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Il Ghiacciaio della Ventina
Faccia a faccia con il ghiacciaio in ritirata
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Nel 1884 la “Guida alla Valtellina”, edita a cura della
sezione Valtellinese del CAI, presentava l’escursione al lago
Piròla in questi termini: “Una gita facile e breve da Chiareggio
conduce per la Valle Vantina, a sud-ovest, al lago Pirola. Si attraversa
prima il Mallero al di sotto del punto di congiunzione tra i due torrenti
di Valle Ventina e Valle delle Disgrazie, e si sale lungo il fianco
destro della Valle Ventina per un sentiero assai comodo. Arrivati all’alpe
Ventina, dove termina l’immenso ghiacciaio che porta lo stesso
nome, si abbandona la valle, salendo a sinistra fino al lago...”
Se oggi raggiungiamo l’alpe Ventina ed il punto di partenza del
sentiero per il lago, non possiamo non restare perlomeno sorpresi da
questa descrizione: non vediamo un immenso ghiacciaio, ma solo un ghiacciaio
di dimensioni ridotte, la cui fronte è parecchio più arretrata
rispetto al punto in cui siamo. È passato più di un secolo,
e nel frattempo il ghiacciaio della Ventina (questo è il suo
nome) ha subito un clamoroso processo di ritiro (processo, c’è
da dire, iniziato già prima, ed intervallato da pause).
Difficile
capirne fino in fondo i motivi. Certo è che le modificazioni
climatiche hanno giocato, e giocheranno sempre di più, in futuro,
un ruolo determinante. È stata, infatti, formulata la previsione
secondo la quale l’innalzamento della temperature media del pianeta,
conseguenza dell’aumento della concentrazione dell’anidride
carbonica nell’atmosfera, porterà, intorno al 2050, alla
scomparsa di tutti i ghiacciai alpini al di sotto dei 3500 metri.
Fatto sta che, dopo la cosiddetta piccola età glaciale, che ha
interessato, pressappoco, i tre secoli compresi fra il 1550 ed il 1850
(e che molto probabilmente ha determinato un’espansione del ghiacciaio,
che ha raggiunto la posizione più avanzata nel 1600), il ritiro
è iniziato nell’Ottocento. La prima rilevazione, del 1815,
di L. Marso, ne colloca la fronte là dove oggi inizia la grande
morena, al termine della spianata che ospita i rifugi Gerli-Porro e
Ventina. Nella seconda metà dell’ottocento, stando a quello
che troviamo nella Guida alla Valtellina, l’arretramento non doveva
essere stato particolarmente marcato. Poi, la rilevazione del 1920 fa
segnare, rispetto a quella del 1815, un regresso di 180 metri. La tendenza
si inverte negli anni Venti del Novecento, ma dal 1928 riprende la serie
dei regressi. Nel 1953 la fronte regredisce di 70 metri, nel 1964 addirittura
131; nel 1965 di 90 e nel 1966 di 81 metri. Dopo il regresso del 1970,
nuova inversione di tendenza: negli anni Settanta ed Ottanta si ha un’avanzata,
per quanto modesta (circa 100 metri complessivi). Poi, di nuovo regresso.
Oggi, grazie al sentiero glaciologico Vittorio Sella (istituito nel
1992 dal Servizio Glaciologico Lombardo e dedicato a Vittorio Sella,
alpinista, esploratore e pioniere della fotografia alpina), è
possibile un incontro ravvicinato con questo ghiacciaio, e soprattutto,
grazie ad una serie di targhe poste nei punti in cui la fronte si è
attestata in diversi anni, è possibile rendersi conto delle tappe
e delle dimensioni del suo ritiro. Lo possiamo fare, oltretutto, con
un’escursione di impegno modesto, ma di grande interesse e suggestione.
Punto
di partenza è Chiareggio (m. 1612), noto centro
di villeggiatura in alta Valmalenco, a 14 km da Chiesa Valmalenco (28
km da Sondrio). Raggiunte le case del paesino, lo attraversiamo interamente,
seguendo le indicazioni per il parcheggio, al quale scendiamo, sulla
sinistra, proprio al suo limite occidentale. Il parcheggio è
costituito dall’ampia spianata che si stende sulle rive del Mallero;
percorriamolo interamente verso sinistra (cioè nell’opposta
direzione di marcia rispetto a quella tenuta per attraversare il paese),
fino al suo limite, e qui lasciamo l’automobile (m. 1590).
Procedendo per un breve tratto verso est, troviamo il ponte sul Mallero
che porta dalla riva settentrionale a quella meridionale; un cartello
indica il rifugio Gerli-Porro ad un’ora di cammino ed il rifugio
Ventina ad un’ora e 5 minuti. Raggiunta la riva opposta, prendiamo
a destra, imboccando il tratturo che porta all’alpe Ventina, dove
si trovano i due rifugi già menzionati. Nel cuore della stagione
estiva, non soffriremo certamente la solitudine: frotte di escursionisti
di ogni età sciamano, infatti, da Chiareggio salendo ai due rifugi,
sfruttando l’opportunità, non frequente, di raggiungere,
in un’ora o poco più di cammino, uno splendido scenario
di alta montagna, quello rappresentato dall’alpe Ventina.
Il tratturo sale con una pendenza abbastanza moderata e regolare (anche
se nell'ultima parte la pendenza si fa più severa), descrivendo
un largo arco che ci porta all’ingresso della Val Ventina, la
più meridionale della tre valli maggiori nelle quali si suddivide
l’alta Valmalenco a monte di Chiareggio. Ci sono solo due tornanti,
l'uno consecutivo all'altro. Appena prima del tornantino sinistrorso
si stacca dalla pista, sulla destra, un sentiero che scende al ponte
del Mallero nei pressi dell'alpe Forbesina: di qui passa la primissima
parte della terza tappa dell'Alta Via della Valmalenco. Appena dopo
il successivo tornante destrorso troviamo, su un masso alla nostra sinistra,
l'indicazione che segnala la partenza del sentiero per il lago Pirola.
Continuiamo a salire verso i rifugi dell'alpe Ventina. La pista attraversa
una fascia di materiale franoso, che scende da un evidente canalone
posto in alto, a sinistra. Alla sua destra, il profilo scuro del Torrione
Porro. Poco oltre, vediamo, sulla nostra sinistra, un secondo sentiero,
segnalato, per il lago Pirola (sigla LP): si tratta di un sentiero che
si congiunge con quello che parte più in basso.
Al termine del tratturo, dopo circa un’ora di cammino, ci troviamo
di fronte i rifugi Gerli-Porro (si tratta di due rifugi
contigui), a 1965 metri, sul limite della splendida piana dell’alpe
Ventina. Il primo è dedicato ad Amerino e Maria Gerli, mentre
il secondo è sorto nel 1936, in ricordo di Augusto Porro, travolto
da una slavina sul Piz Corvatsch l’anno precedente; nei suoi pressi
si trova anche una cappelletta dedicata ai caduti in montagna ed un
pannello che illustra le caratteristiche del sentiero glaciologico che
andremo a percorrere (lunghezza: 3,5 km; dislivello totale: 175 m; tempo
di percorrenza: 1 ora e 30 minuti; difficoltà: E). Più
avanti, quasi appartato e discreto, sorge il rifugio Ventina (m. 1975).
Dobbiamo procedere in quella direzione, seguendo le indicazioni per
il passo di Ventina (m. 2675), che permette di scendere in Val Sassersa,
seguendo il percorso della seconda tappa dell’Alta Via della Valmalenco
(la quale parte dal rifugio Bosio e si conclude proprio ai rifugi Gerli-Porro).
Passiamo, dunque, proprio sotto il rifugio Ventina
e, sfruttando un ponticello, scavalchiamo un ramo del torrente che scende
proprio dal ghiacciaio. Su un grande masso accanto al ponticello è
posto il cartello che segnala la posizione più avanzata della
fronte raggiunta in epoca storica, forse nel XVII secolo. Con uno
sforzo di immaginazione, proviamo a raffigurarci l’intera valle
che ci sta di fronte occupata da un’immane massi di ghiaccio.
Scavalcato, su un ponticello, un secondo ramo del torrente, proseguiamo,
fra massi, terreno morenico e radi larici, seguendo i segnavia (ce ne
sono di diversi tipi: i triangoli gialli dell’Alta Via, le bandierine
rosso-bianco-rosse e bianco-rosse, ma anche strisce di color blu). Terminata
la piana, cominciamo a salire in direzione del filo della grande morena
principale, ben visibile, sulla parte sinistra della valle.
Dopo un primo tratto di salita, a 2000 metri dobbiamo prestare attenzione
ad un bivio, perché l’Alta Via ed il Sentiero Glaciologico
si separano. La prima prosegue guadagnando il filo della morena e percorrendolo
quasi interamente, prima di puntare, con una salita ripida, al passo
Ventina, mentre il secondo prende a destra, tagliando il fianco del
versante che scende dalla morena, e portandosi verso il centro della
valle. Per non sbagliare, teniamo presente che, su due distinti grandi
massi, troviamo due frecce, una prima senza specificazioni, verso destra,
che indica il Sentiero Glaciologico, una seconda con la scritta “Passo
Ventina”, che indica l’Alta Via”. Il Sentiero Glaciologico,
nel punto di separazione, è segnalato da strisce blu (più
avanti anche da sbiaditi segnavia rosso-bianco-rossi e da bolli rossi).
Incontriamo, quindi, due cartelli, che segnalano la posizione della
fronte nel 1895 e nel 1910. Più avanti, quattro targhe su quattro
successivi massi segnalano la posizione della fronte nel 1920, nel 1932,
nel 1941 e nel 1956. Il ghiacciaio ci sta proprio di fronte, ancora
lontano, sovrastato dal pizzo Cassandra (m. 3226). Ne vediamo, per la
verità, solo la parte terminale. Si tratta di un tipico ghiacciaio
alpino, costituito da un’unica lingua glaciale che scende sul
fondovalle.
Se guardiamo alla nostra destra, vedremo, incassato fra ripide pareti
di roccia, un piccolo ghiacciaio pensile, che sta sospeso sopra un grande
salto. Si tratta del ghiacciaio della Vergine, che è di tipo
pirenaico, cioè più piccolo e rinserrato fra versanti
rocciosi. C’è anche un’antica leggenda, ben nota
a Chiareggio, legata al suo nome. Parla di una Vergine che venne,
un giorno, fra queste montagne, salì dall’alpe Ventina
verso i bastioni rocciosi del suo versante occidentale, dominato dal
monte Disgrazia, lasciando dietro di sé i suoi verdi veli, che
divennero tanti larici, e le lacrime del suo pianto, che divennero rivoli
gorgoglianti. Salì sempre più in alto, fra le nevi perenni,
finché fu rapita per sempre dalla montagna. Il canalone per il
quale salì venne da allora chiamato “Canalone della Vergine”,
le nevi fra le quali si perse “Ghiacciaio della Vergine”.
La leggenda vuole che nessun uomo possa risalire questo canalone e mettere
piede sul ghiacciaio se nella sua mente vi è il pensiero di altra
donna che non sia questa Vergine purissima: ogni altro pensiero lo respinge
indietro, con dense nubi che gli fanno perdere l’orientamento
e scariche di ghiaccio che lo trascinano in basso. E le donne devote
di Chiareggio pregano sempre la Vergine perché le protegga. Noi
non ci spingeremo certamente tanto in alto, per cui non corriamo alcun
pericolo se il pensiero cade su qualche persona cara di sesso femminile.
Per un buon tratto restiamo a poca distanza dal ramo principale del
torrente, poi ce ne allontaniamo; su un sasso levigato troviamo un cordiale
“Benvenuti”. Iniziamo a salire più decisamente, seguendo
i segnavia rosso-bianco-rossi; possiamo osservare, alla nostra sinistra,
la scura parete della grande morena solcata da numerosi smottamenti.
Raggiunto, poi, un masso sul quale è segnata una grande freccia
bianco-rossa, a quota 2160, dobbiamo prestare attenzione: anziché
procedere, salendo diritti, nella direzione della freccia e dei segnavia
rosso-bianco-rossi, dobbiamo volgere a destra, seguendo due bolli rossi.
Oltre i bolli, non troviamo più segnali, se non qualche ometto,
ma il sentiero è abbastanza evidente. In alto, davanti a noi,
il ghiacciaio non si vede più, perché è nascosto
da una grande placca di roccia.
La salita ci porta proprio ai piedi di questa placca, e qui prendiamo
a destra, fino a guadagnare il filo di una piccola morena secondaria,
che poi seguiamo per un breve tratto, piegando quindi di nuovo a destra
e salendo sul filo di una seconda piccola morena. Alcuni ometti ci indicano
la direzione da tenere. Saliamo per un tratto e prendiamo di nuovo a
destra: finalmente il ghiacciaio riappare, ed ora non abbiamo più
dubbi sulla direzione da tenere per raggiungere la sua fronte.
Ci ritroviamo, alla fina, a sinistra di uno sperone di ghiaccio ricoperto
di materiale, che costituisce il punto più basso del ghiacciaio
(nell’agosto del 2006; ma il ghiacciaio ha la sua vita, e forse
anche la sua morte, per cui le cose cambiano). Eccoci, infine, al cospetto
dell’attuale fronte, a 2225 metri. Nella sua parte di destra esso
mostra un salto, sotto il quale si intuisce una sorta di piccola grotta.
Dai suoi recessi il ghiacciaio lascia defluire numerosi rivoli che si
incontrano e scendono a valle con impeto, nei diversi rami del torrente.
Non vi è luogo nel quale si capisca meglio che il ghiacciaio
è vivo di questo. L’immagine spontanea che ne abbiamo,
quella cioè di una massa compatta di ghiaccio, una sorta di immenso
ghiacciolo, non potrebbe essere più falsa. Intuiamo, qui, i suoi
segreti cunicoli, e l’acqua che vi scorre, come il sangue nelle
vene, ed i movimenti delle grandi placche che si assestano e riassestano,
come muscoli intorpiditi che periodicamente si scuotono, e le fessure
che lo percorrono, come giunture ed articolazioni. Ci pare di sentire,
quasi, la sua paura, paura di animale che si ritira, si rintana, indietreggia
verso più alte e sicure quote, là dove sente essere la
sua più autentica dimora. Sentiamo, quasi, il suo lento dissanguarsi,
nel gorgogliare irridente delle gelide acque. Un po’ per rispetto,
un po’ per prudenza, evitiamo di mettere piede sul suo corpo,
e prendiamo la via del ritorno.
La distruzione del ponticello che serviva a passare sull’altro
lato del torrente e la problematicità del guado ci consigliano
di lasciar perdere il ramo del sentiero glaciologico che scende sul
lato opposto della valle (cioè su quello occidentale) e di tornare
per la medesima via di salita (consiglio che troviamo scritto anche
nel pannello segnaletico nei pressi dei rifugi Gerli-Porro).
Dopo circa due ore, o poco più, dalla partenza da Chiareggio,
eccoci, dunque, di nuovo alla piana dei rifugi Gerli-Porro e Ventina.
Il dislivello complessivo superato non è eccessivo: 640 metri
circa. Ci viene, quindi, probabilmente la voglia di allungare un po’
l’escursione. Ecco un’idea originale per tornare a Chiareggio
sfruttando un percorso suggestivo fra alpeggi poco conosciuti.
Poco a monte del rifugio Gerli-Porro troviamo un ponte in legno che
ci porta sul lato opposto del torrente, a ridosso del versante boscoso.
Qui un cartello segnala la partenza del sentiero per l’alpe Zocca
e l’alpe Sentieri, dalla quale possiamo scendere a Chiareggio.
Il sentiero parte a pochi metri (è quello che sale deciso nel
bosco, segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi e da bolli gialli, non
quello che procede pianeggiante sul limite dei prati dell’alpe).
Per un buon tratto non ci dà respiro: si arrampica, con serrati
tornantini, nel bosco di larici, in direzione ovest; durante qualche
sosta, possiamo dare un’occhiata al versante orientale della Val
Ventina, che ci propone, da sinistra, il Torrione Porro (m. 2435), la
depressione del bocchel del Cane (m. 2541), la punta Rosalba (m. 2803),
l’imponente e massiccia cima del Duca (m. 2968), il passo Ventina
(m. 2675) e la piramide regolare e scura del pizzo Rachele (m. 2998);
restano, invece, nascosti, sulla destra, il ghiacciaio della Ventina
ed il pizzo Cassandra.
A quota 2090 raggiungiamo una pianetta ed il sentiero volge a sinistra,
uscendo alla macchia, con andamento quasi pianeggiante. Qui viene intercettato
da un sentierino che proviene da sinistra, e riprende a salire gradualmente,
svoltando a destra. Raggiungiamo, così, il limite meridionale
dell’alpe Zocca, e comprendiamo anche il motivo di tale denominazione:
il sentiero passa, infatti, leggermente alto (siamo a quota 2180) rispetto
ad una conca che si stende alla sua sinistra. Si tratta del fondo di
un laghetto interrato, che è diventato terreno di torbiera.
Superate alcune formazioni rocciose, sulla sua destra, il sentiero passa
a sinistra di una seconda e più ampia zocca, il cuore dell’alpe,
un luogo che dire incantevole è dir poco. Non ci si può
non sedere di fronte a questa splendida conca verde, ad assaporare il
profondo silenzio ed il suggestivo panorama. Non si vedono più,
a destra, il passo Ventina ed il pizzo Rachele, ma, in compenso, possiamo
ammirare, a sinistra, la punta di Fora (m. 3363) e la triade dei pizzi
Tramoggia (m. 3441) e Malenco (m. 3438) e della Sassa d’Entova
(m. 3329).
Il sentiero prosegue e passa a sinistra di una baita (m. 2198), prima
di attraversare una sorta di porta che dà accesso alla parte
terminale dell’alpe. Si apre, davanti a noi, anche lo stupendo
scenario della Valle del Muretto, presidiata, a sinistra, dal monte
del Forno (m. 3214). Dopo essere passati a monte di una terza zocca,
più piccola, raggiungiamo una grande baita diroccata, con la
scritta “Museo Valmalenco”.
Raggiunto il limite dell’alpe, cominciamo a scendere, oltrepassando
una pozza. Dobbiamo stare attenti, poi, a non scendere diritti per l’invitante
corridoio erboso che ci sta davanti: dobbiamo piegare a destra, seguendo
i segnavia. In generale, non pensiamo mai di scendere a vista per i
boschi: finiremmo sopra salti rocciosi insormontabili. Nella discesa,
passiamo a destra di un’ampia radura, sul cui fondo appare, bellissima,
la parte settentrionale della testata della Val Sissone, con il monte
Sissone (m. 3330) e le cime di Rosso (m. 3366) e di Vazzeda (m. 3301).
Poi il sentiero, per un breve tratto, piega a destra e, sul fondo, davanti
a noi, scorgiamo, per pochi istanti, il caratteristico tetto rosso dei
rifugi Gerli-Porro.
Dopo una svolta a sinistra, scendiamo fino al limite dell’alpe
Sentieri (m. 2031), incorniciata dall’intera testata della Val
Sissone: ecco quindi apparire, a sinistra del monte Sissone, la piramide
della punta Baroni (m. 3203) e, alla sua sinistra, le cime di Chiareggio
centrale (m. 3107) e sud-orientale (m. 3093). Si vedono anche, più
a sinistra ancora, il passo di Mello (m. 2992) ed uno scorcio del monte
Pioda (m. 3431). Alle nostre spalle, invece, della Val Ventina resta
solo una finestra piccolissima, che mostra il Torrione Porro emergere
dai larici che delimitano l’alpe.
Scendiamo,
quindi, alle baite più basse, in una splendida conca di prati;
oltre l’ultima baita un ometto di pietre bianche indica la ripartenza
del sentiero, che, dopo una svolta a destra, scende con alcuni tornantini
fino ad una radura (m. 2015), che percorriamo interamente; di fronte
a noi, i pizzi Tremoggia e Malenco e la Sassa d’Entova. Al termine
della radura, dobbiamo stare attenti a non proseguire in piano, ma a
scendere, sulla sinistra (seguiamo sempre i segnavia; in questo caso
ne vediamo uno, sbiadito, sul tronco di un albero).
Inizia, ora, una lunga discesa nella quale inanelliamo una serie che
ci sembra interminabile di tornantini. A quota 1920 si congiunge al
nostro sentiero un sentierino che proviene da destra. A quota 1720 intercettiamo
un sentiero che proviene da sinistra, e continuiamo a scendere. Il rumore
del torrente che scende dalla Val Sissone si fa sempre più fragoroso.
La discesa termina poco sotto quota 1700, sulla ganda del torrente della
Val Sissone, che attraversiamo su un ponte di legno. Il sentiero, quindi,
prende a destra ed intercetta la pista che si addentra in Val Sissone,
in corrispondenza di un cartello che indica, nella direzione dalla quale
proveniamo, la deviazione per l’alpe Sentieri. Non ci resta che
percorrere la pista verso destra, fino a raggiungere il ponte sul Mallero.
Attraversata, poi, la pineta di Pian del Lupo, ci ritroviamo al parcheggio
di Chiareggio, nel quale abbiamo lasciato l’automobile.
Questo anello, che comporta un dislivello complessivo di 850 metri,
richiede approssimativamente 3 ore e mezza di cammino.
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 620 (o 850) |
Tempo |
1 h e 30 min (o 3 h e 30
min) |
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Cartina
Kompass n.93 - Bernina Sondrio |
Testo e fotografie a cura di M.Dei
Cas |
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