LA VEGIA GOSA
Mitica donna selvatica in Valle del Bitto di Albaredo ( leggenda )
Testi a cura di M. Dei Cas
Gloria della Valle del Bitto di Gerola è l’homo
salvadego, rappresentato nella “camera picta” di Sacco,
figura che esprime il mito di un’umanità originaria, che
viveva in armonia con la natura e non sentiva ancora la necessità
di consorziarsi in comunità e città.
A questa gloria risponde la valle gemella, cioè la Valle del
Bitto di Albaredo, con il corrispondente femminile, vale a dire la “vegia
gosa”, una vecchia con il gozzo, che viveva nei boschi, allo stato
selvaggio, e compariva, di quando in quando, suscitando curiosità
o paura a seconda delle versioni che la segnalavano in questo o quel
luogo della valle.
Preannunciata da un roco ansimare, legato all’età avanzata,
sbucava, imprevedibile, sul limite dei boschi, affacciandosi sui pascoli
e mostrando la sua figura trasandata. Come l’homo salvadego, aveva
una presenza insieme imponente e orrida: alta un metro ed ottanta circa,
era ricoperta di una fitta peluria e da pochi stracci, rinforzati, d’inverno,
con erba secca.
Viveva di quanto la natura offre spontaneamente, soprattutto di frutti
di bosco, e, per sua natura, non recava danno ad alcuno. Nondimeno,
era temuta, vuoi per il suo aspetto, vuoi perché, si diceva,
aveva l’inquietante abitudine di accompagnarsi ad altre figure
femminili tutt’altro che innocue, le streghe.
La val Viaga, che attraversa la via
Priula a monte di Albaredo, pare fosse particolarmente infestata
da queste streghe, ed i genitori ammonivano i bambini di attraversarla
in fretta, senza fermarsi, perché in caso contrario la vegia
gosa, insieme con le sue compagne streghe, se li sarebbero portati via.
Sulla via Priula, in corrispondenza del ponte della valle, vi è
anche una cappelletta, di fronte alla quale i viandanti dovevano sostare
per ottenere, con la preghiera, la protezione contro le forze del male.
Le streghe, e con loro la vegia gosa, se ne stavano sempre a spiare,
pronte a scagliare, con orribili strepiti, la loro maledizione su coloro
che passavano oltre senza fermarsi a pregare. Ma poteva capitare anche
di peggio, perché lo spuntone di roccia detto “corna”,
che incombe sulla cappelletta, era stato fissato, dalle streghe, al
fianco del monte con del semplice burro, perché potesse con tutta
facilità essere fatto rotolare sui viandanti che non si raccomandavano
alla Madonna ed ai Santi.
In
definitiva, la figura della vegia gosa ha subito una sorta di diffamazione,
finendo per essere assimilata a quella delle perfide streghe. Responsabili,
i molti genitori che hanno trovato comodo prospettare ai bambini disobbedienti
la sua presunta minaccia: “se non obbedisci, viene la vegia gosa
e ti porta via”…
In realtà la solitaria vecchia si aggira ancora per i boschi,
schiva e desiderosa solo di essere lasciata in pace: per lei vale quanto
l’homo salvadego dice a tutti coloro che ne visitano l’immagine
nella camera picta: faccio paura solo a chi mi offende, cioè
a chi non rispetta la mia natura, che è singolare, sì,
ma non malvagia.
Alcune testimonianze su questa figura si possono leggere nel bel volume
di Patrizio Del Nero intitolato "Albaredo e la Via di San Marco
- Storia di una comunità alpina", edito nel 2001 da Editour
- Consorzio Turistico Valli Orobiche.