Il sentiero Roma è forse la più classica
ed affascinante delle escursioni sulle Alpi centrali, un'esperienza che
non si dimentica e che diventa, per chi la vive, non solo un motivo di
orgoglio, ma anche una lezione che insegna pazienza, capacità di
guardare, scoprire e gustare dimensioni sottratte al tempo. Il sentiero
deve essere percorso in più giornate e presenta diverse varianti.
Prima di considerarle, però, vanno fatte alcune avvertenze generali.
Il sentiero non richiede una specifica preparazione alpinistica, ma non
va neppure preso sotto gamba. In particolare, nella sua sezione centrale,
costituita dalla terza e quarta giornata (traversate Gianetti-Allievi
e Allievi-Ponti), oppure già dalla prima, se si sceglie la variante
breve del Sentiero Risari (Omio-Gianetti), propone diversi passaggi attrezzati,
nella salita e discesa dai passi che scavalcano costiere impervie, per
cui è necessario munirsi di cordino e moschettone per assicurarsi
alle corde fisse.
Non è affatto prudente affrontarlo da soli, o in condizioni di allenamento
non adeguate. È del tutto sconsigliabile, poi, affrontarlo con
neve o nelle giornate di tempo brutto (in molti tratti non c’è
un vero e proprio sentiero, ma si debbono attraversare gande fra le quali,
in condizioni di tempo buono, i numerosi segnavia dettano chiaramente
il percorso, ma altrettanto facilmente ci si può perdere, se la
visibilità si riduce, cosa che accade assai rapidamente quando
il tempo si guasta).
Non si confidi, poi, nei telefonini: restano desolatamente muti. Un’ultima
minaccia, se ce ne fosse bisogno: i sassi mobili, che escursionisti poco
attenti possono involontariamente lanciare sui malcapitati che si trovano
più in basso: sono veri e propri proiettili, possono uccidere.
Non vorremmo aver troppo spaventato con queste avvertenze, o, peggio ancora,
dissuaso dall’affrontare un’esperienza che non si dimentica.
L’intento è, invece, di invitare a farla, ma a farla nelle
dovute condizioni di allenamento, equipaggiamento, umiltà, prudenza
e bel tempo. Il periodo migliore è quello compreso fra agosto e
settembre (anche luglio è un ottimo mese, se d’inverno non
è nevicato troppo). Per il resto dell’anno la neve può
costituire un’insidia di non poco conto.
Partenza : Novate Mezzola (m 316) Arrivo : Rifugio Brasca (m 1304) Dislivello : m 1000 Durata : 4 h e 30 min Difficoltà : E ( Escursionistica )
Scheda
La prima tappa del sentiero Roma parte da Novate Mezzola, poco distante dall'omonino lago,
ad una quota poco superiore ai 300 m. Una volta giunti a Novate il parcheggio di partenza del sentiero è raggiungibile seguendo le indicazioni per Val Codera.
La parte iniziale del sentiero sale in maniera decisa all'interno del bosco lungo un bel sentiero in molti tratti "a gradoni".
Il bosco, la pendenza e la quota relativamente bassa sono complici nel rendere il tragitto molto accaldante.
Si consiglia quindi di evitare i momenti più caldi della giornata e di partire alle prime ore del mattino.
Raggiunta la località Avedeè il sentiero diventa più dolce e porta in breve tempo alla località di Codera,
principale centro della valle.
Si prosegue lungo il fondo valle senza particolari difficoltà, passando a fianco a piccoli centri, fino a giungere al rifugio Brasca.
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GALLERIA IMMAGINI
La mulattiera poco prima di giungere a Codera (foto R. Ganassa)
Baite in val Codera (foto R. Ganassa)
Il nucleo di Bresciadega con l'omonimo rifugio (foto R. Ganassa)
Il rifugio Brasca in val Codera (foto R. Ganassa)
I boschi della val Codera (foto R. Ganassa)
Le cascate d'Arnasca nei pressi del rif. Brasca (foto R. Ganassa)
Selvagge pareti in val d'Arnasca, sopra il rif.Brasca (foto R. Ganassa)
Il racconto dell'escursione
Autore : Massimo Dei Cas
Il percorso integrale del sentiero Roma parte da Novate Mezzola, paese posto all'imbocco della Val Chiavenna,
e precisamente dai 316 metri del parcheggio di Mezzolpiano (lo raggiungiamo
seguendo le indicazioni per la valle, e salendo alla parte alta del paese,
sulla sinistra), dal quale si stacca una bellissima mulattiera, larga
un paio di metri, spesso scalinata ed incisa nel granito,
che sale, nel
primo tratto, in un bosco di castagni. La Val Codera è l'unica
fra le valli maggiori della provincia di Sondrio a non essere accessibile
alle automobili: questo le conferisce un fascino per molti aspetti unico.
Le fatiche iniziali impongono qualche sosta, anche perché il fiato
non è ancora rotto. In particolare, ad una prima cappelletta ci
si può volgere alle spalle per ammirare l’ottimo colpo d’occhio
sul Pian di Spagna e sul lago di Novate Mezzola, cui fa da cornice, sul
fondo, spostato a sinistra, il massiccio corno del monte Legnone, estrema
propaggine occidentale della catena orobica. Poi alla cornice di un gentile
bosco di castagni si sostituisce quella più severa della nuda roccia,
il granito, signore del Sentiero Roma. Un granito che, però, in
questa zona l’uomo ha piegato al suo servizio: si tratta, infatti,
del San Fedelino, qualità pregiata che ha dato determinato l’apertura
di numerose cave. Il sentiero è qui scavato
proprio nel granito, e solo così può scavalcare la forra
terminale della valle, che precipita, selvaggia, per circa 300 metri,
sul fondo del torrente Codera.
Più avanti, incontriamo, a quota 714, una seconda cappelletta,
al culmine dello sperone roccioso che veglia il fianco settentrionale
della bassa Val Codera; poi ci tocca una prima discesa, all’ombra
di un bosco di betulle, olmi e castagni, fino ad un valloncello, superato
il quale riprendiamo a salire, fino all'abitato di Avedee, posto a 790
metri, sul lungo dosso che scende verso sud-est dal monte omonimo (m.
1405). Dalle sue baite solitarie si vede bene Codera, il centro principale
della valle. Sulla sua verticale, il pizzo di Prata (m. 2727), denominato
anche “Pizzasc”, che sovrasta, sul lato opposto della catena
montuosa, anche Prata Camportaccio. Ad Avedèe troviamo anche graziosa
chiesetta.
Ci tocca, ora, un tratto in discesa, elegantemente scalinato, con qualche
tornante: scendiamo di un centinaio di metri per superare valloni dirupati,
che ci impongono poi diversi saliscendi, ed anche l’attraversamento
di due gallerie paramassi. Prima della seconda, superiamo un breve tratto
nel quale la montagna sembra incombere proprio sul nostro capo: un grande
roccione si ripiega sopra la nostra testa, come una bocca pronta a richiudersi.
Attraversata la seconda gallerie si torna a salire, si incontra una nuova
cappelletta e si raggiunge il piccolo cimitero del paese. Una
scritta sulla parete della cappelletta antistante ci invita a meditare
sulla fragilità della condizione umana: “Ciò che noi
fummo un dì voi siete adesso, chi si scorda di noi scorda se stesso”.
No, non ci vogliamo scordare di chi riposa qui. Delle generazioni che
qui, in questa valle aspra ed insieme dolce, hanno visto dipanarsi l’intero
filo dell’esistenza, un’esistenza quieta, severa, anche misera,
difficilmente immaginabile. L’esistenza di chi ha dovuto strappare
alla valle di che sopravvivere, mentre noi, ora, strappiamo scampoli di
emozioni profonde. Dentro la cappelletta, la Madonna della visione dell’Apocalisse,
coronata di stelle, nell’atto di schiacciare il dragone-serpente,
simbolo del male. Proseguiamo, incontrando un’altra cappelletta.
Ed ecco, infine, l'imponente campanile della chiesa di S. Giovanni Battista
(m. 825), staccato dal corpo della chiesa. E, nella piazza della chiesa,
uno dei due rifugi che qui si trovano, la Locanda
Risorgimento (il secondo rifugio, nella parte più alta del
paese, è denominato "Osteria
alpina"). Siccome la prima tappa del sentiero è la meno
impegnativa, vale la pena di fermarsi a gustare l'abitato, che non rimane
deserto neppure nei mesi invernali e presenta, fra gli altri motivi di
interesse, un caratteristico museo etnografico, nell’edificio dell’ex-oratorio.
Poi, seguendo le indicazioni, si lascia il paese e si prosegue su un sentiero
che sale con molta gradualità ed impone numerosi saliscendi, descrivendo
un ampio semicerchio in direzione nord-est. La
valle si allarga, e lo scenario cambia, diventando più aspro, anche
a causa delle numerose gande che si debbono superare. Sfilano diversi
gruppi di baite che parlano di una vita dura e severa: Corte, Ganda, Belèniga
(m. 1037), Saline (m. 1085). Se le tappe che portano nel cuore del sentiero
Roma mostrano la poesia della montagna, qui appare piuttosto la durezza
ed il sudore di chi alla montagna ha dovuto strappare faticosamente di
che vivere.
Sul fondo, appaiono alcune importanti cime del gruppo del Masino, che
avremo modo di vedere più da vicino e da una diversa prospettiva.
Al centro, tre cime poco pronunciate, quasi gemelle, le cime dell’Averta,
che guardano sulla valle omonima, sul versante della Val Codera, e sulla
Val Porcellizzo, cui approderemo nella seconda giornata. Alla loro destra,
una cima dal profilo netto ed affilato, la cima del Barbacan (m. 2738).
Alla loro sinistra il corpo poderoso del pizzo Porcellizzo (m. 3075).
Torniamo a fissare lo sguardo sulla cima del Barbacan, e guardiamo alla
sua sinistra: distingueremo un ripido canalone e, alla sua sommità,
un passo: è il passo del Barbacan nord, che varcheremo nel momento
culminante della seconda giornata.
Intanto si va avanti, si lasciano alle spalle le tristi gande, ci si immerge
in una ben più poetica pineta. Dopo aver varcato il torrente Codera
su un ponticello, usciamo all’aperto, incontrando
prima le baite di Stroppadura (m. 1033) e poi la piana di Bresciàdega
(m. 1214), dove si trova il rifugio omonimo, oltre ad una cappelletta
e ad una chiesetta. Guardiamo ancora ai bastioni di granito che lo sguardo
incontra in direzione est: la cima del Barbacan appare ora proprio al
centro, mentre a destra poderosi contrafforti celano i pizzi dell’Oro.
La prima giornata riserva solo un’ultima breve ulteriore fatica,
per raggiungere il rifugio Brasca. Nell'ultima sezione del percorso appare
sulla destra, altrettanto improvvisa ed imponente, la selvaggia e cupa
val Spassato o val Spazza (chiamata anche, in passato, valle d’Arnasca).
Anche questa valle merita un'attenta osservazione. Si nota, al suo centro,
l'evidente depressione sulla cui sinistra si trova il passo Ligoncio (m.
2557), incorniciato fra il Lis d'Arnasca, o pizzo dell’Oro meridionale,
a sinistra (m. 2695) e la punta della Sfinge (m. 2802) ed il pizzo Ligoncio
(m. 3032) a destra. Sorprende ed impressiona soprattutto la liscia parete
occidentale della punta della Sfinge: una sfida, una vertigine.
Si deve tener presente che la salita al passo, che può essere servita
dal bivacco Valli, rappresenta
un'interessante variante al sentiero Roma, in quanto permette di scendere
comodamente in valle dell'Oro e di raggiungere il rifugio
Omio, dal quale poi, seguendo il sentiero Risari, si
raggiunge il rifugio Gianetti (proprio dal rifugio Omio in Valmasino parte
una variante del sentiero Roma che permette di non effettuare questa prima
tappa che attraversa la Val Codera). Questa traversata è denominata
sentiero attrezzato Dario di Paolo,
e, più precisamente, rappresenta il ramo settentrionale di tale
sentiero. Si tenga però presente che la salita al passo non è
priva di difficoltà: bisogna sfruttare una lunga cengia esposta,
anche se protetta da corde fisse.
Ma torniamo al nostro percorso: dopo 4 ore e mezza circa di una salita
condotta con buon passo (esclusi i tempi di eventuali soste), ecco infine,
a 1304 metri, la meta, il rifugio
Luigi Brasca, in posizione solitaria, in un’amena radura incorniciata
da splendidi abeti. Qui si può pernottare, recuperando energie
preziose per la seconda e più dura tappa che attente il giorno
successivo, la salita al passo del Barbacan nord, il tratto più
faticoso del sentiero Roma. Si tenga presente che il rifugio può
essere punto di partenza anche per quella salita in val Spassato di cui
si è detto sopra. Guardiamo, infine, verso l’alta valle,
a nord: distingueremo il profondo intaglio della bocchetta della Teggiola
(m. 2490), a sinistra dei pizzi dei Vanni. Un sogno. Una meta per una
prossima escursione.
2a Tappa - Dal Rifugio Brasca in Val Codera al Rifugio Gianetti in Valmasino
Dal rifugio Brasca, seguendo le indicazioni per il passo del Barbacan, si imbocca
il sentiero che poco dietro il rifugio subito si addentra nel bosco.
Il sentiero è molto ripido e sale in uno stretto zig-zag, l'accentuata pendenza permette, con fatica, di guadagnare dislivello in breve tempo.
Fuoriusciti dal bosco, intorno a quota 2000 m occorre deviare
verso sinistra spostandosi sul versante opposto della valle ove si trova il gruppo di case dell'Alpe Averta.
Si riprende quindi a salire, ed il tracciato assume le caratteristiche nel tipico sentiero d'alta quota (occhio agli ometti), puntando la bocchetta
che sta a sinistra del Barbacan (alla destra si trova il più impervio passo dell'Oro).
Scollinato a quota 2600 m si si è passati dalla Val Codera alla Valmasino e si inizia la discesa seguendo le indicazioni per il rifugio Gianetti.
Dopo essersi raccordati con il sentiero proveniente dal rifugio Omio si prosegue verso NE per più di un'ora lungo un percorso
lineare, seguendo i sali scendi lungo un sentiero che spesso attraversa grossi massi e placche rocciose come è tipico in Valmasino, fino a raggiungere il rifugio Gianetti ( 2534 m ).
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Il rifugio Brasca in val Codera (foto R. Ganassa)
Dopo la lunga salita arrivo al passo del Barbacan (foto R. Ganassa)
La testata della val Porcellizzo dal passo del Barbacan (foto R. Ganassa)
Il rifugio Gianetti in val Porcellizzo (foto R. Ganassa)
Escursionisti verso il rifugio Gianetti (foto R. Ganassa)
Pizzo Badile e Cengalo visti dal passo del Barbacan (foto R. Ganassa)
Pizzo Badile e Rifugio Gianetti in val Porcellizzo (foto R. Ganassa)
Il racconto dell'escursione
Autore : Massimo Dei Cas
La seconda giornata comincia all'insegna della fatica:
ci si muove, infatti, dal rifugio Brasca, salutando lo scenario della
parte occidentale della testata della Val Codera, per affrontare la faticosa
salita al passo del Barbacan nord, lungo la valle dell'Averta. Poco oltre
il rifugio, nell'alpe Coeder, si trova il cartello che indica la deviazione:
il sentiero Roma, infatti, si stacca dal tracciato che prosegue addentrandosi
nella media ed alta Val Codera e conducendo al bivacco Pedroni-Dal Prà,
dal quale si può salire al passo della Trubinasca, per poi scendere
al rifugio Sasc Fourà in Val Bregaglia (presso il rifugio Brasca
si trova una cartina chiara che illustra bene queste possibilità).
La salita in valle dell'Averta non concede respiri (tranne quelli che
uno si prende da sé in qualche sosta opportuna). Guardiamo in alto,
in direzione della valle dell’Averta: le tre cime gemelle, le cime
dell’Averta meridionale, centrale e settentrionale sono ben visibili.
Occhieggia
anche, sornione e quasi irridente, alla loro destra, l’affilata
punta della cima del Barbacan (m. 2738), alla cui destra si trova (non
visibile da qui) il passo che dovremo varcare, cioè il passo Barbacan
nord.
Il sentiero dapprima risale, con traccia non sempre evidente ma ben segnalata,
un bosco, sul versante sinistro idrografico della valle (destro per chi
sale), attraversa da destra a sinistra un torrentello, poi esce all'aperto
e, superati i due rami che confluiscono nel torrente principale, si porta
sul lato opposto e raggiungere, a quota 1957, le baite dell'alpe. La traccia
piega poi leggermente a sinistra, facendosi sempre meno evidente e prendendo
un andamento est-sud-est. Tuttavia, seguendo le abbondanti segnalazioni
non è possibile sbagliare. Bisogna solo prestare attenzione a non
seguire la deviazione a destra, segnalata su un masso, per il passo dell'Oro.
Risaliamo, così, passo dopo passo, la sterminata ganda dell’alta
valle, in direzione dello stretto intaglio del passo. Salendo la parte
terminale della valle e prestando attenzione ai sassi mobili, si giunge
infine al passo, posto a 2598 metri: sono
trascorse più di quattro ore (al netto delle soste) dalla partenza.
Dalla sommità del canalino terminale, dove si trova neve anche
a stagione avanzata, si domina l'erto e sudatissimo percorso effettuato,
ma si può gettare un'occhiata anche su una parte del percorso della
prima giornata, cioè sulla piana della Val Codera, nella quale
si distingue Bresciadega. Sul passo troviamo, ad attenderci, un curioso
spuntone di roccia. Su un masso, una freccia bidirezionale bianco-rossa
ci rassicura, in caso di scarsa visibilità: è proprio questa
la più agevole porta fra la Val Porcellizzo e la Val Codera.
Ritemprate le forze, ci si può ora disporre alla discesa, che può
avvenire secondo due diverse direttrici. La maggior parte degli escursionisti,
valicata la stretta porta del passo, scende per un canalino gemello che,
ripido ed impegnativo nella prima parte, diventa ben presto assai più
tranquillo. Bisogna prestare però un'estrema attenzione a non far
cadere sassi mobili, perché il canalino conduce al frequentatissimo
sentiero Risari (tratto Omio-Gianetti), dove
eventuali sassi finirebbero per scendere ad una velocità pericolosissima.
Nella seconda parte della discesa, si intercetta una traccia di sentiero
che conduce al sentiero Risari, in
prossimità di un masso che segnala, con un triangolo rosso, la
deviazione per il rifugio
Brasca, pochi metri prima che il sentiero, sulla destra, attacchi
la costiera del Barbacan, salendo al passo del Barbacan sud-est.
Ci si deve però dirigere in direzione opposta, cioè verso
nord-est, alla volta del rifugio Gianetti. Intanto si apre davanti agli
occhi l'imponente testata della Val
Porcellizzo, uno spettacolo davvero unico. Possiamo passare in rassegna
tutte le sue cime. Si mostrano, da sinistra, le cime dell’Averta,
meridionale, centrale e settentrionale (m. 2778, 2861 e 2947), il pizzo
Porcellizzo (m. 3075), riconoscibile per il prolungato sperone che si
incunea profondamente, scendendo verso sud-est, negli ultimi pascoli dell’alta
valle, la più piccola punta Torelli (m. 3137), il celeberrimo ed
inconfondibile pizzo Badile (m. 3308), la punta Sertori (m. 3288), che,
alla sua destra, fa quasi da paggio, l’arrotondata ed imponente
cuspide del pizzo Cèngalo (m. 3367), il più alto nella testata
della valle, i più modesti pizzi Gemelli (m. 3229 e 3261) e, a
chiudere la testata ad est, il pizzo del Ferro occidentale, o cima della
Bondasca (m. 3267).
Con
questo superbo spettacolo impresso nell’anima, il cammino riprende.
Dopo aver superato, scendendo, uno sperone roccioso, si giunge ad un grosso
masso, presso il quale il sentiero Risari si congiunge con il sentiero
Roma che scende dal passo del Barbacan nord. Infatti, come già
detto, esiste una seconda possibilità di valicare questo passo,
quella classica e segnalata dalle carte: dal passo si può, infatti,
invece di infilarsi nel canalino, si può prendere a sinistra, sfruttando
inizialmente una cengia esposta (questo tratto manca di protezione, per
cui la cautela deve essere massima; in caso di pioggia o scarsa visibilità,
poi, i rischi si moltiplicano); si scende, così, verso nord, seguendo
i triangoli rossi, a sinistra rispetto al canalino che termina al Sentiero
Risari.
Questo itinerario, vuoi per la sua maggiore esposizione, vuoi perché
meno visibile ed intuitivo per chi raggiunga il passo dalla valle dell’Averta,
è assai meno battuto. I triangoli rossi, qui, invitano a badare
non tanto all'incolumità altrui, ma alla propria. La discesa verso
sinistra raggiunge poi luoghi meno pericolosi, cioè i pascoli più
alti, e conduce ad un ampio terrazzo ricoperto da massi e, talora
fino a stagione avanzata, da neve. Per un tratto si prosegue quasi in
parallelo con il Sentiero Risari, che passa poche decine di metri più
in basso, poi, piegando leggermente a destra, si scende agevolmente ad
intercettarlo, in corrispondenza di un grande masso che indica la biforcazione
dei sentieri, a 2530 metri circa.
A questo punto si tratta solo di proseguire in direzione del rifugio
Gianetti, godendo dello scenario incomparabile dei pizzi Badile e
Cengalo. Il tratto compreso fra il passo ed il rifugio è percorribile
in circa un'ora e mezza. Al rifugio, posto a 2534 metri, ci si può
fermare a pernottare. Si conclude così la seconda giornata di cammino.
Segnaliamo, infine, anche un'interessante variante al percorso illustrato.
Se, risalendo la valle dell'Averta, si seguono le indicazioni che portano
al passo dell'Oro (m. 2526), si può poi scendere agevolmente in
valle dell'Oro, raggiungendo il rifugio Omio, dove è possibile
pernottare, per percorrere, l'indomani, il sentiero Risari (vedi tratto
Omio-Gianetti). Bisogna tenere presente che i canalini terminali che conducono
al passo dell'Oro e a quello del Barbacan nord presentano spesso neve
anche a stagione avanzata, per cui richiedono, per essere affrontati in
sicurezza, attrezzatura adeguata (ramponi e piccozza). Del resto si tratta
di un'attrezzatura che non deve mancare nell'equipaggiamento di chi affronti
il sentiero Roma.
Variante
Omio: traversata dalla Omio alla Gianetti per il Passo Barbacan che
coincide con il giorno 2 per chi è partito da Novate Mezzola
e sta affrontando il tratto Brasca-Gianetti
Partenza : Bagni di Masino (m 1172) Arrivo : Rifugio Gianetti (m 2534) Dislivello : m 1450 Durata : 4 h e 30 min Difficoltà : EE (escusionisti esperti)
Autore : Massimo Dei Cas
Il vero sentiero Roma infatti, percorso da ovest ad est,
comincia da Novate Mezzola e dalla salita al rifugio Brasca, in val Codera.
È però possibile percorrerne una versione abbreviata, che
parte dal sentiero Risari, cioè dal rifugio Omio (m. 2100), in
valle dell’Oro, cui si sale dai Bagni di Masino in due ore e mezza.
Tratteremo qui il percorso relativa a questa variante del sentiero Roma.
In genere, chi sceglie questa variante sale in una sola giornata al rifugio
Omio dai Bagni di Masino, per poi effettuare la traversata della Valle
dell’Oro, attaccare il passo e scendere in Val Porcellizzo,
chiudendo la giornata alla capanna Gianetti. Nella sua variante abbreviata,
infatti, il Sentiero Roma viene percorso generalmente in tre giorni: nel
primo si effettua il percorso Bagni Masino-Omio-Gianetti, nel secondo
la traversata Gianetti-Allievi, nel terzo la traversata Gianetti-Ponti,
con discesa finale dalla Valle di Preda Rossa a Filorera, appena sopra
Cataeggio. Questa variante breve in tre giorni rimane, quindi, interamente
entro i limiti della Val Masino.
Vediamo, dunque,
come effettuare questa classicissima traversata Bagni-Omio-Gianetti. Per
raggiungere i Bagni basta percorrere interamente la statale della Val
Màsino, che si imbocca staccandosi dalla ss 38 dello Stelvio all’altezza
di Ardenno: oltrepassate Cataeggio e San Martino, la strada risale la
bella Valle dei Bagni, terminando proprio ad un ponticello sul torrente
Màsino, oltre il quale si entra nell’area dell’Hotel
Bagni di Masino, dove è possibile parcheggiare a pagamento, in
un ampio spiazzo, l’automobile (ed in effetti nei finesettimana
estivi o nel periodo di punta della stagione non è facile trovare
parcheggio altrove).
Alla nostra destra troviamo l’antico edificio dei Bagni, costruito
nel 1832 a partire da un preesistente nucleo in legno che risale al secolo
XVII, quando si sentì la necessità di offrire un ricovero
confortevole alle numerose dame che raggiungevano l’allora isolata
e remota valle per avvalersi delle proprietà curative delle acque
termali. A queste ultime, infatti, non ai paesaggi alpini è legata
la fama storica della valle: l’interesse alpinistico per le cime
del gruppo del Màsino è assai recente (data dagli anni Sessanta
dell’Ottocento), mentre fin dall’antichità questi luoghi
accoglievano visitatori che potevano permettersi il
costo del viaggio e desideravano curare affezioni dell’apparato
respiratorio o gastro-intestinale con l’acqua termale, che sgorga
da una fonte alle spalle dei Bagni vecchi ad una temperatura costante
di 38 gradi (e che aveva fama di curare anche i problemi di sterilità
femminile). Il nuovo Hotel dei Bagni, unito al vecchio edificio da una
passerella di legno sopraelevata, risale invece al 1883.
La valle dei Bagni è, in se stessa, piuttosto modesta, ma è
circondata da tre considerevoli anfiteatri alpini. Il più modesto,
sconosciuto e selvaggio è posto a sud dei Bagni, ed è la
valle della Merdarola. A nord, invece, si trova la valle più ampia
e famosa dell’intero gruppo del Màsino, la Val Porcellizzo.
Ad ovest, infine, ecco la valle dell’Oro, l’unica che, nella
sua solarità, si mostri allo sguardo dalla piana dei Bagni, anche
se il severo gruppo costituito dalle punte Medaccio e Fiorelli, sulla
costiera Merdarola-Ligoncio, ne nasconde la parte meridionale (cioè
la val Ligoncio).
Per salire al rifugio Omio, dobbiamo incamminarci lungo il sentiero che
parte nei pressi dell’edificio dei Bagni; ignorata la deviazione
a destra, segnalata, per la Gianetti, superiamo, su un ponticello, il
torrente, e puntiamo in direzione del bosco, dove inizia la salita, con
una pendenza sempre piuttosto impegnativa. Stiamo risalendo il fianco
settentrionale della valle, ed incontriamo una prima più modesta
radura, per poi raggiungere, dopo circa tre quarti d’ora di cammino,
il bel poggio costituito dal pian del Fago (m. 1590), che
non costituisce solamente un buon punto di sosta, ma anche e soprattutto
un ottimo osservatorio sulla sorella maggiore, la Val Porcellizzo, della
quale si mostra da qui un suggestivo squarcio, con i pizzi Badile e Cengalo
in evidenza.
Rientrati nel bosco, proseguiamo nella ripida salita fino al suo termine,
a quota 1760 metri circa. Dobbiamo superare una breve fascia costituita
da enormi massi, sotto uno dei quali osserviamo un modesto ricovero per
uomini ed animali: si tratta dei segni più evidenti di una frana
ciclopica che, nel 1963, uccise alcuni pastori e molti capi di bestiame.
Il pensiero non può non andare alla durezza delle condizioni di
vita cui hanno dovuto sottoporsi tutti coloro che, per secoli, hanno frequentato
queste montagne non per cercare suggestioni ed emozioni, ma i mezzi necessari
per un magro sostentamento.
Oltre i massi, attraversiamo un torrentello e cominciamo a risalire le
ampie balze che ci separano dal rifugio. La traccia di sentiero, segnalata
dagli immancabili segnavia rosso-bianco-rossi, descrive un percorso piuttosto
diretto, per cui la pendenza rimane considerevole e la fatica, in questi
ultimi tre quarti d’ora circa di cammino, comincia a farsi sentire.
La capanna è là, sembra la si debba raggiungere in breve
tempo, ma
gli ultimi tratti di cammino sono sempre i più lunghi. Dopo circa
due ore e un quarto di cammino, superati 930 metri di dislivello, possiamo
finalmente ristorarci e riposarci al rifugio, che suscita un senso di
amena tranquillità, anche se è intitolato a quell’Antonio
Omio che perì in una tragicamente famosa ascensione alla punta
Rasica del 1935.
Davanti a noi, guardando verso est, il panorama sulla valle dei Bagni
è ampio e suggestivo; volgendo lo sguardo, possiamo passare in
rassegna una lunga serie di cime che hanno quasi tutte la caratteristica
di apparire poco pronunciate, tranquille, anche se molte di loro, viste
dalle valli confinanti (soprattutto dalla val Codera) mostrano un profilo
ben più severo ed arcigno. Fanno eccezione, alla nostra destra
(sud-est) le punte Medaccio (m. 2350) e Fiorelli (m. 2401), il cui affilato
profilo ricorda quello di una lama.
Seguendo verso destra il filo del crinale della costiera Merdarola-Ligoncio,
scorgiamo, poi, l’intaglio del canalone che scende dalla bocchetta
di Medaccio e che mette in comunicazione le due valli. La costiera termina
con la cima di quota 2762, che appartiene al gruppo delle cime della Merdarola.
Proseguendo ancora verso destra, incontriamo la cima del Calvo (o monte
Spluga), nodo di confluenza, con i suoi 2967 metri, delle tre valli Ligoncio,
Merdarola
e di Spluga. Seguono, a sud del rifugio, il pizzo dei Ratti (m. 2919)
ed il pizzo della Vedretta (m. 2907), alla cui destra è posto il
passo della Vedretta meridionale. A sud-ovest del rifugio incontriamo
la tozza sagoma del pizzo Ligoncio, la più alta vetta della sua
testata, con i suoi 3032 metri, ed anche il nodo di confluenza delle valli
Ligoncio, dei Ratti e Arnasca (o Spazza, o ancora Spassato, laterale della
val Codera). Immediatamente a destra del pizzo la caratteristica punta
della Sfinge (m. 2802), il cui profilo ricorda la famosa figura mitologica,
e la marcata depressione sul cui lato destro è posto il passo Ligoncio.
A destra del passo, la serie dei pizzi dell’Oro, compresi fra i
2600 ed i 2700 metri, fino allo snello profilo della punta Milano (m.
2610). A nord del rifugio, infine, ecco la lunga costiera del Barbacan,
che dall’omonima cima (m. 2738, dove confluiscono le valli dell’Oro,
di Averta e Parcellizzo) scende fino al monte Boris (m. 2497).
Mettiamoci ora in cammino alla volta del passo del Barbacan sud-est. Partendo
dalla capanna si percorre, seguendo le bandierine rosso-bianco-rosse verso
nord, il sentiero Risari, lasciando alle spalle il pizzo Ligoncio, che
domina la valle. Dopo un primo tratto di salita, dobbiamo superare, con
un po’ di attenzione, una vallecola. Proseguendo nella salita, troviamo
un grande masso, sul quale è ben visibile la scritta, con vernice
rossa “P. Oro R. Brasca”. Si
tratta dell’indicazione della deviazione, a sinistra, che sale al
passo dell’Oro (m. 2574), poco frequentata ma assai interessante
porta che congiunge la Valle dell’Oro alla valle dell’Averta,
laterale della Val Codera. Scendendo dal passo in Valle dell’Averta,
ad un certo punto ci si congiunge con il percorso della seconda tappa
del Sentiero Roma, diciamo così, “edizione integrale”,
e, seguendolo, si raggiunge il rifugio Brasca.
Noi, però ignorando la deviazione a sinistra e proseguiamo puntando
la costiera del Barbacan. Il panorama dal sentiero verso sud ed est è
molto ampio: si intravedono, sullo sfondo, i Corni Bruciati e le cime
orobiche. Il punto dal quale comincia l’attacco alla costiera è
facilmente riconoscibile per la presenza di un grande rombo bianco su
una parete posta alla sua sinistra. La salita al passo inizia sfruttando
un canalino. Nel primo tratto dobbiamo superare una placca rocciosa, in
corda fissa, con un po’ di attenzione. Poi il sentiero piega leggermente
a destra e sale, più tranquillamente, per balze erbose, mentre
alle spalle lo scenario che si allarga. L’intaglio del passo, posto
sulla costiera che scende dalla cima del Barbacan al monte Boris, è,
questo versante, poco evidente; il sentiero, però, lo raggiunge
facilmente, dopo aver piegato a destra. I segnavia sono
quelli giallo-rossi, che indicano il sentiero Risari.
Il passo, a 2610 metri, è uno stretto intaglio vegliato da uno
speronino roccioso, sul quale è segnata una freccia giallo-rossa,
vicino ad una targa con una Madonnina. Dal passo, volgendo indietro lo
sguardo, si può scorgere la parte superiore della liscia parete
ovest del pizzo Ligoncio (m. 3032). Davanti agli occhi si apre invece
l’imponente anfiteatro della Val Porcellizzo e della sua granitica
testata. Oltre la Val Porcellizzo appaiono anche i Pizzi del Ferro, testata
della valle omonima. Si tratta però, ora, di lasciare il passo
alle spalle e scendere.
Su questo versante il sentiero richiede molta più attenzione, perché
sfrutta cenge esposte, e diventa pericoloso con neve o cattivo tempo.
Teniamo presente che, dopo inverni caratterizzati da abbondanti nevicate,
sul versante della Val Porcellizzo si può trovare neve anche a
stagione avanzata. Nell’estate del 2001, per esempio, alla fine
di agosto si dovette sgomberare questo tratto del sentiero dalla neve
salendo con piccozza e pala. Ad ogni buon conto, visto che sul versante
della Valle dell’Oro la neve rimane assai meno, è opportuno
assumere informazioni al rifugio Omio. Le corde fisse aiutano la discesa.
Per la affronta per la prima volta, si tratta di una discesa niente affatto
tranquilla, perché l’esposizione suscita sempre una certa
impressione. Ma
ci si abitua. Quando si torna (perché rimane dentro, insopprimibile,
la voglia di tornare), l’impressione è già diversa.
Alcuni punti più tranquilli, nei quali si può sostare, permettono
di ammirare la costiera del Cavalcorto e, sullo sfondo, il Disgrazia ed
i Corni Bruciati. È però la Val
Porcellizzo ad offrire lo spettacolo più grandioso. Si mostrano,
da sinistra, le cime dell’Averta, meridionale, centrale e settentrionale
(m. 2778, 2861 e 2947), il pizzo Porcellizzo (m. 3075), riconoscibile
per il prolungato sperone che si incunea profondamente, scendendo verso
sud-est, negli ultimi pascoli dell’alta valle, la più piccola
punta Torelli (m. 3137), il celeberrimo ed inconfondibile pizzo Badile
(m. 3308), la punta Sertori (m. 3288), che, alla sua destra, fa quasi
da paggio, l’arrotondata ed imponente cuspide del pizzo Cèngalo
(m. 3367), il più alto nella testata della valle, i più
modesti pizzi Gemelli (m. 3229 e 3261) e, a chiudere la testata ad est,
il pizzo del Ferro occidentale, o cima della Bondasca (m. 3267). Ma non
è solo questa splendida successione di cime ad incantare.
In realtà ciò che stupisce e rapisce è la perfetta
sinfonia cromatica che la valle propone all’occhio commosso. Gli
immensi pascoli, dal verde intenso, sembrano la compagine compatta degli
archi, le macchie irregolari dei nevai, le linee sottili dei torrentelli,
le nuvole sempre mutevoli in una bella giornata sembrano i fiati, ed infine
le perentorie e massicce pareti di granito delle cime, che si stagliano
nel cielo blu cobalto, sembrano gli ottoni.
La discesa,
esposta nella prima parte, diventa un po’ più tranquilla
nell’ultima (ma la cautela non deve mai venir meno) e conduce in
breve tempo alla base della costiera, ai piedi di un canalino che, sulla
nostra sinistra, rappresenta una variante frequentata del passo del Barbacan
nord. Su un masso, troveremo un triangolo rosso, una freccia e la scritta
R. Brasca. Qui, infatti, si congiungono il sentiero Andrea Risari ed il
più frequentata percorso che, nella seconda tappa del Sentiero
Roma integrale, scende dal passo Barbacan nord. Attenzione, però:
non è il caso di attardarsi in questo tratto, perché dal
canalino spesso scendono, con velocità micidiale, sassi piccoli
e meno piccoli, talvolta messi in movimento da escursionisti poco avveduti.
Il sentiero Risari prosegue scendendo da uno sperone roccioso e, dopo
essersi congiunto, presso un grande masso, con la meno frequentata variante
del sentiero Roma che scende dal passo Barbacan nord, punta verso nord-est,
in direzione del già visibile rifugio Gianetti. Passiamo, poi,
quasi ai piedi del pizzo Porcellizzo, che, visto da qui, non appare particolarmente
elegante. Alla sua destra, lo sperone che scende verso sud dalla punta
Torelli assume un profilo inconfondibile, che gli ha meritato la denominazione
di “Dente della Vecchia”. Sempre elegantissimo, invece, è
il pizzo Badile, che fa da cornice al rifugio
Gianetti (m. 2534), dove le nostre fatiche terminano. Qui,
ovviamente, ci si può fermare a pernottare. Se siamo partiti dal
rifugio Omio, siamo in cammino da circa 2 ore e mezza, ed abbiamo superato
un dislivello approssimativo di 520 metri. Se, invece, siamo saliti dai
Bagni di Masino il tempo sale a circa 4 ore e mezza/5, ed il dislivello
a 1450 metri.
3a Tappa - Dal Rifugio Gianetti, in Val Porcellizzo, al Rifugio Allievi,
in Valle di Zocca
La terza tappa parte dal rifugio Gianetti, al cospetto degli splendidi Pizzo Badile e Cengalo, attraversando la Val Porcellizzo verso est.
Terminato il tratto pianeggiante il sentiero sale in maniera decisa verso il Passo del Camerozzo, la presenza di corde e catene caratterizza l'ultimo tratto della salita.
La discesa sul lato opposto ( nella Val del Ferro ) è
il tratto più tecnico di tutto il sentiero Roma, sono presenti catene fisse lungo tutta la discesa. Dapprima seguendo un canalino e poi svoltando verso sinistra
il sentiero taglia in diagonale una parete verticale che rende il sentiero molto esposto. E' raccomandato l'utilizzo di attrezzatura da ferrata
e la verifica delle condizioni del tracciato prima di percorrerlo, in particolare riguardo la presenza di neve.
Il sentiero prosegue con leggeri sali scendi attraverso la Val del Ferro, al centro della quale
si incontra il bivacco Molteni Valsecchi ( posizionato un centinaio di metri più in basso rispetto al sentiero ).
Si affronta poi il passo Qualido che porta nell'omonima valle con un dislivello decisamente meno impegnativo rispetto al Camerozzo.
Attraversata la Val Qualido si supera il passo dell'Averta senza particolare fatica. Prima di raggiunge il rifugio Allievi occorre scendere e risalire la gola, che porta al fondo valle della Val di Zocca, separando il passo dal rifugio.
In alcuni tratti sono presenti delle corde.
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GALLERIA IMMAGINI
Il pizzo Badile dal passo Camerozzo (foto R. Ganassa)
Nuvole insolite sui pizzi del Ferro (foto R. Ganassa)
A sx la val del Ferro, a dx la val Qualido (foto R. Ganassa)
Escursionista al passo dell'Averta (foto R. Ganassa)
Sulle praterie in alta valle di Zocca (foto R. Ganassa)
Le cime della valle di Zocca (foto R. Ganassa)
Il rifugio Allievi (foto R. Ganassa)
Il racconto dell'escursione
Autore : Massimo Dei Cas
Lasciamo, in questa terza giornata (o seconda, se percorriamo il Sentiero
Roma nella versione breve), il rifugio
Gianetti, per cominciare l’entusiasmante traversata della valli
Porcellizzo, del Ferro, Qualido
e Zocca, che ci porterà
al rifugio Allievi.
Uno sguardo allo scenario che lasciamo alle nostre spalle, prima di iniziare
il cammino: guardando ad ovest, vedremo in primo piano, da destra, il
monte Porcellizzo (alla cui destra si intravede il canalino che conduce
al passo omonimo, a 2950 metri, dal quale si scende, con un tratto su
un ripido ghiacciaietto, quindi insidioso, in alta Val Codera, effettuando
una bella traversata al bivacco Pedroni-Dal Prà), le tre cime dell’Averta,
lo stretto intaglio del passo Barbacan nord, seminascosto, la cima del
Barbacan e la compatta costiera del Barbacan, che separa la Val Porcellizzo dalla Valle dell’Oro.
In secondo piano, a sinistra della cima del Barbacan si distingue facilmente
il pizzo Ligoncio (m. 3033). Proseguendo
verso sinistra, si distingue l’intaglio del passo della Vedretta,
che congiunge la Val Ligoncio alla Val dei Ratti, il pizzo della Vedretta,
il pizzo Ratti e il monte Spluga, o cima del Calvo (m. 2967), dove si
incontrano gli spartiacque delle tre valli Ligoncio, dei Ratti e della
Merdarola.
Il cammino riprende proseguendo sul sentiero Roma verso nord-est. Sulla
testata della valle, la fisionomia del pizzo Badile gradualmente cambia
e, sotto la punta Sertori, compare una curiosa e quasi buffa formazione
rocciosa che sembra qualcosa come un dente di gigante. Più avanti
incontriamo un’enorme placca di granito, percorsa da rivoli d’acqua,
che ci nasconde quasi interamente, per un tratto, la visuale dei pizzi
Badile e Cengalo. Più avanti, si incontra un masso davvero singolare:
non è possibile non notarlo, perché è spaccato in
due con geometrica precisione, come se qualche divinità, nel vivo
di una discussione animata, vi avesse battuto sopra il suo pugno furente,
oppure un fulmine lo avesse colpito nel cuore di una notte da tregenda.
Del
resto, inizia qui la terra del più misterioso dei misteri, quello
del mitico gigiàt,
animale singolarissimo e gigantesco, dalle sembianze multiformi, mezzo
caprone e mezzo stambecco, capace di varcare un’intera valle con
pochi balzi, e qualche volta, dicono (ma forse è solo una maldicenza),
di far un sol boccone degli escursionisti che si perdono in questo oceano
di granito.
Se guardiamo, invece, questi luoghi con l’occhio della passione
alpinistica, piuttosto che con quello della fantasia, non potremo non
notare, a monte del masso, lo sperone roccioso che scende dallo spigolo
posto a sud del pizzo Cengalo, il famoso (per gli alpinisti) spigolo Vinci.
Lo scenario a nord si imprime indelebilmente nella memoria: non ci si
stancherebbe mai di ammirare la bellezza dei pizzi Gemelli e della cima
di Bondasca. Il panorama verso sud è altrettanto suggestivo: si
vedono bene la piana dello Zoccone (in tempi assai remoti occupato da
un lago che, certo, non stonerebbe in questo splendido scenario) e, sul
fondo, le valli della Merdarola e dell’Oro.
Finora il percorso ci ha proposto alcuni saliscendi: dai 2534 metri del
rifugio Gianetti
siamo scesi una prima volta a quota 2500, per poi risalire a quota 2550
circa e ridiscendere ai 2500. Ora cominciamo a salire in direzione della
massiccia costiera che separa la Val Porcellizzo da quella del Ferro.
Nella parte alta essa è costituita dal massiccio spigolo che scende
verso sud dal pizzo del Ferro occidentale, o cima della Bondasca, fino
all’intaglio del passo del Camerozzo (m. 2765), cui dovremo salire.
La costiera prosegue verso sud proponendo la punta Camerozzo (m. 2876),
riconoscibile per il suo agile profilo, le punte Paganini (m. 2815) e
Moraschini (m. 2790), il monte Sione (m. 2815), al vertice della valle
omonima, e la cima del Cavalcorto (m. 2763). Il sentiero supera alcune
vallecole, mantenendosi, nel primo tratto, quasi pianeggiante. A nord
prosegue, dietro due morene, l’imponente sinfonia del granito, che
mostra, alle diverse ore del giorno, diversi colori e diverse sfumature.
Incontriamo in questo tratto, ad una quota approssimativa di 2500, quando
ci troviamo più o meno sotto la verticale del grande sperone che
scende verso sud-sud-ovest dai pizzi Gemelli, la deviazione, a sinistra,
per il passo di Bondasca, o di Bondo (m. 3169), per il quale si accede
all’omonima vedretta, scendendo, poi, al rifugio Sciora di val Bondasca,
in territorio elvetico. Sul
passo è posto anche il bivacco
Titta Ronconi. Cominciamo, ora, la salita, seguendo un bel tracciato,
fino ad uno sperone, con tratto un po’ esposto e protetto, cui si
accede dopo aver salito una singolarissima scaletta costituita da grandi
blocchi di granito.
I magri pascoli cedono il posto a grandi massi, fra i quali si può
trovare annidato, anche a stagione avanzata, qualche nevaietto. Oltrepassato
lo sperone, il sentiero piega leggermente a sinistra, poi di nuovo a destra,
e si districa a fatica fra gli enormi blocchi di granito che precedono
l’attacco terminale della costiera. Troviamo, qui, numerosi segnavia
“storici”: si tratta delle croci di color amaranto, i primi
segnavia ad essere posti qua e là, sui grandi massi, quando il
sentiero, a partire dal 1928, in pieno regime fascista, venne tracciato;
il riferimento storico spiega anche la sua denominazione, che rimanda
ai fasti ed alle celebrazioni della grandezza di Roma.
Eccoci, alla fine, con un po’ di fatica, all’attacco della
costiera. Il tratto terminale è il più impegnativo, anche
se risulta agevolato dalle corde fisse e da una provvidenziale staffa.
Qui l’assicurazione alle corde fisse è di rigore, soprattutto
nell’ultimissimo passaggio prima di raggiungere la bocca del passo.
Ho detto bocca non a caso. Il passo, ben distinguibile già dalla
capanna Gianetti, si
presenta, infatti, come uno stretto e marcato intaglio, a sinistra dell’agile
punta del Camerozzo, un intaglio dalla forma singolare, che ricorda vagamente
le fauci di qualche animale predatore, pronte a richiudersi sugli incauti
escursionisti che osino violarlo. È soprattutto il suo lato di
destra (meridionale), ricurvo, quasi ad uncino, a suscitare questa impressione.
Quando, però, alla fine lo raggiungiamo, scopriamo che le fauci
non si richiudono, ma, anzi, sembrano aprirsi, o meglio, aprire uno scenario
che lascia stupefatti per ampiezza e bellezza, lo scenario della valle
del Ferro, della costiera Remoluzza-Arcanzo, del monte Disgrazia e dei
Corni Bruciati. Ma andiamo con calma. In primo piano, sul fondo dell’ampia
Valle del Ferro, la costiera che la separa dalla Val Qualido, sulla quale
spicca l’arrotondato torrione Qualido (m. 2707), alla cui sinistra
si trova il passo omonimo, il prossimo cui ci toccherà di salire,
se sopravviveremo alla discesa dal Camerozzo. Sulla verticale del torrione,
il re del Sentiero Roma, il monte Disgrazia, che, con i suoi 3678 metri,
sovrasta per mole ed altezza ogni altra cima. Alla sua destra, i vassalli,
cioè i Corni Bruciati, sentinelle orientali della valle di Preda
Rossa. I Corni Bruciati, con la caratteristica tonalità rossastra
che giustifica anche la denominazione, si intravedono, però, appena,
perché nascosti dalla massiccia costiera Remoluzza-Arcanzo, che
propone invece le tonalità di
grigio del granito e che separa la Val di Mello dalla Valle di Preda Rossa.
Sul limite sinistro della costiera distingueremo appena il monte Pioda,
che fa da spalla al monte Disgrazia; alla sua destra la costiera prosegue
con un tratto senza rilievi, sul quale è difficile individuare
la bocchetta Roma, il passo che ci attende nella quarta giornata (traversata
Allievi-Ponti). Poi, inizia una serie di cime che termina con la piramide
regolare ed elegante del monte Arcanzo. All’orizzonte, dietro la
costiera, si intravedono le più alte cime della catena orobica.
Sulla parete del breve corridoio del passo troviamo anche una targa di
bronzo, che reca scritto: “Dauro Contini vivi sul Sentiero Roma
da lui amorevolmente curato”. Sopra la targa, a caratteri cubitali,
nel caso si avesse qualche dubbio, la scritta “Passo Camerozzo”.
Qui ci sentiamo, per un po’ ancora, al sicuro. Del resto il nome
del passo deriva dal toponimo “càmer”, che significa
luogo riparato, protetto. Per poco ancora, però.
Si deve pur scendere, e la discesa verso la Valle del Ferro si presenta
difficile. Un’ultima occhiata, prima di scendere, alla Val Porcellizzo,
che salutiamo: il pizzo Badile mostra, da qui, un profilo più affilato,
quasi smagrito. Stiamo entrando in un nuovo regno, perché passiamo
dalla Valle dei Bagni di Masino alla Val di Mello, di cui la Valle del
Ferro rappresenta
la prima laterale settentrionale. Bene, in cammino, ma senza fretta. La
parete del pizzo Camerozzo incombe su un percorso che rappresenta il passaggio
più ostico dell’intero sentiero Roma, da affrontare con cautela
e calma, in assenza di neve e con attrezzatura adeguata, facendo particolare
attenzione, fra l'altro, per evitare che lo zaino si incastri nei canalini
più stretti. Per chi non avesse mai affrontato il passo, è
consigliabile di varcarlo una prima volta in senso opposto, dalla Valle
del Ferro alla Val Porcellizzo; farà meno impressione, poi, la
discesa in Valle del Ferro. Non commettiamo, infine, l’imprudenza
di scendere da soli, oppure quando i nevai residui moltiplicano i rischi.
Il primo tratto è una lunga discesa in diagonale verso destra (sud),
su ripidi e magri pascoli, placche di granito e strette cenge, con l’ausilio
delle corde fisse. Raggiungiamo, così, il punto nel quale il sentiero
volge a sinistra. Si tratta anche del punto più tranquillo della
discesa, per cui possiamo sostare un po’, prima di affrontare i
passaggi più impegnativi. Da qui si mostra tutta la Valle del Ferro,
verde, ampia, coronata dai pizzi del Ferro (vediamo quello centrale e
quello orientale). Di nuovo in piedi, per l’ultimo tratto.
La
seconda parte, anch’essa in corda fissa, traccia una lunga diagonale
verso sinistra, che segue una stretta cengia la quale, in alcuni punti,
si riduce ad un intaglio nella parete di granito che precipita a valle.
Diversi, dunque, sono i passaggi impegnativi ed esposti. Si rendono necessarie,
quindi, la massima calma, attenzione e concentrazione. Grande è
quindi la soddisfazione quando, toccati i primi sassi della valle del
Ferro, si può guardare dal basso l’impressionante parete
che scende dal passo. Il primo contatto con la Valle del Ferro è
quasi sempre, in verità, sulla neve, poiché anche a stagione
avanzata si può trovare un nevaio alla base della costiera.
La testata della valle è costituita dai tre pizzi del Ferro, occidentale
(m. 3267), centrale (m. 3289) ed orientale (m. 3199). La valle, come già
detto, è molto ampia, anche se meno della Val Porcellizzo. Fin
dal primo tratto del percorso che la attraversa si può però
già riconoscere chiaramente il prossimo passo, cioè il passo
Qualido, a nord (sinistra) del torrione omonimo. Il Sentiero Roma prende
a salire gradualmente, da una quota approssimativa di 2470 metri, fra
blocchi di granito di tutte le dimensioni e macchie di pascolo poste come
radi isolotti in un mare di granito. Più o meno al centro della
valle, abbiamo, come chiaro riferimento visivo, il bivacco Molteni-Valsecchi (m. 2510): il sentiero
Roma passa appena sopra, ad una quota di 2525 metri circa.
Dal bivacco, se lo si desidera, si può scendere, verso destra e
su tracce di sentiero (o a vista, senza difficoltà), alla casera
della valle del Ferro e di qui, piegando a sinistra e seguendo con attenzione
le segnalazioni (per evitare lunghi e faticosi giri), in Val di Mello (località Ca' de Rogni). Se invece si vuol proseguire, si seguono
le segnalazioni, attraversando la valle fra grandi placche granitiche,
rare oasi erbose e grandi massi. Guardando alla testata della valle, riconosciamo,
a destra, l’arrotondata cima del pizzo del Ferro orientale, al centro
il caratteristico torrione del Ferro e, alla sua sinistra, la piccola
punta del pizzo del Ferro centrale, ed infine, seminascosta sulla sinistra,
la cima del pizzo del Ferro occidentale, o cima della Bondasca. Proprio
sotto il pizzo del Ferro centrale si può notare una singolare formazione
rocciosa, denominata, per la sua forma, “Pera del Ferro”.
Se, invece, ci volgiamo in direzione opposta, cioè verso sud, potremo
osservare uno scenario più morbido e verdeggiante. Al centro, in
primo piano, il lungo crinale dell’alpe Granda, che separa la bassa
Val Masino dalla Valtellina. Sul fondo, la catena orobica centro-occidentale,
con la Val tartano e, a destra, le Valli del Bitto di Albaredo e Gerola.
La salita al
passo Qualido è rapida e sfrutta un facile canalino. Anche in questo
caso il lato destro della porta ha una forma sinistramente (scusate il
gioco di parole) ricurva ed adunca, la l’impressione complessiva
è decisamente più rassicurante. In breve il passo (m. 2647)
è raggiunto, e si può gettare l’occhio su una nuova
valle, la Val Qualido, dalla caratteristica placca liscia nella costiera
orientale. Alle sue spalle, uno scenario assai simile a quello già
osservato dal passo Camerozzo, con la costiera Remoluzza-Arcanzo, il monte
Disgrazia ed i Corni Bruciati. Guardando più a sinistra, però,
si mostrano nuove eleganti cime, oltre la Val Qualido: a sinistra incontra
la cima di Zocca, poi la cima di Castello ed i tre pizzi Torrone. La lo
scenario più affascinante è quello che si propone guardando
a nord, dopo aver fatto qualche passo verso destra, sul sentierino che
scende in Val di Mello: si mostrano infatti le guglie digradanti della
poderosa costiera Ferro-Qualido, che scende dal pizzo del Ferro orientale.
La discesa dal passo è meno ardua rispetto a quella dal Camerozzo,
ma richiede ugualmente una certa attenzione. Avviene nella prima parte
verso destra (sud), su un sentierino all’inizio esposto, poi più
tranquillo. Il sentiero volge quindi a sinistra (attenzione a non proseguire
sulla traccia che continua a destra, salendo al ben più impegnativo
passo Qualido meridionale, a sud del torrione) e scende, sfruttando una
cengia esposta, nel cuore di un angusto canalino: le
corde fisse sono di grande aiuto. Il percorso risale, quindi, di qualche
metro, supera una sorta di porta nella roccia e lascia alle spalle il
canalino. L’ultimo tratto di discesa verso sinistra taglia il fianco
esposto della bassa costiera, prima di condurci ai pascoli della Val Qualido.
Il primo tratto del Sentiero Roma nella valle attraversa le propaggini
del lungo canalone che scende dal pizzo del Ferro orientale, che vediamo
al suo termine, lontano e defilato. Cominciamo a salire, fino alla quota
approssimativa di 2570 metri, superando con attenzione una placca quasi
sempre bagnata; poi, raggiunta la sommità di un dosso, il sentiero
inizia a scendere. Si impone allo sguardo la grande placca liscia sulla
costiera orientale della Val Qualido, la seconda laterale di destra della
Val di Mello.
La traversata della Val Qualido è la più breve, per cui,
al termine della discesa, si giunge in poco tempo aduna quota approssimativa
di 2450 metri, ai piedi del canalino che sale al passo dell’Averta.
Poco prima di imboccarlo, si incontrano le segnalazioni del sentiero che
scende, verso destra, nella valle.
Se fossimo nella necessità di scendere a valle, potremmo sfruttarlo,
ma con attenzione. Scendiamo portandoci gradualmente al centro della valle,
fino a giungere
in vista di un caratteristico ed inconfondibile sperone roccioso che ne
divide la parte bassa in due rami. Giunto alla sella erbosa ai piedi dello
sperone, proseguiamo a destra, cercando di seguire i segnavia, fino ad
un sistema di roccette che presenta qualche insidia, soprattutto perché
si presenta spesso bagnato. Superate con attenzione le roccette, approdiamo
ad una conca erbosa, sul limite sinistro della quale troviamo il sentiero
che, con un po’ ai attenzione, ci permette di scendere al fondovalle,
superando anche una grande placca di granito nella quale il sentiero disegna
alcuni tornanti.
Ma torniamo al racconto del Sentiero Roma. La salita del canalino che
porta al passo dell’Averta è piuttosto agevole, anche se
si deve fare attenzione a non far cadere sulla testa di chi sta più
in basso eventuali sassi. Solo l'ultimo passaggio, un traverso a sinistra
quando si è ormai prossimi al passo, richiede una certa attenzione
e l'ausilio di corde fisse.
Raggiunto il passo (m. 2540), stretto intaglio sulla costiera che divide
la val Qualido dalla valle di Zocca, si apre, improvvisa ed emozionante,
la visione della monolitica ed imponente cima o punta di Zocca (m. 3174),
alla cui sinistra si pone il torrione di Zocca (m. 3151). Difficile descrivere
la sensazione di potenza suscitata da questo monte. Sembra una cattedrale,
i cui poderosi pilastri di granito si protendono verso l’alto, nel
trionfo terminale di guglie che giocano in un elegante ricamo terminale
con la leggerezza del cielo. A
destra della cima di Zocca, sfilano, altrettanto imponenti, la punta Allievi
(m. 3121), la cima di Castello (m. 3392), la punta Rasica (m. 3305) e,
in rapida successione, l’uno alle spalle dell’altro, i pizzi
Torrone occidentale (m. 3351), centrale (m. 3290) ed orientale (m. 3333),
cime legate indelebilmente alla storia dell'alpinismo. Più a destra
ancora, di nuovo il monte Disgrazia ed i Corni Bruciati. Interessantissimo
è anche il colpo d’occhio sulle costiere Zocca-Torrone e
Torrone-Cameraccio, un’esplosione vertiginosa di salti di granito,
che toglie il fiato, come in un tripudio di verticalità.
La discesa in valle di Zocca non è difficile, ma anche qui l’attenzione
non deve mancare. Il percorso prosegue su un sentierino che scende verso
sinistra e raggiunge un canalino che si supera con l’ausilio di
corde fisse. Anche a stagione avanzata qui possiamo trovare un nevaietto
residuo, che impone ulteriore attenzione. Dopo un ultimo tratto su cengia
esposta (corde fisse ed una staffa risultano essenziali), sempre sulla
sinistra, la discesa, che non è lunga, termina in corrispondenza
di un piccolo nevaio residuo.
Il Sentiero Roma, ad una quota approssimativa di 2450 metri, percorre
quindi un pianoro disseminato di grandi massi e sempre dominato dalla
mole della cima di Zocca. I
massi cedono poi il posto ad un fondo erboso più riposante, finché,
superato un torrentello, si scende fino all'estrema propaggine dello spigolo
di sud-est della cima di Zocca. Per superare questo sperone roccioso il
sentiero affronta un tratto un po' esposto su entrambi i lati e protetto
da corde fisse. Si piega poi a sinistra, scendendo ulteriormente fino
ad una quota approssimativa di 2300 metri, nel cuore di un vallone che
precipita nel pianone della valle di Zocca.
Poi, quando la stanchezza moltiplica ormai la fatica, riguadagniamo gradualmente
quota, fino ai 2420 metri del punto nel quale il sentiero supera un torrentello,
piegando a destra e raggiungendo, in leggera discesa, i rifugi Allievi
e Bonacossa (2385), dopo circa 5 ore di cammino. Ed anche questa terza
giornata, la più bella, probabilmente, dal punto di vista degli
scenari e delle emozioni, si chiude. La notte ci sorprenderà nel
cuore del rifugio.
4a Tappa - dall'Allievi alla Ponti per il Passo Val Torrone, il Passo di
Cameraccio e la Bocchetta Roma
La tappa inizia dal rifugio Allievi seguendo la direzione SE e con un modesto dislivello porta al passo del Torrone.
Oltre il passo si scende lungo un ripido e stretto canale con l'ausilio di catene.
Arrivati in fondo al canale si imbocca il sentiero erboso
che scende ancora più in basso di un centinaio di metri (di dislivello) prima di iniziare la risalita.
La salita si accentua man mano che si sale e riprende dopo poco il percorso roccioso, in corrispodenza del bivacco Manzi che si incontra a metà salita.
Oltre il bivacco inizia il nevaio, una volta superato quest'ultimo si imbocca il
canale finale che porta al passo del Cameraccio, sempre con l'ausilio di catene. Occorre fare molta attenzione durante la salita, specialmente se la roccia è bagnata.
Il sentiero scende sul lato della Val Cameraccio in maniera più dolce e centrale, seguite sempre i segni rossi sulle rocce. Il percorso prosegue su tratti caratterizzati dalla presenza
di grandi massi e senza grandi dislivelli porta al bivacco Kima, un bivacco in muratura molto ospitale posizionato al centro della Val Cameraccio.
Si prosegue verso la Bocchetta Roma, l'ultimo passo della giornata, dapprima scendendo in un avvallamento e poi risalendo sul lato opposto,
fino a quando il sentiero si ferma ai piedi di una parete rocciosa che deve essere risalita per raggiungere la bocchetta.
Tenete conto che anche se di grado non elevato,
quest'ultimo tratto è di arrampicata e non di trekking.
E' quindi necessaria la giusta attenzione e preparazione.
Sono comunque presenti catene lungo tutta la risalita.
La Bocchetta Roma è la meta che permette di arrivare nella Valle di Predarossa, al cospetto del Monte Disgrazia, per poi scendere
in maniera graduale, lungo un percorso che passa sui sassi, verso il rifugio Ponti.
Per chi termina qui il sentiero si scende dal rifugio lungo la Valle di Predarossa. (vedi scheda Rifugio Ponti).
Clicca l'immagine per ingrandire
GALLERIA IMMAGINI
La Valle di Zocca e il Rifugio Allievi (foto R. Ganassa)
Escursionisti sotto il passo Torrone in val Cameraccio (foto R. Ganassa)
Il canale del passo Torrone (foto R. Ganassa)
Nei pressi del bivacco Manzi in val Torrone (foto di R. Ganassa)
Tramonto dal bivacco Manzi in val Torrone (foto R.Ganassa)
Tratto impegnativo attrezzato al passo Cameraccio (foto R. Ganassa)
Il bivacco Kima in val Cameraccio (foto R. Ganassa)
Il Rifugio Ponti (foto R. Ganassa)
Il racconto dell'escursione
Autore : Massimo Dei Cas
Quarta giornata: traversata dal rifugio
Allievi al rifugio Ponti.
Attraverseremo altre quattro valli, quella di Zocca,
la Val Torrone, la Val
Cameraccio e l’alta Valle
di Preda Rossa, valicando i tre passi di Val Torrone, Cameraccio e
della bocchetta Roma.
Se, per qualunque motivo, dovessimo però scendere a valle, basta
percorrere il ben marcato e segnalato sentiero che parte nei pressi del
rifugio, scende al Pianone che dà il nome alla valle e prosegue,
con un’elegante scalinatura, nelle fresche pinete della media valle,
passando su un bel ponte di legno dal suo lato sinistro a quello destro
e terminando sul fondo della Val di Mello.
Alle spalle del rifugio, poi, può essere interessante ricordarlo,
parte una traccia di sentiero (piuttosto labile, per la verità)
che sale al ben visibile passo di Zocca (m. 2749), il più agevole
fra i valichi che congiungono la Val Masino al territorio svizzero. Dal
passo si può scendere, poi, nell’alta valle dell’Albigna,
fino al rifugio omonimo. Chi
desiderasse salire al passo, tenga presente che questo è facilmente
individuabile per il ben visibile obelisco di granito che lo veglia sul
suo lato destro, e che lo si raggiunge con poco più di un’ora
di cammino dal rifugio.
Ma torniamo al Sentiero Roma. La prima parte della quarta tappa prevede
la traversata del lato orientale dell’alta valle di Zocca, fino
al passo di Val Torrone, che permette una facile discesa nella valle omonima.
Si tratta di una traversata a dir poco spettacolare, per i superbi scenari
che propone. Passiamo, innanzitutto, vicino alla punta Allievi (m. 3223);
scorgiamo la cima di Castello, seminascosta, più a nord, a destra
della cima quotata 3228 m., sul fondo dell’omonimo vallone (la più
alta del gruppo del Masino, con i suoi 3392 metri), la punta Rasica (m.
3305), famosa nella storia dell’alpinismo, che deve il suo nome
alla conformazione frastagliata della cima, simile ad una sega, ed infine
la possente mole del pizzo Torrone occidentale (m. 3349), che si distingue
per la base davvero possente e la curiosa cima, che si restringe repentinamente
nell’esile punta terminale.
A sinistra della punta Allievi, invece, si può ammirare un diverso
profilo della cima di Zocca (m. 3175), alla cui destra è ben visibile
il già citato passo omonimo. Dietro
il passo si intravede appena il gruppo delle Sciore, in territorio elvetico.
Di fronte a questo spettacolo, si può ben dire che se Walter Bonatti
ha definito la Val Masino come l’Università dell’Alpinismo,
la valle di Zocca sia un po’ come la sua aula magna.
Con qualche saliscendi, verso est, ci si avvicina al Passo di val Torrone
(m. 2518), guadagnando gradualmente quota. Bello è anche il panorama
alla nostra destra, cioè verso sud: si intravede, in basso, uno
spicchio della Val di Mello, mentre sul fondo, incorniciata a destra dalla
parte orientale della valle della Merdarola e a sinistra dalla cima degli
Alli e dalla cima di Arcanzo, la Val Gerola, nelle Orobie occidentali.
Il passo è costituito da un canalino che si imbocca all'estremità
di un pianoro posto sul limitare della Val di Zocca. Dal passo si può
ammirare la massiccia costiera che separa le valli Torrone e Cameraccio,
che, vista da qui, desta una forte impressione di verticalità.
Sullo sfondo sono visibile anche la costiera Remoluzza-Arcanzo ed i Corni
Bruciati. La discesa dal passo non è particolarmente difficile,
ma richiede, in qualche punto, cautela, come testimoniano le corde fisse.
Attenzione, anche qui, a non lasciar cadere sassi su chi si trovasse più
in basso. Scendendo, passiamo a sinistra di un caratteristico corno roccioso,
che è ben visibile al termine della discesa.
Alla
fine la base del passo è guadagnata, a circa 2300 metri, ed il
sentiero, risalendo un dosso, passa molto vicino ai piedi dell’impressionante
parete del picco Luigi Amedeo, una delle più difficili, dal punto
di vista alpinistico, delle Alpi centrali.
Ad est (destra) del picco Luigi Amedeo lo sguardo incontra il pizzo Torrone
occidentale, che anche da qui mostra la sua curiosa caratteristica: una
base imponente, costituita da impressionanti lastroni di granito, sormontata
da una cima di dimensioni assai ridotte, che dà l’idea del
corpo di un gigante con la testa di nano. A destra è ben visibile
anche il caratteristico avamposto conico quotato 2951 metri. Una cima
secondaria, senza nome, che tuttavia ha la singolare caratteristica di
rubare interamente la scena al pizzo Torrone occidentale quando si guarda
la testata da quote inferiori. Più a destra ancora, distinguiamo
la punta Ferrario (m. 3258), avamposto roccioso che, a sua volta, nell’intera
valle ruba la scena al pizzo Torrone centrale (m. 3290). La testata della
valle è chiusa dal pizzo Torrone orientale (m. 3333), alla cui
sinistra si distingue il caratteristico obelisco roccioso di una quarantina
di metri detto Ago del Torrone o Ago di Cleopatra, mentre alla sua destra
è ben visibile il passo Cameraccio. Questa testata rappresenta
una delle immagini che si imprimono con maggiore forza nel cuore
di quanti percorrono il sentiero Roma.
Dopo un tratto pianeggiante, il sentiero riprende a salire, sul filo di
un dosso erboso, fino a raggiungere, a quota 2300 metri circa, la deviazione
che permette di scendere nella valle, verso destra, fino alla Val di Mello.
Se si sceglie, per qualsiasi motivo, la discesa, si tenga presente che
è necessario seguire i segnavia, tendendo con gradualità
verso destra, fino alla casera Torrone (m. 1996). La discesa prosegue,
ripida, nel cuore ombroso della media valle, e conduce alla fine sul fondo
della Val di Mello.
Se si prosegue sul sentiero Roma, invece, si comincia a salire, su un
ampio dosso che accoglie gli ultimi magri pascoli, guadagnando rapidamente
quota. Davanti agli occhi, in primo piano, il cono della punta Ferrario,
alla cui sinistra spicca una curiosissima formazione rocciosa, che sembra
un cono minora troncato. Alla sua destra, invece, l’ago del Torrone
ed il pizzo Torrone orientale, con il suo caratteristico doppio salto.
In realtà sono diverse, le punte minori che si possono scorgere,
in una sorta di selva di cime che si susseguono in rapida successione.
Per esempio, fra i pizzi Torrone occidentale e centrale si trovano, da
sinistra, la punta Alessandra (m. 3263), il colle del Torrone centrale
(m. 3204) e la punta melzi (m. 3287). Fra
i pizzi Torrone centrale ed orientale, invece, si trova il colle del Torrone
(m. 3182), oltre al già citato Ago del Torrone (m. 3224).
Si intercetta, poi, la segnalazione della deviazione per il bivacco
Manzi-Pirotta (2540 m.), che si trova poco lontano (è dato,
infatti, a 5 minuti di cammino, ma richiede, per essere raggiunto, qualche
passo di arrampicata), sul crinale di un massiccio sperone roccioso. Se
la Valle del Ferro suscita un senso di apertura e solitudine, la Val Qualido un senso di protezione materna e la valle di Zocca un senso di grandiosità,
la Val Torrone ha certamente qualcosa di severo, e selvaggio e arcano.
Volgendo le spalle si riesce sempre meglio a vedere, come in un gioco
di quinte, la successione delle quattro costiere sulle quali sono collocati
i passi già valicati.
La salita procede su un terreno un po’ più faticoso, perché
il sentiero serpeggia in una morena di terricico e piccoli massi. Giungiamo
così in una sorta di rande conca terminale, dove regnano il silenzio
ed un’atmosfera sospesa, irreale, misteriosa. È come se fossimo
alla fine del mondo. Perché non si immagina che possa esserci altro
mondo oltre quelle compatte e lisce pareti di granito, grigie e giallastre.
Ed invece una porta annuncia altro mondo. È il ben visibile passo
Cameraccio, ai piedi del pizzo Torrone orientale, sulla sua destra.
Per
raggiungerlo si taglia in diagonale un nevaio, che conduce proprio ai
suoi piedi. Il percorso non segue il canalino franoso di destra, pericoloso
per i sassi mobili, ma il sistema di placche e rocce sulla parte sinistra.
La salita è agevolata anche in questo caso dalle corde fisse, perché
ci sono alcuni punti impegnativi da superare, soprattutto per la scivolosità
di alcune rocce. L’ultimo tratto della salita si svolge proprio
a ridosso del fianco roccioso del pizzo Torrone orientale, ai piedi della
suo corrugato versante meridionale. Al termine della salita, un nevaietto
ci introduce ai 2950 metri del passo, il punto più alto toccato
dall’intero Sentiero Roma.
Ecco che si apre la sterminata Val
Cameraccio, dominata dal monte Pioda
(m. 3431), dietro il quale si scorge l'impressionante parete nord del
Monte Disgrazia (m.
3678). Alla nostra sinistra, in primo piano, l’enorme e tormentata
parete orientale del pizzo Torrone orientale. Sul fondo, verso destra,
occhieggiano invece i Corni Bruciati, con l’inconfondibile colore
rossastro. La valle è davvero ampia, la più ampia, dopo
la Val Porcellizzo, fra quelle toccate dal Sentiero Roma. Mentre, però,
la Val Porcellizzo è ingentilita dal verde intenso dei pascoli,
ed anche maggiormente frequentata per la presenza del rifugio Gianetti,
qui domina la solitudine, una solitudine che quasi inquieta, o rapisce,
o tutte e due le cose insieme. Nelle
belle giornate la luce sembra rifrangersi da ogni lato in questo deserto
di granito, rincorrendosi di masso in masso e circondando da ogni lato
l’escursionista.
La prima parte della discesa dal passo avviene su nevaio, poi si attraversa
una grande placca bagnata, che richiede attenzione. Oltrepassata la placca,
se si conosce il sentiero, che nella parte alta è solo labile traccia,
ma anche procedendo a vista fra facili balze erbose, si può scendere
in Val
Cameraccio e quindi in Val di Mello.
La discesa, però, non è facilissima. Se ci trovassimo nella
necessità di scendere, teniamo il lato destro della valle, senza
allontanarci troppo dalla costiera del Cameraccio. Più in basso,
intorno a quota 2100, troviamo il sentiero che ci accompagna nella rimanente
discesa fino al fondo della Val di Mello, di cui la Val
Cameraccio costituisce
il grandioso anfiteatro terminale.
Torniamo al Sentiero Roma. Raggiunta una quota approssimativa di 2750
metri, comincia una traversata, con qualche saliscendi, su terreno morenico,
in direzione della morena posta al centro della valle. Raggiunta una zona
caratterizzata dalla presenza di grossi massi, troviamo, su uno di questi,
l’indicazione per il bivacco
Odello-Grandori: alcuni segnavia guidano nella salita al passo.
Ignorata
la deviazione, proseguiamo scendendo lungo una caratteristica grande placca,
raggiungendo la parte alta della morena. Qui ci attende l’ultimo
nato nella famiglia dei rifugi e bivacchi di Val Masino, il recentissimo
bivacco Kima, a 2700, inaugurato
nell’agosto del 2004, in occasione della celebre corsa in alta quota
denominata, appunto, Trofeo Kima.
Ottima idea, tenuto conto che un punto d’appoggio posto proprio
al centro di questa valle sterminata e solitaria è quando mai opportuno:
farsi cogliere dal maltempo qui, infatti, è una disavventura che
si può pagare assai cara. Fermiamoci qui, dunque, ad osservare
la testata della valle, costituita, da sinistra, dal pizzo Torrone orientale
(m. 3333, inconfondibile per la forma a punta di lancia con la quale si
stacca nettamente dal profilo delle altre cime), dal monte Sissone (m.
3331), dalla punta Baroni o cima settentrionale di Chiareggio (m. 3203),
dalle cime centrale e meridionale di Chiareggio (m. 3107 e 3093) e dal
monte Pioda (m. 3431), che ruba interamente la scena al monte Disgrazia.
Fra il monte Sissone, le cime di Chiareggio ed il monte Pioda si notano
anche tre evidenti depressioni. La più settentrionale, cioè
quella di sinistra, è denominata passo di Chiareggio (m. 3010),
mentre quella più meridionale, cioè più a destra,
è il più celebre e praticabile passo di Mello (m. 2992),
sul quale è posto il bivacco Odello-Grandori.
Salire
al passo dalla Val Cameraccio non è agevole, perché l’ultimo
tratto presenta passaggi esposti e non protetti, e non ci sono segnavia
che indichino il percorso migliore per attaccare il fronte roccioso che
precede il passo. La discesa in Val Sissone è altrettanto difficile,
per cui richiede attrezzatura adeguata e consolidata esperienza. Merita
un'attenta osservazione anche la lunga e compatta costiera Remoluzza-Arcanzo,
che separa la Val
Cameraccio dalla Valle di Preda Rossa, e sulla quale
si colloca la bocchetta Roma. Vi si individuano, da sinistra, il pizzo
della Remoluzza (m. 2814), il pizzo di Averta (m. 2853), il pizzo Vicima
(m. 2687) e la cima d’Arcanzo (m. 2715). Altrettanto interessante,
anche se più ridotta, è la costiera che si va delineando
alle nostre spalle, cioè la costiera del Cameraccio: vi si distinguono,
proseguendo a sinistra dal passo Cameraccio, la punta Cameraccio (m. 3026),
le torri settentrionale, centrale e meridionale di Cameraccio (m. 2950,
2796 e 2838), la torre di Re Alberto (m. 2627) e la punta meridionale
del Cameraccio (m. 2741).
Riprendiamo, poi, il cammino, scendendo per un breve tratto la morena
e piegando a sinistra quando i segnavia, che nell’intera valle sono
abbondanti, lo segnalano. Scendiamo, così, ad una nuova e faticosa
fascia di grandi massi, passando leggermente a valle di un microlaghetto
alimentato dal piccolo ghiacciaio che si annida fra le pieghe del versante
meridionale del monte Pioda. Si tratta solo di una pozza un po' più
grande, direte; ma, considerato che è l'unico specchio d'acqua
che si incontra lungo l'intera traversata del Sentiero Roma, merita anch'essa
la giusta considerazione. Questo tratto è piuttosto faticoso, perché
ci dobbiamo districare con attenzione fra massi piuttosto grandi. La
stanchezza si fa sentire, ma non dobbiamo perdere la concentrazione, perché
qui scivolare e farsi male è facile, se non si è attenti.
Riprendiamo, poi, a salire, lungo il filo di una grande morena, raggiungendo
una nuova fascia di massi.
Superato un tratto pianeggiante, ci avviciniamo ad un primo nevaietto,
oltre il quale dobbiamo risalire una fascia di sfasciumi e placche, prima
dell’ultimo nevaietto che precede l’attacco della costiera
Remoulzza-Arcanzo. In quest’ultima parte della traversata si mostra,
come un grande e possente scivolo di granito che si restringe sulla cima,
il monte Pioda, elegante e possente.
Prima di raggiungere i 2898 metri della bocchetta Roma dobbiamo risalire
il fianco roccioso della costiera, superando passaggi non facili. Il primo
tratto della salita è il più impegnativo: corde fisse e
staffe sono necessarie per sormontare alcune grandi rocce. Siccome siamo
stanchi, ed abbiamo appena risalito un piccolo nevaio, l’attenzione
deve essere raddoppiata. Poi si sale con maggiore facilità, con
un primo traverso a destra, ed un secondo a sinistra. Qui la cautela deve
essere rivolta ad evitare di far cadere sassi, o di riceverne in testa:
è facile, infatti, farli partire, e poi diventano subito pericolosi
proiettili, soprattutto per chi si trova all’attacco della costiera
e, avendo la visuale coperta dai roccioni, non li vede arrivare.
Probabilmente questo è il punto nel quale si accusa la maggiore
stanchezza durante l’intero Sentiero Roma, perché,
una volta raggiunta la bocchetta Roma, avremo superato un dislivello in
altezza approssimativo di 1100 metri, camminando sempre in alta quota,
il che, data la minore concentrazione di ossigeno, aumenta lo sforzo.
Questi richiami alla cautela, dunque, hanno una loro ragion d’essere.
L’ultimo passaggio, anch’esso servito da corde fisse, richiede
attenzione, ma alla fine siamo alla bocchetta, presidiata da un grande
ometto, ben visibile anche a distanza.
La bocchetta è panoramicissima. Ad ovest sfilano tutte le valli
percorse dal sentiero, ad eccezione della Val Porcellizzo, che resta nascosta
dietro quella del Ferro: da sinistra abbiamo la valle dell’Oro,
quella del Ferro, la Val Qualido, la Valle di Zocca, un piccolo scorcio
della bassa Val Torrone e lo scenario immenso della Val
Cameraccio.
A nord, in primo piano, il monte Disgrazia, separato dal monte Pioda dalla
sella di Pioda. Ad est la corrugata costiera che separa la Valle di Preda
Rossa dalla Val Airale (questo è il nome dell’alta Val Torreggio,
in Valmalenco), sulla quale si trovano, da sinistra, la cima di Corna
Rossa (m. 3180), il passo di Corna Rossa (m. 2836), che dovremo superare
per completare il Sentiero Roma, ed i Corni Bruciati (m. 3097 e 3114),
più volte evocati, ed ora presenti, come protagonisti, per la gioia
dei nostri occhi.
A
sud-est si apre l’alta Valle di Preda Rossa, dove si trova la meta
finale, il rifugio Ponti. Sul fondo, il fresco scenario della Val Gerola.
Siamo su un confine. Un confine cromatico e geologico. Abbiamo lasciato
il cosiddetto Plutone del Masino, vale a dire il regno del granito dalle
mille sfumature di grigio, di cui la Val Cameraccio costituisce l’ultima
apoteosi, ed entriamo in un nuovo regno, in cui, non fatichiamo a notarlo,
la tonalità dominante è il rosso. La denominazione stessa
della Valle nella quale scendiamo, “Preda Rossa”, significa,
appunto, “pietra rossa”. Il colosso che la domina, il monte
Disgrazia, appartiene già a questo regno, così come appartengono
ad esso gli altri colossi che si trovano ad oriente, nel cuore della Valmalenco.
La discesa verso il rifugio, non difficile e ben segnalata, avviene fra
grandi massi, descrivendo un arco che attraversa anche due piccoli nevai,
per poi perdere gradualmente quota puntando in direzione del rifugio.
Anche qui, nella parte alta, la stanchezza può giocare brutti scherzi,
perché ci dobbiamo muovere fra grandi massi, ed il pericolo di
scivolare è sempre in agguato. Dopo 6 ore di cammino dal rifugio
Allievi, eccoci, finalmente, al rifugio Ponti (m. 2559), dove possiamo
pernottare prima della sesta ed ultima giornata, che prevede la traversata
in Valmalenco per il passo di Corna Rossa e la discesa conclusiva a Chiesa
Valmalenco o a Torre S. Maria.
Se,
però, stiamo percorrendo la terza giornata della versione più
breve del sentiero, e non possiamo fermarci a dormire al rifugio, proseguiamo
nella discesa sul facile sentiero segnalato, che percorre il fianco nord-occidentale
(destro) dell’alta valle fra sassi e pascoli, scende ripido piegando
a sinistra alla piana di quota 2113 e prosegue nella discesa, fra radi
larici ed in uno scenario dominato dalla presenza imponente, sulla sinistra,
dei Corni Bruciati, fino alla stupenda piana di Preda Rossa (m. 1900).
Una perla, questa, un gioiello che regala le suggestioni più delicate
al tramonto, quando il torrente, che indugia quieto in pigre anse, sembra
voler trattenere, mesto, la luce del giorno. Poco sotto la piana giunge
una strada asfaltata costruita dall’Enel quando ancora, negli anni
Sessanta del secolo scorso, si progettava di utilizzarla per farne un
bacino idroelettrico. La strada è oggi chiusa al transito, soprattutto
perché, più in basso, ha un fondo molto sconnesso.
Essa raggiunge la bucolica piana della valle di Sasso Bisòlo (m.
1500), dove si trova anche il rifugio
Scotti, sulla destra, in fondo alla piana. Poi un sentiero conduce
alla località Valbiore (m. 1225), presso una grande frana, dove
si può lasciare l’automobile. Da
Valbiore una carrozzabile asfaltata riporta, infine, a Filorera ed a Cataeggio.
Secondo alcuni il Sentiero Roma termina qui, ma, nel progetto originario
e nella tradizione, manca un'ultima tappa, che conduce nel cuore della
Valmalenco. Per conoscerla, apri la scheda della quinta tappa, che descrive per la traversata dalla Val Masino alla Valmalenco.
Dal Rifugio Ponti a Chiesa Valmalenco attraverso il Passo di Corna Rossa
Partenza : Rifugio Ponti (m 2559) Arrivo : Chiesa Valmalenco (m 960) Dislivello : m 380 Durata : 5 h Difficoltà : EE (escursionisti esperti)
Scheda
Quest'ultima tappa, facoltativa, porta dalla Valmasino alla Valmalenco.
Partiti dal rifugio Ponti, ci si dirige verso la morena del ghiacciao e la si oltrepassa seguendo le indicazioni per
rifugio Desio. Occorre guadare il torrente seguendo il percorso del sentiero oppure spostandosi in un punto migliore nel caso ci sia molta acqua.
D'ora in avanti il sentiero continua sempre su roccia e grossi massi, aumentando man mano la pendenza.
Salendo sul sentiero compare lo sfasciume che rende faticoso il passo.
Appena oltrepassato il passo di Cornarossa si incontra il decadente ex rifugio Desio. Si è quindi lasciata la Valmasino e ci si trova in Valmalenco.
La discesa sul lato opposto nella Val Torreggio ( laterale della Valmalenco ) si percorre seguendo
le indicazioni per il rifugio Bosio. Le rocce rosse che vi circondano
rendono l'idea di quale sia l'origine del nome del passo. Nel primo tratto sono presenti delle catene di ausilio alla discesa. Il percorso inizialmente caratterizzato da grandi massi diventa più
semplice man mano che si scende, fino a giungere alla piana della vallata, a 2000 metri, ove si trova il rifugio Bosio.
Esistono varie vie che scendono dal rifugio, verso Chiesa Valmalenco oppure verso Torre Santa Maria.
Per raggiungere Chiesa Valmalenco si percorre la via che piega in direzione NE e che rimane interamente sul
versante nord della valle. Il sentiero scende
molto dolce fino a Primolo, oppure direttamente a Chiesa Valmalenco nel caso si imbocchi la discesa che passa per l'Alpe Lago.
Clicca l'immagine per ingrandire
GALLERIA IMMAGINI
La morena nei pressi del Rifugio Ponti (foto R. Ganassa)
Il monte Disgrazia e alla sua destra il passo di Corna Rossa (foto R. Ganassa)
Ex rifugio Desio al paso di Corna Rossa (foto R. Ganassa)
Nei pressi del rifugio Bosio (foto R. Ganassa)
Al rifugio Bosio (foto R. Ganassa)
Il rifugio Bosio (foto R. Ganassa)
Il racconto dell'escrusione
Autore : Massimo Dei Cas
L’ultima
giornata del Sentiero Roma prevede il passaggio dalla Val Masino alla
Valmalenco, con discesa finale a Chiesa Valmalenco o a Torre S. Maria:
si compie, così, il progetto grandioso di una traversata da Novate
Mezzola, alle porte di Valtellina e Valchiavenna, al cuore della Valmalenco,
baricentro delle Alpi Retiche.
Dal rifugio Ponti, seguendo
le abbondanti segnalazioni, si può salire al passo di Corna Rossa.
Questo itinerario, nella sua prima parte, coincide con quello seguito
dagli alpinisti che scalano il Disgrazia. Si attraversa il primo torrente
che scende dal ghiacciaio di Preda Rossa, per poi salire sul filo della
grande morena centrale che termina ai piedi del medesimo ghiacciaio.
Seguendo le bandierine rosso-bianco-rosse, si scende, quindi, sul lato
opposto, seguendo un sentierino e, ignorate le indicazioni per il monte
Disgrazia, si raggiunge un masso sul quale è segnalato il percorso
per i rifugi Desio e
Bosio.
Volgendo lo sguardo alle spalle, si può godere di un buon colpo
d’occhio sulla poderosa costiera Remoluzza-Arcanzo, fra Valle
di Preda Rossa e Val di Mello, sulla quale sono individuabili, da nord
(cioè da destra) la bocchetta Roma, il pizzo della Remoluzza
(m. 2814), il pizzo di Averta (m. 2853), il pizzo Vicima (m. 2687),
la cima degli Alli, o Ali (m. 2725) e la cima di Arcanzo (m. 2715).
La
discesa termina sul greto del secondo torrente che scende dal ghiacciaio
e che deve essere attraversato. Il sentiero è a tratti ben visibile,
ma talora ci si deve affidare alle segnalazioni.
Fra massi rosseggianti sempre più numerosi e con immagini sempre
diverse del monte Disgrazia (m. 3678, alla cui sinistra si individua
bene la sella di Pioda, a sua volta a destra del monte Pioda), il percorso
prosegue, passando a monte della seconda morena della valle, quella
orientale, e giungendo ad un grande masso, su cui un’indicazione
indirizza ad un nevaio che è presente anche a stagione avanzata
e che deve essere risalito. E' già visibile, in alto, la piccola
depressione del passo (m. 2836), posto a sud della cima di Corna Rossa
(m. 3180); il monte Disgrazia, intanto, si defila sempre più
dietro la dorsale della punta di Corna Rossa.
Il nevaio va tagliato verso sinistra, o aggirato a monte, con cautela,
perché, nella parte alta, è abbastanza ripido, per cui
val la pena di calzare i ramponi. Raggiunta la fascia di rocce sul suo
limite superiore, si inizia la salita su un fondo costituito da terriccio,
sassi mobili e massi talora scivolosi. Per questo va affrontata con
cautela: in un paio di punti corde fisse la rendono più sicura.
Sono pochi i punti esposti, ma conviene ugualmente salire senza fretta.
Poco oltre il secondo punto attrezzato con corde fisse, si raggiunge
finalmente il passo, annunciato dalla punta del parafulmine posto nei suoi
pressi (e tutt’altro che superfluo: la zona, per la presenza di
rocce con alto contenuto ferroso, è particolarmente bersagliata
dai fulmini; lo si tenga presente e si eviti, di conseguenza, di affrontare
la salita al passo in condizioni di tempo incerto).
La prima immagine che lo sguardo incontra, oltre il passo, è
quella del versante destro della Val Torreggio. Volgendo lo sguardo
a sinistra si vede il versante sinistro della Val Airale, prosecuzione
della Val Torreggio. Più a sinistra ancora, ecco il rifugio Desio
(m. 2830), chiuso perché pericolante, a seguito delle eccezionali
nevicate dell’inverno 2000-2001: esso rimane oltre il crinale,
per cui non è visibile per chi sale. Volgendosi ancora a sinistra
si ammirano la morena centrale di Preda Rossa, parte della costiera
Remoluzza-Arcanzo e, sul fondo, alcune fra le più famose cime
della Val di Mello, che, durante le precedenti giornate, abbiamo imparato
a conoscere bene: i pizzi del Ferro, la cima di Zocca ed i pizzi Torrone,
fra i quali spicca, per la forma a punta di lancia, il pizzo Torrone
orientale. Visto da qui, il rifugio Ponti non è che un piccolo
punto perso fra le gande.
Dal
passo di Corna Rossa, attraverso la Val Airale, si deve, ora, scendere
in Val Torreggio, il cui fondo è dominato dai Corni Bruciati.
Per farlo si seguono gli abbondanti segnavia rosso-bianco-rossi, che
dettano il percorso più razionale fra un mare di massi rossi
di tutte le dimensioni, in direzione sud-sud-est. Si presti attenzione
a non seguire la deviazione a sinistra, anch’essa segnalata, per
i laghetti di Cassandra.
In realtà potrebbe essere un’interessante variante visitare
questo splendido sistema di laghetti in un vallone nascosto ai piedi
del pizzo di Cassandra. In tal caso seguiamo i segnavia che ci guidano
nella traversata in direzione est, che ci porta a scendere da uno sperone
roccioso al più alto dei laghetti (m. 2746), nelle cui splendide
acque di un blu intenso si specchia il nevaio che scende dal ghiacciaio
della Cassandra. Proseguiamo, seguendo le rade indicazioni, descrivendo
un arco verso destra sud-est ed ignorando, sulla sinistra, la deviazione
per il passo Cassandra (m. 3097), che permette di accedere alla Vedretta
della Ventina, in alta Valmalenco.
L’arco descritto ci permette di giungere in vista dei due laghetti
inferiori (m. 2464). Prendendo ancora a destra scendiamo al più
grande, passando a sinistra di un pronunciato torrione, quotato 2710
metri, ed
a destra di una enorme ganda. In prossimità del laghetto dobbiamo
superare, con una certa fatica, una fascia di grandi massi rossi (seguiamo
i segnavia, per non complicarci inutilmente la vita). Poi, piegando
ancora a destra, superiamo una breve porta e, sfruttando un facile canalino,
raggiungiamo il pianoro quotato 2391 metri. Volgendo a sinistra e seguendo
i segnavia bianco-rossi, superiamo, con cautela, un sistema di roccette
e, dopo un’ultima discesa, intercettiamo il sentiero principale
che dal passo di Corna Rossa scende alla piana della Val Torreggio.
Ma torniamo a questo sentiero principale. Con una discesa piuttosto
monotona, questo, a quota 2560 circa, piega a sinistra, passando dalla
direzione sud alla direzione sud-est. Lasciati alle spalle i grandi
massi, proseguiamo la discesa su un terreno misto, fino a giungere in
vista della splendida piana della Val Torreggio, dove, a 2086 metri
di quota, troviamo il rifugio Bosio. La piana, nella quale il torrente
Torreggio disegna qualche pigro meandro, è dominata, ad ovest,
dai Corni Bruciati (settentrionale, m. 3097, e meridionale, m. 3114),
che, alla fine, risultano le cime che più risaltano nell’intero
Sentiero Roma: li possiamo vedere, sotto diverse angolatura, infatti,
dalla Val Ligoncio e dal passo del Barbacan nord fino alla Val Torreggio,
cioè
durante tutte le giornate della traversata, esclusa la prima.
Dal rifugio Bosio, infine, inizia l’ultima parte della discesa.
Possiamo scegliere di scendere a Torre S. Maria o a Chiesa Valmalenco.
Nel primo caso abbiamo due possibilità. Seguendo il sentiero
che dal rifugio comincia a scendere verso destra (est-sud-est), raggiungiamo
l’alpe Palù (m. 1971), dalla quale iniziamo una lunga traversata
sul fianco meridionale della Val Torreggio, che termina allo splendido
terrazzo dell’alpe Piasci, dove si trova anche il rifugio Cometti
(m. 1720). Qui giunge una carrozzabile sterrata (chiusa al transito
dei veicoli non autorizzati), che scende fino a Torre.
La seconda possibilità prevede di seguire per un tratto il sentiero,
segnalato, che, in direzione est, scende all’alpe lago di Chiesa,
effettuando una traversata sul fianco settentrionale della Val Torreggio.
Dobbiamo prestare attenzione alla nostra destra: dopo circa mezzora
di cammino troviamo, in una radura, un cartello (indicazione per Torre),
posto un po’ più in basso rispetto al sentiero principale,
che indica la partenza di un sentiero secondario che scende in una splendida
pineta (direzione sud), raggiungendo una radura e, poco oltre, il limite
settentrionale dell’alpe Acquabianca (m. 1568), nel cuore della
Val Torreggio, sul suo versante settentrionale. Il sentiero piega, poi,
a sinistra: seguendo i segnavia scendiamo,
quindi, all’alpe Son (m. 1364), dominata, sulla sinistra, dalla
dirupata rocca di Castellaccio (m. 1777).
La successiva discesa tocca le baite di quota 1284 e termina a Ciappanìco
(m. 1034), graziosa frazione di Torre S. Maria. Qui troviamo, sulla
parete di un’antica casa, la scritta “Benvenuti a Ciappanico
alto”, e, su un pannello arrugginito, l’indicazione “Sentiero
Roma”, che serve come indicazione per coloro che intendano effettuare
la traversata da est verso ovest (cosa, evidentemente, perfettamente
legittima e, in diversi punti, come il passo Camerozzo, perfino più
agevole, anche se la direttrice più tradizionale è quella
che abbiamo raccontato, da ovest ad est). Una strada asfaltata porta,
dopo 2,7 km, a Torre S. Maria.
Raccontiamo, infine, la discesa a Chiesa Valmalenco. Per effettuarla,
torniamo al rifugio Bosio: imbocchiamo il sentiero per l’alpe
Lago, che raggiungiamo dopo una lunga traversata sul fianco settentrionale
della Val Torreggio. L’alpe Lago è posta in una splendida
conca a quota 1614, che anticamente ospitava effettivamente un lago.
Sul limite orientale dell’alpe troviamo una carrozzabile che scende
fino ad intercettare la strada Chiesa-Primolo. Meglio, però,
seguire l’antica mulattiera, che troviamo nel primo tratto della
carrozzabile (se ne stacca sulla destra). Dopo una discesa nello splendido
scenario di un bosco di larici, giungiamo ad intercettare la già
citata strada Chiesa-Prìmolo, in corrispondenza di un tornante
destrorso. Seguendo la strada,
concludiamo la lunga discesa a Chiesa Valmalenco (m. 960).
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