IL PIAZZO DELLA NAVE
Sulla Costiera dei Cech, dove approdò l'arca di Noè
Testi a cura di M. Dei Cas
La
figura di Noè è una delle più conosciute della
Bibbia. Quando Dio volle punire l’umanità per la sua empietà,
progettò di sommergerla sotto le acque di un diluvio mai visto
prima, il famoso diluvio universale. Il solo Noè, per la sua
rettitudine, meritò di sopravvivere con la sua famiglia, perché
il genere umano non si estinguesse. Ricevette, così, l’ordine
di costruire un’arca, destinata anche ad accogliere una coppia
di ogni specie vivente, salvandola dall’estinzione.
Un’arca è qualcosa di meno di una barca: non c’è
solo una “b” in meno, ma anche l’assenza di quegli
strumenti, timone e vele, che la possono governare. Per questo Noè
potè sì salvarsi dalle acque che sommersero tutte le terre,
ma non dirigere l’arca, la cui rotta fu affidata alle mani del
Signore.
Ma dove approdò, alla fine? Perché ci fu una fine, e ad
un bel momento smise di piovere. La Bibbia non ci dice il luogo in cui
l’arca potè toccare la terraferma. Si moltiplicarono, così,
ipotesi e leggende. In terra di Valtellina il luogo più accreditato
si trova nella Costiera
dei Cech, e precisamente nei monti sopra Traona. Salendo
ai Prati di Bioggio (che si raggiungono facilmente percorrendo una carrozzabile
sterrata che parte da Mello, effettua una traversata, verso ovest, fino
alla chiesa di san Giovanni di Bioggio, si inerpica sul fianco montuoso
fino ai prati di Aragno, dove lascia il posto ad un sentiero che in
breve porta ai prati), lo vediamo bene, diritto sopra il nostro naso,
verso nord: si
tratta del piazzo della Nave, sul culmine di un dosso largo e brullo.
Per raggiungerlo, dobbiamo salire alla sommità di destra dei
prati, cercando l’indicazione per l’oratorio dei Sette Fratelli
(la sigla OSF). Il sentiero prosegue verso destra, raggiunge un rudere,
sale con ripidi tornantini e, descritto un arco, riprende la direttrice
di sinistra dalla quale raggiunge il piazzo, posto a circa 1650 metri
di altezza (la salita a piedi dai prati di Aragno richiede circa un’ora
e mezzo di cammino).
Cosa fa supporre che proprio qui si fermò l’arca? Un enorme
masso levigato, che presenta anche un anello atto ad assicurare l’ancora
dell’imbarcazione. Il masso ci accoglie proprio sulla soglia del
pianoro, o piazzo, in un’atmosfera surreale. La zona è
brulla, un po’ desolata, ma estremamente panoramica e suggestiva.
Forse ai tempi di Noè c’era ancora un bel bosco, e forse,
guardando con attenzione, potremo scorgere anche noi quei segni nella
roccia che, si dice, siano orme impresse dagli animali che scesero dall’arca.
O forse, se saremo più fortunati, in una notte d'agosto potremo
imbatterci nell'anima di Noè, che, dicono i contadini di questi
luoghi, torna a rivedere quelle cime che benedisse quando gli si presentarono
per la prima volta dopo il lungo errare nel desolante deserto d'acqua.
Se le cose andarono veramente così, molte specie animali lasciarono,
dopo essere sbarcate, questi luoghi, dove regna, ora, la solitudine,
e dove gli animali che più facilmente potremo scorgere sono le
aquile, che signoreggiano dai picchi della costiera che separa la bassa
Valtellina dalla Val dei Ratti.
Per saperne di più, si può consultare il ponderoso volume
"Storia e...storie di Traona - Terra Buona", di don Domenico
Songini, edito nel 2001 a cura di Claudio Franchetti e Massimo Mandelli.
Non possiamo esimerci, ora, dal menzonare un'antica contesa fra i Cèch
e i Maròch, cioè fra gli abitanti della costiera retica
da Dubino a Paniga e quelli dell'opposto versante orobico. Si tratta
di una rivalità di vecchia data, che coinvolge anche l'interrogativo
sul luogo in cui sarebbe approdata l'arca di Noè, e dal quale,
quindi, la nuova stirpe umana avrebbe preso origine. Al Piazzo della
Nave, vanto dei Cech, i Maroch contrappongono la loro Zòca de
la Nàaf, che si incontra sulla bella e lunga mulattiera che da
Delebio conduce all'alpe Legnone. I Cech ribattono che esistono due
prove inconfutabili del fatto che Noè, o meglio, la provvidenza
divina abbia scelto il loro versante per porre fine al lungo errare
nel deserto d'acqua.
La prima prova è costituita da un antico racconto, riportato
di generazione in generazione e rinnovato dalla testimonianza di numerosi
pastori: nelle lunghe e dolci serate d'agosto, sugli alpeggi sopra Traona,
quando il silenzio sembra riportare tutte le cose ad una mitica condizione
originale, si può scorgere un'ombra, che sembra quasi scivolare
in questo silenzio. Non
c'è dubbio: è l'ombra di Noè, che torna ancora
a visitare quei luoghi che furono a lui così cari.
La seconda prova ha un solido fondamento biblico. Sappiamo dalla Bibbia
che Noè fu l'inventore del vino, e fu anche la prima persone
che ebbe a sperimentare le conseguenze indesiderabili e desiderabili
che derivano dal consumo di questa bevanda: fu, infatti, la prima persona
della storia a prendersi una solenne sbornia, sotto lo sguardo esterefatto
dei figli, ma campò anche, con tutta probabilità grazie
agli effetti prodigiosi del vino (che, si sa, a differenza dell'acqua
non fa ruggine), fino a 950 anni, solo 10 anni meno dell'uomo in assoluto
più longevo, il famoso Matusalemme. Ebbene: è notorio,
si dice dalle parti dei Cech, che il buon vino è quello che si
produce su questo versante, mentre quello del versante opposto è
poco più che acquetta. Lo attesta anche il proverbio canzonatorio
che definisce il "vin de Cös e de Regulèe bun de lavàs
i pèe", cioè "Il vino di Cosio e Regoledo buono
per lavarsi i piedi", e
il "vin de Talamona bun de lavàs la..."
(intraducibile).
Un'ultima
notazione: esiste anche un'altra leggenda che lega, anche se indirettamente,
Noè alla Valtellina: questa, infatti, sarebbe stata ripopolata,
dopo
il diluvio universale, dai discendenti di Jubat, figlio di Jafer, a
sua volta figlio di Noè.