IL CORNO DI DOSDÈ

Storia di un'amore impossibile fra Val Grosina e Val Viola (leggenda)
Testi a cura di M. Dei Cas

Il lago Negro, ai piedi della cima di Val Viola. Foto di M.  Dei Cas Diverse leggende sono legate a cime famose del territorio della Valtellina. Fra le più gentili e romanticamente tristi vi è sicuramente quella che si riferisce a due cime collocate fra l’alta val d’Avedo, in Val Grosina, e la val Cantone di Dosdè, uno dei rami superiori della Val Viola Bormina. Si tratta della Cima Viola (m. 3374), posta ad est del passo di Dosdè, che unisce le due valli e sul quale è posto il rifugio omonimo, ed il corno di Dosdè (m. 3232), che presidia il fianco occidentale della val Cantone di Dosdè.
La leggenda racconta che un giovane di stirpe divina viveva, con i fratelli giganti, sulle più alte cime della Val Grosina, gustando, sereno, gli incantevoli scenari che questa valle offre. Ma un giorno, mentre contemplava le acque tranquille del lago Negro, vi scorse, specchiata, l’immagine di una bellissima ragazza, di cui subito si innamorò. Non fece però neppure in tempo a chiamarla, perché questa si sottrasse subito al suo sguardo: di lei rimase, nel giovane, solo il vivido ricordo dei capelli azzurri e di due dolcissimi occhi che splendevano di riflessi viola. Non si diede però per vinto: ardendo d’amore, cominciò a percorrere, con i fratelli giganti, le cime della valle, ed oltre, per cercare di ritrovare quel volto che si era impresso nel suo cuore. Alla fine, quando ormai stava per disperare, gli fu recata la notizia che la giovane si chiamava Viola ed era figlia della regina che dimorava sulla più alta cima della zona, la cima Viola, non lontano dalle cime che lui stesso aveva eletto come propria dimora. Non perse tempo, e volò dalla regina, per chiedere la mano della figlia.
La risposta che ne ricevette, però, tu un secco rifiuto: la ragazza, disse infatti la regina, appartiene solo alla montagna, e non può essere di nessun altro, pena la rovina sua e del pretendente. Il giovane, tuttavia, era troppo innamorato per accettarla, e tentò di rapire Viola. Non appena le si avvicinò, la triste profezia della regina si avverò, e Viola sembrò svanire nel nulla. Di lei restarono solo i riflessi viola nella luce della sera, lo splendore del viso nella neve della cima, il sorriso cristallino nel torrente che scende nella valle che da lei prese il nome, la Val Viola. Il giovane, a sua volta, fu letteralmente impietrito per il dolore, e si trasformò nella roccia che sormonta la cima del corno di Dosdè. Unico e muto testimone della tragedia, il lago Negro, che non ospitò più nelle sue acque il volto gentile della fanciulla. Da allora racconta questa storia a tutti coloro che si siedono, per riposare, presso la sua riva, a condizione che vi sia silenzio fuori di loro, ma, soprattutto, dentro di loro.


Per gli escursionisti

Proviamo a raggiungere il Lago Negro con un’escursione di un certo impegno, ma di grande bellezza.
La val d'Avédo, o di Vermolera, rappresenta il cuore nascosto e selvaggio della Val Grosina, ed insieme la meta di una delle più classiche escursioni fra queste montagne, quella al rifugio Dosdè (m. 2824), al passo omonimo.
Per raggiungere l'imbocco della valle dobbiamo percorrere la strada che risale la Val Grosina, superando Fusino, e lasciarla ad una deviazione a sinistra poco prima di Eita. I cartelli segnalano che stiamo percorrendo un tratto del Sentiero Italia, che però si separa dal sentiero per il rifugio alla piana dei laghetti di Tres. Siccome la strada che sale ai prati di Avedo (o Avè, m. 1670) è stretta e ripida, ci conviene, però, iniziare la salita a piedi, da una quota approssimativa di 1640 metri.
La pista, sulla quale all'asfalto si sostituisce ben presto la terra battuta, passa a monte dei prati dell'alpe, e regala diversi scorci panoramici su Eita, riconoscibile per il caratteristico campanile. Stiamo risalendo il primo dei gradini che la valle, nel suo sviluppo, propone: lo scenario, qui, è ancora quello gentile dei pascoli verdeggianti che hanno permesso, in Val Grosina, quel largo sviluppo della zootecnia per il quale essa è famosa. Superato un piccolo spiazzo che viene utilizzato da qualche audace automezzo come parcheggio, ci avviciniamo alla porta che introduce al secondo gradino. Superata la località Stabini (o Stabine, m. 1821), infatti, entriamo nella piana di Vermoléra; la pista si è fatta sentiero e, qui, si avvicina al torrente, il Roasco (o Rio) di Avedo, che, per un tratto ancora, rimane alla nostra sinistra. L'aspetto solitario della piana è mitigato dalle due baite (m. 1927), mentre sul fondo è già ben visibile il successivo gradino che ci impegnerà nella salita. Ora, però, attraversiamo un ponticello e passiamo sul lato opposto della valle, lasciando il torrente alla nostra destra. Il sentiero, ben marcato, si allontana, poi, dal torrente, che scende, alla nostra destra, da una breve gola.
La salita è, in questo tratto, abbastanza ripida, per cui si rende probabilmente necessaria qualche sosta, che ci consente di abbracciare con un colpo d'occhio il percorso effettuato dalla piana di Vermolera. Alla fine, ecco la piana dei laghetti di Tres (m. 2186): al suo ingresso, ci riportiamo a destra del torrente, che qui defluisce dal più grande dei laghetti. Lo scenario comincia a mutare, ma la piana è ancora connotata da un aspetto gentile e raccolto. Nei pressi della baita più grande, un cartello segnala che il Sentiero Italia si stacca ora da quello che sale al passo di Dosdè. Quest'ultimo piega leggermente a destra (nord-ovest), tagliando in diagonale l'ampio crinale settentrionale della piana e guadagnando quota con molta gradualità.
Alla nostra destra, intuiamo, oltre il gradino roccioso dal quale scende un ramo del torrente, la presenza di un laghetto alpino, quello di Spalmo, a 2515 metri. Noi, però, lasciamo alle spalle il crinale settentrionale e ci accingiamo ad aggirare il dosso che nasconde alla vista il segmento più alto della valle; ci accompagna qualche segnavia bianco-rosso. C'è ancora parecchia strada da fare: al termine della salita, infatti, si apre di fronte a noi il lungo pianoro che precede un nuovo e modesto gradino. Siamo ormai nel regno della solitudine: il pian del Fréc' presenta tutte le caratteristiche degli scenari di alta quota, dove i pascoli sempre più magri cedono il passo ai massi ed agli sfasciumi. La piana ha un andamento assai tranquillo, che ci permette di ammirare, sulla nostra destra, l'aspro versante sud-occidentale della più alta cima di questo gruppo montuoso, la cima Viola (m. 3374), che da qui appare come un modesto corno che chiude a sinistra il fianco del massiccio. Ancora un gradino, per quanto modesto, prima di accedere alla conca che ospita il bellissimo lago Negro (lac Négru, m. 2560), che, unito allo scenario dei corrugati contrafforti della cima Viola, regala uno dei più affascinanti scorci di alta montagna del versante retico valtellinese. Il sentiero percorre buona parte del perimetro del lago, Ci portiamo, così, sul lato suo occidentale, dal quale esso si mostra in tutta la sua ampiezza e bellezza.
Ci sono ancora un paio di gradini da risalire, prima di guadagnare il passo. Il sentiero si fa sempre più labile, per cui dobbiamo prestare molta attenzione ai segnavia, per evitare fatiche inutili nel caotico dedalo dei massi di ogni dimensione che occupano il versante che ci separa dal passo. Superato il primo breve gradino, raggiungiamo alcuni modesti specchi d'acqua, e ci accingiamo agli ultimi sforzi: portandoci sul versante sinistro del canalone, passiamo proprio ai piedi del terrazzo roccioso al di sopra del quale si mostra il rifugio. La salita diretta non è possibile, per cui dobbiamo aggirare l'ostacolo proseguendo verso la sella del passo e lasciando il rifugio alla nostra sinistra.
In breve raggiungiamo, così, la croce posta sui 2824 metri del passo. Il rifugio, o capanna, del CAI di Bormio, non è sempre aperto: se si desidera fruirne, bisogna chiedere le chiavi a Fusino. Per raggiungerlo, sono necessarie circa 3 ore e mezza di cammino, che permette di superare un dislivello di quasi 1200 metri.

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