Anello della valle d'Arigna

Alla scoperta dell'aspro cuore delle Orobie valtellinesi
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 Autore: M. Dei Cas

La valle d’Arigna rappresenta un po’ il cuore della catena orobica: qui si trova la sua cima più alta, il pizzo di Coca (m. 3050, unica vetta orobica, insieme ai pizzi di Scais e Redorta, a superare i 3000 metri), massima elevazione di una testata che, improvvisa, aspra ed apparentemente inaccessibile, si presenta a chi si addentri nella valle.
Arigna suona un po’ come arcigna, ed in effetti la valle, chiusa com’è da questa muraglia di roccia, mostra un volto severo, tipicamente alpinistico (il che giustifica la presenza di ben due bivacchi, il Resnati ed il Corti, e di un rifugio, la capanna Donati). E’ chiusa ad est dalla costiera che, dalle cime del Druet (m. 2913) scende, verso nord, al pizzo di Faila (m. 2491) ed al lungo dosso che va dalla Motta (m. 1957) al dosso Segürèl (m. 932), digradando poi dolcemente all’ameno terrazzo di Luviera (m. 726), in comune di Castello dell’Acqua. La costiera occidentale, invece, scende dal pizzo di Porola (m. 2981) al pizzo Biorco (m. 2749), alla punta di S. Stefano (m. 2693) ed al pizzo Culdera (m. 2176), che si affaccia sull’ampia conca dei laghetti di S. Stefano.
Nonostante queste premesse, che potrebbero suggerire condizioni difficili di accessibilità, esiste un interessantissimo anello di mountain-bike che, partendo dal piano, permette, percorso in senso anti-orario, di tagliarne entrambi i versanti, fino ad una quota di poco superiore ai 1000 metri. Punto di partenza è il ponte sull’Adda (m. 352) che si raggiunge staccandosi dalla ss. 38 dello Stelvio, in direzione sud (destra per chi proviene da Sondrio) all’altezza del passaggio a livello di Casacce (lo troviamo dopo aver incontrato, sempre provenendo da Sondrio, il cartello che indica l’inizio del comune di Ponte in Valtellina). Qui possiamo lasciare l’automobile e cominciare la salita sulla strada che porta ad Arigna e Briotti.
Dopo un chilometro e mezzo incontriamo Sazzo (m. 456), dove si impone la chiesa parrocchiale di S. Michele, più conosciuta come santuario di S. Luigi di Sazzo. Nel luogo in cui sorge la chiesa vi era, originariamente, una cappella della famiglia Quadrio, che possedeva anche, nei suoi pressi, un piccolo castello che dominava la rupe su cui poggia il paese. Nel seicento, poi, la cappella lasciò il posto alla chiesa, progettata dall’architetto ticinese Gaspare Aprile, consacrata nel 1664 e ben presto legata al culto del beato (poi santo) Luigi Gonzaga.
Proseguiamo nella salita, circondati da freschi boschi di castagno, e, ignorate le deviazioni per Albareda e Tripolo, raggiungiamo un trivio: prendendo a destra si prosegue verso Briotti, imboccando la strada centrale ci si dirige alla centrale dell’Armìsa, scendendo verso sinistra si raggiunge, in breve, Fontaniva. Si tratta di luoghi che toccheremo al ritorno: ora dobbiamo salire a Briotti, per cui impegniamo il tornante destrorso, incontrando, nella salita successiva, le contrade di Berniga (m. 835, ad 8 km dal ponte), Famlonga (m. 925, ad 8,5 km dal ponte) e Prestinè (m. 956, a 9 km dal ponte).
A 10 km dalla partenza, raggiungiamo i prati del bellissimo maggengo di Briotti (m. 1060), località posta in una posizione climaticamente e panoramicamente assai felice, che d’estate si anima per le diverse iniziative, connesse soprattutto con le strutture dell’impianto sportivo denominato Dosso del Grillo. Prima di raggiungere il centro della località, troviamo, sulla sinistra, un cartello che segnala una Pista Ciclabile (il medesimo che si trova anche presso il ponte da cui siamo partiti), e che indica un ripido tratturo: questo risale i prati e potrebbe essere utilizzato, in discesa, da chi intendesse tornare al ponte per la medesima via di salita.
Continuiamo, dunque, fino al parcheggio, prendendo poi a sinistra: la strada, che diventa pista, ci porta, in breve, ad attraversare, su un ponticello, il torrente Trìpolo, raggiungendo la parte orientale dei prati del maggengo. Incontriamo così, sulla nostra destra, un tratturo in cemento che si stacca dalla pista e risale, ripido i prati, diventando poi sentiero che si inoltra nel bosco. Si tratta del sentiero che raggiunge, dopo essere passato per la baita Spanone, il bacino artificiale di S. Stefano (m. 1848).
Noi, invece, proseguiamo sulla pista, trovando anche un cartello che ci conferma che si tratta di una pista ciclabile che sfrutta una ex-decauville e che si sviluppa in entrambe le direzioni (cioè verso est e verso ovest). Sfruttando la direzione sud-est, lasciamo alle spalle le ultime baite e ci addentriamo lungo il fianco occidentale della valle d’Arigna. La pista ha un fondo buono, erboso, e taglia il fianco montuoso che mostra, in diversi punti, il suo cuore di roccia. Dopo un tratto tranquillo, ci troviamo di fronte ad una breve fascia di massi, materiale franoso scaricato al versante della valle, che si va facendo più aspro e scosceso. Dobbiamo, quindi, per un breve tratto scendere di sella, per poi riprendere a pedalare, facendo attenzione a rimanere sul lato destro della pista, perché questa è esposta e priva di protezione. Dopo avere attraversato una brevissima galleria scavata nella viva roccia, percorriamo l’ultimo tratto della pista, giungendo in vista della Centrale dell’Armìsa (m. 1041), dove essa termina.
I cancelli della centrale sono chiusi, per cui, per portarci sull’altro lato della valle, dobbiamo scendere lungo il fianco del versante montuoso, raggiungere il torrente Armìsa e risalire dall’altra parte. Prestiamo, dunque, attenzione all’ultimo dei brevi ponti che incontriamo sulla pista: poco oltre, infatti, troviamo, sulla sinistra, una scaletta in sasso che porta ad un sentierino il quale, tagliando i ripidi prati, porta al fondovalle. Lo percorriamo scesi di sella e, giunti ai prati che guardano alle baite di Ca’ Pizzini, dobbiamo attraversare il torrente, cercando il punto più agevole, per poi risalire, facilmente, sul lato opposto, ad una pista sterrata che è posta, più o meno, alla stessa altezza dell’ex-decauville. Teniamo presente anche la soluzione più facile, ma non garantita, quella, cioè, di portarsi al termine della pista e chiedere ai guardiani, se ci sono e possono sentirci, di consentire il breve passaggio attraverso il piazzale della centrale.
Sul versante orientale della valle, in corrispondenza della piazzola che fronteggia il cancello della centrale, parte una ripida pista che vi si addentra, superando, con tratti piuttosto ripidi, un gradino di circa 200 metri e raggiungendo le Foppe (m. 1250), dalle quali si può proseguire fino alla piana di Prataccio (m. 1458) ed alle baite Michelini (m. 1499) o, con deviazione a sinistra, alle baite Moretti (m. 1459) ed alle baite Campèi (m. 1647), poste sul limite di un bellissimo bosco di conifere, alla Pesciöla (dal termine dialettale “pesc”, abete): qui parte anche il sentiero che sale al rifugio baita della Pesciöla, oltre il limite superiore del bosco, a 2004 metri. Ma torniamo alla piazzola di fronte alla centrale dell’Armìsa, dove troviamo il cartello che riporta alcune delle possibili mete escursionistiche offerte dalla valle, vale a dire la località Forni, a 1300 metri, data a 45 minuti, il Prataccio, a 1400 metri, dato ad un’ora, l’alpe Druet, a 1800 metri, data a 2 ore, il rifugio (così è definito, anche se è un bivacco) Resnati, 2000 metri, dato a 2 ore e 30 minuti, ed il rifugio Corti, 2500 metri, dato a 4 ore e 30 minuti.
Comincia dalla piazzola, dopo una salita che ci ha permesso di superare circa 690 metri di dislivello, la lunga discesa che ci porterà, dapprima, di nuovo sul versante occidentale (sinistro) della valle, per condurci, poi, ancora a quello orientale, più in basso. Prima di raccontarla, segnaliamo che alla centrale si può anche giungere sfruttando una via più breve e comoda, ma meno panoramica e suggestiva, poiché taglia fuori Briotti e la decauville: per farlo, basta prendere, al trivio prima delle contrade Berniga, Famlonga e Prestinè, la strada di centro (segnalata con i cartelli per Armìsa ed i rifugi Resnati e Corti), e percorrerla interamente, fino alla centrale. In questo caso, dal ponte di Casacce alla centrale calcoliamo 10,5 km.
Scendiamo, ora, lungo la pista che nel primo tratto si mantiene sul lato orientale della valle, per poi passare, con un ponte, su quello occidentale (ignoriamo una deviazione a destra: si tratta di una pista parallela che torna, più in basso, a congiungersi con quella che stiamo percorrendo). Raggiungiamo, in breve, la località S. Matteo, dove si trova, alla nostra destra, sotto il piano della strada, il rudere dell’omonima chiesetta, sulla cui facciata si legge l’iscrizione “1651 B. M. F. F.”. Il luogo, abbandonato, suscita un senso di desolazione. Eppure nei secoli passati si trattava di un centro assai importante: nel 1589, quando il vescovo di Como Feliciano Ninguarda vi giunse nella sua famosa visita pastorale, risiedevano qui 55 famiglie (il che significa, secondo un calcolo approssimativo, circa 300 persone), e la chiesetta era centro di una parrocchia, che solo tre secoli più tardi, nel 1886, venne trasferita più in basso, nella vicina Fontaniva. Ora questi luoghi sono immersi in un silenzio irreale.
Ma riprendiamo la discesa: dopo un tornante destrorso, troviamo, al successivo tornante sinistrorso, un cartello della Comunità Montana Valtellina di Sondrio, che segnala la mulattiera della valle d’Arigna, che si stacca dalla pista sia in discesa, sulla sinistra (questo ramo porta a Fontaniva), che in salita, sulla destra (questo secondo ramo porta a San Matteo). Dobbiamo, ora, scegliere se raggiungere Fontaniva rimanendo sulla più comoda pista, oppure imboccare la mulattiera, che richiede più attenzione, data l’irregolarità del fondo, ma, ovviamente, ci permette una discesa in uno scenario più suggestivo. In entrambi i casi non ci vorrà molto per raggiungere questa località (a circa 3,5 km dalla centrale dell’Armisa), che, peraltro, su diverse carte non si trova segnata con tale nome. Fontaniva, infatti, è il termine corretto per designare il paesino, che però è più conosciuto con il termine improprio di Arigna, toponimo che dovrebbe riferirsi alla sola valle, ma che viene riportato da diverse carte.
Siamo ad 814 metri, nel cuore della valle, dove possiamo ancora percepire il ritmo di un respiro antico. La valle d’Arigna è, infatti, fra le più ricche di tradizioni nel versante orobico. Basti ricordare, per tutte, la tessitura dei pezzotti, tappeti dai colori vivaci ottenuti utilizzando la canapa e scarti di cotone, lino e lana (attività che ha qui uno dei centri storici più importanti), e la cropa, un tipo di polenta cucinata nella panna, con farina di grano saraceno, cui vanno aggiunti un po’ di farina di granturco, una schiacciata di patate lessate e cubetti di formaggio magro. A Fontaniva possiamo anche osservare alcuni esempi di dimora tradizionale permanente, caratterizzata da mura di pietra e malta di calce, tetto sporgente a due spioventi, per proteggere scala e ballatoio, ed assenza della stalla-fienile, di solito separata ed anche distante dall’abitazione stessa. Motivo d’interesse è anche, infine, la chiesetta dedicata ai santi Carlo Borromeo e Ignazio di Loyola, costruita nel 1623. Nei suoi pressi si trova anche un interessante oratorio che risale al secolo successivo. Sostiamo qualche attimo appena a monte della chiesetta, volgendo lo sguardo in direzione del versante retico: potremo ammirare, sulla sinistra, il gruppo di cime che culmina nella vetta di Rhon e, più a destra, l’ampio solco della Val Fontana.
Per proseguire nel circuito, dobbiamo, ora, raggiungere Gerna, frazione contigua a Fontaniva, e posta diverse decine di metri più in basso. Per farlo, possiamo sfruttare la comoda pista, percorrendola per un tratto verso nord, per poi imboccare la deviazione, sulla destra, che ci riporta, verso sud, alle case. Raggiungiamo, così, un bel lavatoio coperto, presso le case più basse: di qui parte un sentiero ben marcato, che scende, deciso, verso il cuore della valle. Nel primo tratto un po’ ripido, per cui è consigliabile scendere, per pochissimo tempo, di sella. Caliamo, così, proprio nel cuore della valle, raggiungendo l’antica mulattiera che serviva come accesso alla stessa.
Procedendo verso sinistra (nord), raggiungiamo, dopo poche centinaia di metri, in uno scenario un po’ cupo, ma di sicuro impatto emotivo, per la selvaggia bellezza, un ponticello di pietra (m. 600 circa), che si aggrappa a due speroni di roccia sugli opposti versanti della valle. Qui alla suggestione si sostituisce, forse, la paura: se, infatti, al ponte guardiamo in basso, cercando il torrente Armìsa, noteremo un salto impressionante. Il torrente scorre seminascosto e rinserrato da impressionanti forre, e crea anche diverse marmitte dei giganti. La solitudine e l’aspetto orrido del luogo non mancheranno di impressionarci, ma cerchiamo di immaginare che un tempo qui passavano diversi contadini, che, scendendo da Fontaniva, si recavano a lavorare i prati di Costabella, sul versante opposto della valle, più in basso. Oltrepassato il ponte, troviamo, alla nostra destra, un’impressionante forra di rocce scure, che sembra una specie di porta di accesso al cuore oscuro della terra.
Poi, seguendo la mulattiera che scende dolcemente verso nord, guadagniamo luoghi più rassicuranti. Poco meno di 150 metri a valle del ponte incontriamo, sulla destra, la deviazione per Luviera: il sentiero sale al bel terrazzo (m. 728) che ospita questa frazione di Castello dell’Acqua (oltrepassando il ponte, anche se non ce ne siamo accorti perché rapiti dall’orrida bellezza dei luoghi, siamo passati dal territorio del comune di Ponte in Valtellina a quello del Comune di Castello). Questa deviazione può essere sfruttata da chi voglia percorrere un più ampio circuito: scendendo di sella ed affrontando una salita con un dislivello di circa 140 metri, si può, poi, riprendere a pedalare, a Luviera (m. 728), seguendo la comoda strada che porta, in leggera discesa, al centro di Castello dell’Acqua (m. 664), e successivamente, prendendo a sinistra al cimitero posto poco sotto, scendere comodamente al ponte del Baghetto.
Noi scendiamo, invece, al medesimo ponte per una via più diretta: proseguendo, infatti, sulla mulattiera (con fondo discreto, che richiede però, sempre, attenzione), passiamo a valle dei bei prati di Costabella (m. 615) e concludiamo la discesa sulla mulattiera alla frazione di Bruga (m. 479), adagiata sui prati di un bel balcone posto allo sbocco della valle d’Arigna, sul suo fianco orientale. Qui termina la mulattiera, e la discesa prosegue su una comoda stradina asfaltata che, dopo diversi tornanti all’ombra di una bella selva, ci porta al piano, nei pressi del ponte del Baghetto (o ponte Baghetto, m. 349).
Invece di dirigerci verso il ponte, prendiamo, però, subito a sinistra, percorrendo una stradina che ci porta ad una pista ciclo-pedonale. Tagliamo, così, i prati di Armisa, dai quali, volgendo lo sguardo a sinistra (sud), possiamo dominare lo sbocco della valle di Arigna. Attraversato il torrente, percorriamo l’ultimo tratto della pista, che ci conduce al ponte di Casacce, dove l’anello, dopo circa due ore di pedalata, si chiude. Lo stesso anello, ovviamente, può essere percorso, in un tempo approssimativamente doppio, a piedi.

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