da terriccio, sassi mobili e massi talora scivolosi. Per questo va affrontata con cautela: in un paio di punti corde fisse la rendono più sicura. Sono pochi i punti esposti, ma conviene ugualmente salire senza fretta. Poco oltre il secondo punto attrezzato con corde fisse, si raggiunge finalmente il passo, annunciato dalla punta del parafulmine Il rifugio Desio (foto M.Dei Cas)posto nei suoi pressi (e tutt’altro che superfluo: la zona, per la presenza di rocce con alto contenuto ferroso, è particolarmente bersagliata dai fulmini; lo si tenga presente e si eviti, di conseguenza, di affrontare la salita al passo in condizioni di tempo incerto).
La prima immagine che lo sguardo incontra, oltre il passo, è quella del versante destro della Val Torreggio. Volgendo lo sguardo a sinistra si vede il versante sinistro della Val Airale, prosecuzione della Val Torreggio. Più a sinistra ancora, ecco il rifugio Desio (m. 2830), chiuso perché pericolante, a seguito delle eccezionali nevicate dell’inverno 2000-2001: esso rimane oltre il crinale, per cui non è visibile per chi sale. Volgendosi ancora a sinistra si ammirano la morena centrale di Preda Rossa, parte della costiera Remoluzza-Arcanzo e, sul fondo, alcune fra le più famose cime della Val di Mello, che, durante le precedenti giornate, abbiamo imparato a conoscere bene: i pizzi del Ferro, la cima di Zocca ed i pizzi Torrone, fra i quali spicca, per la forma a punta di lancia, il pizzo Torrone orientale. Visto da qui, il rifugio Ponti non è che un piccolo punto perso fra le gande.
La Valle di Preda Rossa vista dal passo di Corna Rossa (foto M.Dei Cas)Dal passo di Corna Rossa, attraverso la Val Airale, si deve, ora, scendere in Val Torreggio, il cui fondo è dominato dai Corni Bruciati. Per farlo si seguono gli abbondanti segnavia rosso-bianco-rossi, che dettano il percorso più razionale fra un mare di massi rossi di tutte le dimensioni, in direzione sud-sud-est. Si presti attenzione a non seguire la deviazione a sinistra, anch’essa segnalata, per i laghetti di Cassandra.
In realtà potrebbe essere un’interessante variante visitare questo splendido sistema di laghetti in un vallone nascosto ai piedi del pizzo di Cassandra. In tal caso seguiamo i segnavia che ci guidano nella traversata in direzione est, che ci porta a scendere da uno sperone roccioso al più alto dei laghetti (m. 2746), nelle cui splendide acque di un blu intenso si specchia il nevaio che scende dal ghiacciaio della Cassandra. Proseguiamo, seguendo le rade indicazioni, descrivendo un arco verso destra sud-est ed ignorando, sulla sinistra, la deviazione per il passo Cassandra (m. 3097), che permette di accedere alla Vedretta della Ventina, in alta Valmalenco.
L’arco descritto ci permette di giungere in vista dei due laghetti inferiori (m. 2464). Prendendo ancora a destra scendiamo al più grande, passando a sinistra di un pronunciato torrione, quotato 2710 metri, La Val Airale vista dal passo di Corna Rossa (foto M.Dei Cas)ed a destra di una enorme ganda. In prossimità del laghetto dobbiamo superare, con una certa fatica, una fascia di grandi massi rossi (seguiamo i segnavia, per non complicarci inutilmente la vita). Poi, piegando ancora a destra, superiamo una breve porta e, sfruttando un facile canalino, raggiungiamo il pianoro quotato 2391 metri. Volgendo a sinistra e seguendo i segnavia bianco-rossi, superiamo, con cautela, un sistema di roccette e, dopo un’ultima discesa, intercettiamo il sentiero principale che dal passo di Corna Rossa scende alla piana della Val Torreggio.
Ma torniamo a questo sentiero principale. Con una discesa piuttosto monotona, questo, a quota 2560 circa, piega a sinistra, passando dalla direzione sud alla direzione sud-est. Lasciati alle spalle i grandi massi, proseguiamo la discesa su un terreno misto, fino a giungere in vista della splendida piana della Val Torreggio, dove, a 2086 metri di quota, troviamo il rifugio Bosio. La piana, nella quale il torrente Torreggio disegna qualche pigro meandro, è dominata, ad ovest, dai Corni Bruciati (settentrionale, m. 3097, e meridionale, m. 3114), che, alla fine, risultano le cime che più risaltano nell’intero Sentiero Roma: li possiamo vedere, sotto diverse angolatura, infatti, dalla Val Ligoncio e dal passo del Barbacan nord fino alla Val Torreggio, La piana della Val Torreggio ed i Corni Bruciati (foto M.Dei Cas)cioè durante tutte le giornate della traversata, esclusa la prima.
Dal rifugio Bosio, infine, inizia l’ultima parte della discesa. Possiamo scegliere di scendere a Torre S. Maria o a Chiesa Valmalenco. Nel primo caso abbiamo due possibilità. Seguendo il sentiero che dal rifugio comincia a scendere verso destra (est-sud-est), raggiungiamo l’alpe Palù (m. 1971), dalla quale iniziamo una lunga traversata sul fianco meridionale della Val Torreggio, che termina allo splendido terrazzo dell’alpe Piasci, dove si trova anche il rifugio Cometti (m. 1720). Qui giunge una carrozzabile sterrata (chiusa al transito dei veicoli non autorizzati), che scende fino a Torre.
La seconda possibilità prevede di seguire per un tratto il sentiero, segnalato, che, in direzione est, scende all’alpe lago di Chiesa, effettuando una traversata sul fianco settentrionale della Val Torreggio. Dobbiamo prestare attenzione alla nostra destra: dopo circa mezzora di cammino troviamo, in una radura, un cartello (indicazione per Torre), posto un po’ più in basso rispetto al sentiero principale, che indica la partenza di un sentiero secondario che scende in una splendida pineta (direzione sud), raggiungendo una radura e, poco oltre, il limite settentrionale dell’alpe Acquabianca (m. 1568), nel cuore della Val Torreggio, sul suo versante settentrionale. Il sentiero piega, poi, a sinistra: seguendo i Ciappanico (foto M.Dei Cas)segnavia scendiamo, quindi, all’alpe Son (m. 1364), dominata, sulla sinistra, dalla dirupata rocca di Castellaccio (m. 1777).
La successiva discesa tocca le baite di quota 1284 e termina a Ciappanìco (m. 1034), graziosa frazione di Torre S. Maria. Qui troviamo, sulla parete di un’antica casa, la scritta “Benvenuti a Ciappanico alto”, e, su un pannello arrugginito, l’indicazione “Sentiero Roma”, che serve come indicazione per coloro che intendano effettuare la traversata da est verso ovest (cosa, evidentemente, perfettamente legittima e, in diversi punti, come il passo Camerozzo, perfino più agevole, anche se la direttrice più tradizionale è quella che abbiamo raccontato, da ovest ad est). Una strada asfaltata porta, dopo 2,7 km, a Torre S. Maria.
Raccontiamo, infine, la discesa a Chiesa Valmalenco. Per effettuarla, torniamo al rifugio Bosio: imbocchiamo il sentiero per l’alpe Lago, che raggiungiamo dopo una lunga traversata sul fianco settentrionale della Val Torreggio. L’alpe Lago è posta in una splendida conca a quota 1614, che anticamente ospitava effettivamente un lago. Sul limite orientale dell’alpe troviamo una carrozzabile che scende fino ad intercettare la strada Chiesa-Primolo. Meglio, però, seguire l’antica mulattiera, che troviamo nel primo tratto della carrozzabile (se ne stacca sulla destra). Dopo una discesa nello splendido scenario di un bosco di larici, giungiamo ad intercettare la già citata strada Chiesa-Prìmolo, in corrispondenza di un tornante destrorso. Torre S. Maria (foto M.Dei Cas)Seguendo la strada, concludiamo la lunga discesa a Chiesa Valmalenco (m. 960). Chiesa in Valmalenco (foto di M. Dei CasI

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