STORIE DI ORCHI

Orchi burloni a san Rocco e Cepina (leggende)
Testi a cura di M. Dei Cas

I boschi d'inverno, regno degli orchi burloni. Foto di M.  Dei Cas Orco: nome che incute, con il solo suono, un timore ancestrale. Pochi sanno che il termine deriva da “Ungaro”: gli Ungari, infatti, soprattutto nel secolo X, con le loro scorrerie sanguinose e talora sanguinarie seminarono terrore in buona parte dell’Europa cristiana. Sembra che intorno all’anno mille abbiano effettuato incursioni anche in Valtellina. Alla loro immagine terribile è rimasta legata, nei secoli successivi, quella di un essere a metà fra l’uomo ed il mostro, che si ciba di bambini e che terrorizza gli uomini, aggirandosi nei territori prediletti, le selve ed i boschi più fitti.
Nelle leggende, però, come spesso accade, l’aspetto orrorifico si stempera, lasciando il posto a tratti diversi, anche comici e burloni, che sembrano esorcizzare gli incubi più profondi. E’ il caso dell’orco che, si racconta, amava prendersi gioco dei viandanti che passavano nei pressi della chiesetta di san Rocco di Teglio. Si trattava di un orco davvero singolare.
Innanzitutto era davvero difficile vederlo: infatti era molto alto, come un larice (una ventina di metri, diciamo), ma, nel contempo, anche estremamente sottile, più sottile di un crine di cavallo, tanto da risultare invisibile. In tal modo se ne poteva andare in giro indisturbato, studiando i tiri da giocare alle malcapitate vittime. Sì, perché ciò che più amava erano le burle: ci si divertiva tantissimo, non ne poteva fare a meno. Approfittando dei suoi poteri magici, si manifestava in diverse sembianze. Un paio di volte, raccontano, assunse l’aspetto di un asino.
Una prima volta attraversò il cammino di un contadino, che se ne scendeva da san Rocco (località a 890 metri, appena ad ovest di Teglio, che si raggiunge prendendo la strada per Prato Valentino e staccandosene quando si trova l'indicazione per San Rocco) a san Giacomo di Teglio, senza alcun mezzo di trasporto. Non gli parve vero, quindi, di vedersi di fronte quel bell’asino, che se ne stava lì, in mezzo al sentiero, come una bestia senza padrone. Così, almeno, pensò il contadino, che non esitò ad approfittarsene: gli saltò in groppa e lo incitò a muoversi verso San Giacomo. Il poveretto non sapeva sulla groppa di chi era finito! L’orco si mostrò all’inizio docile, con grande soddisfazione del contadino, ma, all’improvviso, si imbizzarrì, scartò, come un puledro selvaggio, cominciò a galoppare come un destriero impazzito, lasciando il pover’uomo esterrefatto e terrorizzato.
Avete presente le scene di un rodeo? L’asino, lanciato in una corsa folle, ed il contadino che, terreo, cercava di restare aggrappato al suo collo, rappresentavano qualcosa di molto simile. Oltretutto l’asino, forse per tener fede alla fama (meritata o meno) degli animali suoi simili, se ne andò in tutt’altra direzione rispetto a quella che portava a san Giacomo: prese, infatti, a salire, su per i boschi, verso Prato Valentino, fino alle baite della località Bollone. Qui decise di obbedire alle suppliche del suo disperato cavaliere, che lo implorava di fermarsi. Solo che lo fece tutto d’un colpo, cosicché il contadino fu sbalzato in avanti e fece un volo così grande da ritrovarsi sulla cima di un larice. E fu proprio da lì che vide qualcosa che gli svelò l’arcano: l’asino riprese il suo reale aspetto di orco, un orco che se la rideva a crepapelle per la burla giocata al poveretto.
Una seconda volta l’orco, sempre in sembianze d’asino, si mise proprio in mezzo al sentiero che un ragazzo percorreva per tornare a Teglio da una baita sui monti sovrastanti. Si mise per traverso, in modo da non lasciarlo passare, con l’aria di non avere alcuna intenzione di spostarsi. Il ragazzo attese un po’, sperando che l’asino se ne andasse, ma, visto che quello non accennava neppure a muoversi, corse a chiedere aiuto ai suoi amici. Insieme, affrontarono l’asino e lo spinsero sul bordo del sentiero, facendolo poi rotolare giù, nel declivio. Ma, sorpresa delle sorprese, l’animale non parve prenderla troppo male, anzi, mentre rotolata, rideva divertito, tanto che i ragazzi rimasero letteralmente a bocca aperta. Insomma, l’orco burlone, sia che avesse la meglio, sia che avesse la peggio nei suoi scherzi, non perdeva mai il buonumore.
Non da meno, a quanto narrano, era un alto orco, che se ne stava in un bosco presso Cepina, ed amava anche lui prendersi gioco degli ignari contadini. Un inverno, in particolare, architettò uno scherzo con i fiocchi: si divertì a rubare animali degli uni per lasciarli nella stalla degli altri. Già le famiglie vittime dello scherzo avevano motivi di attrito, vecchie ruggini, risentimenti che covavano sotto la cenere: una bella, o brutta mattina d’inverno, scoprirono che la mucca dell’uno era finita nella stalla dell’altro, al quale era sparito l’asino prezioso, ritrovato nella stalla di un terzo, al quale mancava la pecora più bella, chissà come finita nella stalla del primo. Un bel caos: poco ci mancò che i tre contadini venissero alle mani!
Accaddero, quell’inverno, altri episodi simili: oggetti di uno che finivano sull’uscio della baita di un altro, tacchini che comparivano al posto delle galline, ed altre cose del genere, che non fecero che accrescere la tensione fra gli abitanti di Cepina. Finché a qualcuno venne in mente che dietro questi fatti non poteva nascondersi la cattiveria degli uomini: erano troppo bizzarri. Ci si ricordò, allora, di una vecchia storia, la storia di un orso che si nascondeva nel bosco alle porte del paese. Gli abitanti di Cepina si misero subito alla sua ricerca, ma invano: l’orco di Cepina, come quello di san Rocco di Teglio, poteva trasformarsi in qualunque animale, e non gli era difficile sfuggire alla caccia degli uomini. Infatti non fu mai trovato, cosicché poté continuare a ridersela indisturbato di tutti gli scherzi combinati agli uomini.
Qualcuno dubitò che un orco simile fosse mai esistito, ed avanzò il sospetto che si trattasse di un’invenzione di comodo di chi veramente architettava gli scherzi. Ma i vecchi ribatterono che il capolavoro dell’orso burlone consisteva proprio nel far credere che non esisteva: ci si divertiva da matti!
Sempre a Cepina, accade, un’altra volta, un episodio che tacitò tutti gli scettici: questa volta l’orco assunse sembianze umane, perché aveva messo gli occhi su una ragazza che gli piaceva molto, una tal Marianna, carina e civetta come poche altre. Anche gli orchi, ad un certo punto, smettono di fare i buontemponi e cominciano a pensare seriamente al proprio futuro. L’orco di Cepina si trasformò, allora, in un bel giovane, che si presentò a Marianna per chiederle la mano. Come se fosse così facile! La giovane era di gusti difficili, e respinse la corte dell’orco in incognito. Questi meditò allora vendetta, ed attese il momento propizio.
Quando Marianna, che aveva trovato il ragazzo che le andava a genio, si accingeva ad unirsi con lui in matrimonio, all’orco parve giunto il momento per entrare in azione. La ragazza, insieme alle amiche, stava cucendo l’abito nuziale, quando venne a mancare il filo. Proprio quando sembrava che non ci fosse altro da fare che comperarne dell’altro, ci si accorse che un gomitolo c’era ancora, sfuggito, non si sa come, all’attenzione di tutte. Il filo era bellissimo, e splendido risultò, alla fine, il vestito che con quel filo fu terminato. Un vestito da far invidia, che la sposa indossò, orgogliosa, per avviarsi alla chiesa, dove già l’attendeva lo sposo, trepidante.
Iniziò la cerimonia, con tutti i crismi del caso: parenti commossi, prete compunto, Ave Maria cantata, note festanti dell’organo. Ma proprio quando stava per giungere il momento della solenne promessa, le cuciture del vestito nuziale cominciarono a saltare, una dopo l’altra, fra lo sconcerto generale e la costernazione della sposa. Ci fu un vero fuggi fuggi, dettato dall’imbarazzo, e la sposa restò sola, presso l’altare, in lacrime. Fu allora che udì una voce sinistra: era l’orco che se la rideva per la riuscita del feroce scherzo, e, nel contempo, tornava all’assalto per avere la mano della ragazza. Questa, però, non cedette, ed alla lunga fu lei a riuscire vincitrice. Sopravvisse allo smacco: in fondo era giovane e bella, ed avrebbe avuto modo di rifarsi. L’orco, invece, dopo il secondo rifiuto, fu preso da tale avvilimento che non ebbe più l’animo di farsi vedere in giro. Di lui, quindi, non si seppe più nulla.
Di queste storie di orchi burloni si può leggere nel volume di Cecilia Paganoni "Racconti e leggende di Valtellina e Valchiavenna", edito nel 1992.

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