LEGGENDE SULLA VAL DI LEI
Un nome che ricorda la tragedia di tre donne
Testi a cura di M. Dei Cas
Esiste,
in Valchiavenna, una valle dal nome singolare, la valle di Lei, la cui
denominazione allude ad una figura femminile. Sull’identità
di questa figura, però, le spiegazioni divergono.
Una prima storia rimanda ad uno sfondo storico assai lontano nel tempo,
cioè all’epoca della dominazione romana della Rezia. Ne
è infelice protagonista la moglie di un soldato romano, un centurione
di stanza in val Ferrera, attualmente in territorio svizzero. Costei
tradì il marito, che non la prese affatto bene e le inflisse
una punizione terribile: la rinchiuse in una caverna e la lasciò
morire lì.
Passarono circa mille anni, prima che alcuni pastori di Piuro (i pascoli
della valle di Lei, assai pregiati, sono, infatti, nel territorio di
tale comune) rinvenissero quel che restava della sventurata, sopra l’alpe
del Scengio. Come abbiano fatto a ricostruire la vicenda che aveva portato
alla tragica fine, non ci è dato sapere: la scoperta, però,
suscitò tale impressione e mosse gli animi a tali sentimenti
di pietà, che la valle, da allora, assunse il nome che doveva
ricordare lei, la donna che trovò nel cuore dei suoi monti la
propria tomba.
Esistono, però, almeno un paio di altre leggende, che ci portano
a scenari decisamente più fantastici, anche se non meno tragici.
La prima ci presenta un tempo in cui la valle godeva di un clima particolarmente
favorevole e caldo, ed era quindi particolarmente prospera. Vi
dimorava allora una principessa, che possedeva consistenti ricchezze.
Purtroppo le situazioni felici, anche nel mondo fantastico delle leggende,
non sono mai durature, ed ecco, quindi, entrare in scena un perfido
mago, che le intimò di consegnarle tutto l’oro. Inizialmente
la principessa resistette alla sua prepotenza, ma quando questi minacciò
di congelare la sua bella valle, fu presa dalla paura e cedette.
Aver donato tutto il suo oro, però, non le valse a nulla, perché
il mago si fece avanti ancora, con pretese maggiori: questa volta voleva
l’intera valle. Questa volta la principessa rispose che non avrebbe
mai acconsentito a cedere la sua bella valle. Questo rifiuto segnò
il suo destino, perché il mago la uccise. Era tanto malvagio,
che neppure volle godersi la valle conquistata con il sopruso, preferendo
godersi il gusto di un atto di malvagità gratuita: usò,
infatti, le sue arti magiche per stendervi sopra una coltre di ghiaccio.
Da allora, in memoria della sua ultima sventurata principessa, la valle
assunse l’attuale denominazione.
Una seconda leggenda spiega il nome con una vicenda per certi versi
analoga. Questa volta la protagonista è una ragazza di grande
bellezza, che abitava sul versante montuoso che scende ad oriente del
pizzo Groppera, la vetta che segna il confine sud-occidentale della
valle. La sua bellezza non sfuggì ad un malvagio stregone, che
passò un giorno nella valle, e che le chiese di sposarlo. La
ragazza oppose un netto rifiuto, anche perché, come tutti gli
esseri malvagi nell’universo delle leggende, costui era davvero
brutto. Brutto e vendicativo: non ci pensò su due volte, e trasformò
la ragazza in una grande massa di ghiaccio, in un vero e proprio ghiacciaio.
Anche in questo caso alla sventurata venne tributato l’omaggio
del ricordo nel nome della valle.
Le
due leggende prendono spunto dalla presenza, nella valle, di ghiacciai,
in particolare di quello della Ponciagna, che occupa il vallone dello
Stella, il quale, a sua volta, scende dal versante settentrionale del
pizzo Stella (m. 3163), ed il ghiacciaio della cima di Lago (m. 3083),
che presidia l’angolo di sud-est della valle. Le diverse leggende
fiorite sull’origine del suo nome testimoniano della singolarità
della valle, che, idrograficamente appartiene al territorio elvetico,
essendo tributaria del bacino del Reno, mentre politicamente appartiene
all’Italia. Un accordo italo-svizzero, però, ha riservato
alla Svizzera il diritto di sfruttamento idroelettrico delle acque della
valle. Lo sbarramento dell’enorme invaso (dalla capacità
di 197 milioni di metri cubi d’acqua) che occupa il fondovalle,
infatti, è in territorio svizzero, ed è stato realizzato
fra il 1958 ed il 1961. La valle, orientata a sud, è chiusa,
ad oriente, dalla costiera che dallo Schahorn (m. 2836) scende alla
cima di Lago (m. 3083) e ad occidente da quella che dal pizzo Motta
(m. 2835) scende ai pizzi Groppera (m. 2948) e Stella (m. 3136).
Per gli escursionisti
Alla valle si può comodamente accedere, con autoveicoli, dalla
val Ferrera, salendo da Innerferrera, in territorio svizzero. L’accesso
dal territorio italiano comporta, invece, lunghe camminate. Per accedere
da Piuro si deve sfruttare il passo di Lei (m. 2660), presidiato dal
bivacco Chiara e Walter, che sovrasta il lago dell’Acqua Fraggia.
Da Piuro al passo, però, ci sono circa 2260 metri di dislivello,
per cui la traversata in una sola giornata è impresa da camminatori
eccezionali.
Più
facile è la traversata
che sfrutta il passo dell’Angeloga (m. 2391), sopra l’alpe
omonima, che si raggiunge da Fraciscio (m. 1341) con due ore e mezza
circa di cammino. All’alpe si trova il rifugio
Chiavenna (m. 2044), in prossimità del quale partono tre
sentieri, quello sfruttato per l’ascensione al pizzo Stella, quello
che, in direzione opposta, effettua una bella e facile traversata di
mezza costa alla Motta di Madesimo (C10) e quello che sale diritto al
ripiano del lago Nero (C3).
Quest’ultimo si inerpica sull’erboso e ripido versante che
scende all’alpe dall’ultimo gradino roccioso, che la separa
dalla piana del passo di Angeloga. Riprendiamo, quindi, il cammino in
direzione nord-est, sfruttando diversi tornanti che ci portano proprio
a ridosso delle formazioni rocciose terminali. Poco prima di raggiungerle
il sentiero ci propone anche un passaggio un po’ esposto, che
va affrontato con concentrazione. Poi, ecco il corridoio che si apre
fra le rocce, e nel quale si infila un piccolo corso d’acqua:
alcuni gradini ed alcune corde fisse ci permettono di superare quest’ultimo
ostacolo, prima di uscire ad un nuovo ampio e bellissimo scenario, dominato
dal lago Nero (m. 2352).
A dispetto del nome, questo lago non ha nulla di tetro, anzi, in una
bella giornata, regala riflessi di un blu intenso. Alla sua destra,
è sempre il pizzo Stella a farla da padrone, anche se ora il
suo primato è insidiato dal pizzo Peloso (m. 2780), dal profilo,
oltre che dal nome, assai meno elegante. Percorriamo, dunque, il lato
settentrionale (di sinistra, per noi) del lago, seguendo il sentiero
per il passo di Angeloga. Raggiunto
il suo limite orientale, lasciamo per un po’ il sentiero, piegando
a destra e passando a valle di un piccolo specchio d’acqua: dopo
una breve salita su un dosso erboso, giungiamo a scovare un secondo
e più piccolo lago, il lago Caldera (m. 2369), che dal sentiero
non si vede. Questa breve digressione ci costa pochi minuti di cammino
supplementare, ma ci regala uno scorcio panoramico di grande suggestione,
che coniuga le scure acque del lago allo svelto profilo del pizzo Stella,
che occhieggia alle sue spalle.
Tornati al sentiero, lo percorriamo verso il passo, incontrando ancora
un piccolo specchio d’acqua. Il passo, a 2391 metri di quota,
non è altro che una piccola porta fra le rocce arrotondate: probabilmente
non ce ne accorgeremmo, se non vi fosse una piccola croce di legno che
lo segnala.
Oltre il passo, siamo in valle di Lei, ma la valle non appare improvvisamente,
in quanto si mostra gradualmente. Appare, innanzitutto, la sua costiera
orientale, che impressiona per il senso di solitudine suscitato dalla
mancanza di segni di insediamento umano, e cominciano a mostrarsi, alla
nostra destra, anche le eleganti cime che costituiscono la testata est
della val di Cà, prolungamento meridionale della Val di Lei.
Comincia ad intravedersi, ancora più a destra, anche il ghiacciaio
ai piedi del versante settentrionale del pizzo Stella, il già
menzionato ghiacciaio della Ponciagna.
Appena valicato il passo, ecco, qualche decina di metri sotto di noi,
un altro bel lago, il lago Ballone (m. 2321). Forse troveremo anche
qualche capo di bestiame, perché i pascoli della Val di Lei sono
particolarmente pregiati. Ben
presto incontriamo un bivio: pendendo a destra (C5) si scende facilmente
all’alpe Mottala, sul fondo della valle, non lontano dal bivacco
Pian del Nido; prendendo a sinistra, invece, si effettua una lunga
traversata che rimane sulla parte alta del versante occidentale della
valle, superando le laterali valle Caurga e valle Rebella, varcando
poi il crinale per scendere in val Sterla (dalla quale la discesa prosegue
fino alla val Scalcoggia, appena sopra Madesimo). Pochi passi su l’uno
o l’altro dei sentieri, ed ecco apparire anche il fondovalle,
con il grande lago originato dallo sbarramento artificiale.
La valle si mostra ampia, aperta, luminosa, ma il senso di solitudine
rimane: si intuisce la presenza umana, ma questa non cancella l’impressione
di un luogo remoto, sconosciuto agli uomini. Tutto ciò, unito
alla dolcezza del paesaggio, genera un fortissimo senso di pace e di
armonia, che vale interamente le tre ore e mezza approssimativamente
necessarie per giungere fin qui, superando i 950 metri circa di dislivello
in salita. Nulla sembra suggerire, dunque, la tragedia delle tre donne
che si contendono il privilegio di essere la “lei” evocata
dal nome della valle.