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Il Sentiero Italia
Direttrice Meridionale
dalla Valchiavenna alla Valmalenco
1a
Tappa - Da Novate Mezzola, in Valchiavenna, a Codera, in Val Codera.
La terza sezione del tratto Lombardia nord del sentiero
Italia, percorsa dalla staffetta ANA-CAI nel 1999, permette di passare
dalla Val Codera alla Valmalenco, seguendo una direttrice pi& meridionale
rispetto al classico tracciato del sentiero Roma (vedi
relativa presentazione).
Diversi sono quindi gli scenari: mancano i profili maestosi ed imponenti
delle più alte vette di Val Masino, ma si ha modo di apprezzare e scoprire
i più diversi volti della montagna, anche quelli meno noti, ma non meno
suggestivi.
La quota media si abbassa ai 1500-1600 metri, il che rende anche m eno
impegnativa, fisicamente, una traversata che merita di essere compiuta.
La prima tappa di questo itinerario, che può essere portato a termine
con una certa comodità in cinque giorni (ma sono possibili, ovviamente,
soluzioni diverse: un buon camminatore può farcela in tre giorni, ma si
può prendere molto più tempo, gustando in sette giorni, attraverso numerose
digressioni, tutti gli aspetti che meritano di essere osservati) coincide
con quella del sentiero Roma: si lascia l'automobile nel piazzale della
località Mezzolpiano (m.316), a Novate Mezzola, per salire lungo una severa
ma ben curata mulattiera che, superata la terminale sponda granitica del
lato destro orografico della valle, vi si inoltra, attraversando l'abitato
di Avedee, a 790 metri, e puntando verso il paese di Cod era,
con un tracciato indimenticabile, che scende di un centinaio di metri
per superare valloni dirupati, anche con l'ausilio di due gallerie paramassi.
Attraversata la seconda galleria, si torna a salire e si raggiunge il
paese, annunciato dal cimitero e dall'imponente campanile (m.825). Siccome
la prima tappa del sentiero è la meno impegnativa, vale la pena di fermarsi
a gustare l'abitato, che non rimane deserto neppure nei mesi invernali
e presenta, fra gli altri motivi di interesse, un caratteristico museo
etnografico.
A Codera ci si può fermare a pernottare, scegliendo fra il rifugio
La Locanda Risorgimento, che si incontra subito, presso il sagrato
della Chiesa, o il rifugio
Osteria Alpina, che invece si raggiunge addentrandosi nel paese. Questa
prima giornata non è faticosa, perchè la salita a Codera non richiede
più di due ore e mezza (il dislivello, calcolando che si perde quota nel
tratto sopra menzionato, è di poco più di seicento metri). Resta quindi
molto tempo a disposi zione:
suggerisco di impiegarlo per addentrasi nella media valle, fino a raggiungere
il rifugio Brasca (vedi
anche presentazione del sentiero
Roma, prima tappa). E' però anche possibile unificare questa tappa
con quella che qui viene presentata come seconda: in una giornata, anche
se con un po' di fatica, si può infatti raggiungere Frasnedo partendo
da Novate Mezzola.
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 600 |
Tempo |
2 h e 30 min |
2a
Tappa - Da Codera a Frasnedo (dalla Val Codera alla Val dei Ratti)
Questa tappa si regge sull'ipotesi che si possa trovare
a Frasnedo un punto di appoggio, per il pernottamento, nell'edificio dello
spaccio, aperto nel mese di agosto (per informazioni telefonate allo 034344337
oppure 034344064).
Se così non fosse, non resterebbe che sobbarcarsi una faticosissima giornata
di marcia da Codera al bivacco
Primalpia o al rifugio
Volta. Ma siamo ottimisti e, seguendo le indicazioni (il cartello
con la sigla S.I., che più volte si incontra nella traversata), scendiamo
dalle case di Codera al bel ponte sul torrente, sospeso per una quarantina
di metri sul vuoto. Oltre il ponte si trova un bivio: prendendo a destra
si giunge ben presto ad un secondo bellissimo ponte, sospeso sulla forra
terminale della val Ladrogno, laterale di sinistra della Val Codera.
Ad un nuovo bivio, si lascia alla propria sinistra il sentiero che sale
verso il bivacco Casorate-Sempione,
puntando verso l'abitato di Cii (m. 851), dove si trovano capre, talvolta
anche pastori e, soprattutto, un'ottima visuale sul lago di Mezzola e
sull'alto Lario. Oltre le baite di Cii, il sentiero riprende, con una
traccia meno marcata, che sale ad intercettare, poco sopra i 900 metri,
il Tracciolino (vedi relativa presentazione).
Questo sentiero, costruito negli anni trenta per congiungere le prese
di Val Codera con il bacino Sondel in Val dei Ratti, si snoda, pianeggiante,
per oltre dodici chilometri fra dirupi e valloni, e costituisce, per buona
parte del suo percorso, una sezione del sentiero Italia. Infatti lo si
segue per un buon tratto, superando il vallone della val Grande e raggiungendo
una grande baita isolata, poco oltre la quale si intercetta un sentiero
che offre una duplice possibilità, quella di raggiungere, salendo, il
paese di Cola (m. 1018), e quella di incamminarsi, scendendo, alla volta
di San Giorgio di Cola. Se avete tempo, salite a Cola (si raggiungono
le sue baite in pochi minuti): l'atmosfera fuori del tempo e l'ottimo
panorama sull'alto Lario ripagheranno
ampiamente il supplemento di fatica.
Tornate poi al trivio e, lasciando il Tracciolino, scendete per quasi
duecento metri nel cuore impressionante del vallone di Revelaso, una sorta
di Purgatorio da cui si riemerge, sul lato opposto del vallone, superando
un tratto di sentiero esposto e non protetto (attenzione, dunque). La
risalita porta in breve tempo al bellissimo abitato di San Giorgio di
Cola (m. 748), dove si troveranno sicuramente persone gentili disposte
a regalare indicazioni e consigli. San Giorgio se ne sta adagiato in una
bella conca, nascosta alle spalle di un impressionante sperone roccioso,
sul lato sinistro idrografico della Val Codera, dal quale scende un'ardita
mulattiera, quasi gemella di quella percorsa il primo giorno, che porta
alla frazione Campo di Novate Mezzola (si tenga presente che è dunque
possibile sfruttare questa mulattiera per passare, nella prima giornata,
da Novate Mezzola a Frasnedo, tagliando fuori Codera).
Riprendendo il cammino e seguendo le indicazioni, si sale di nuovo alla
volta del Tracciolino, incontrando, presso l'ultima ca sa,
un avello celtico che testimonia un'antichissima colonizzazione del paese.
Superati il cimitero ed un bel bosco di betulle, si intercetta il Tracciolino,
che, percorso in direzione della Val dei Ratti, conduce ben presto ad
una serie di gallerie che permettono di superare valloni e strapiombi
impressionanti. Qui capisce cosa sia l'aspetto orrido della montagna:
pareti granitiche incombono sopra la testa e talora sembrano voler inghiottire
l'inerme escursionista, mentre sotto si aprono voragini paurose. Eppure
il sentiero sembra dipanarsi sicuro, ed è sempre abbastanza largo e protetto,
tanto da infondere sicurezza. Si badi comunque, in alcuni tratti, ai sassi
che potrebbero cadere dall'alto. Sarebbe buona cosa munirsi di un casco
(ed anche di una torcia, perchè la più lunga delle gallerie misura circa
trecento metri). Poi, proprio al termine de lla
galleria più lunga, lo scenario si ingentilisce un po' e, seguendo i binari
e facendo attenzione ai carrelli che potrebbero percorrerli, ci si avvia
rasserenati alla casa dei guardiani che precede di poco la fine del Tracciolino.
Non lo si segue però fino alla fine, ma lo si lascia quando si intercetta
il sentiero che da Verceia sale verso Frasnedo
Non ci vuole molto per raggiungere l'abitato di C�sten (m. 975), dove
si comincia a scorgere parte della testata della Val dei Ratti, e precisamente
la Cima del Desenigo. Ci vuole ancora poco più di mezzora di cammino prima
di concludere questa tappa.
Se la giornata è bella, si può gustare uno scenario ben diverso da quello
dell'orrido cuore granitico percorso dal Tracciolino: la Val dei Ratti
mostra il suo volto misterioso (è infatti, questa, una valle poco conosciuta
in quanto, come la Val Codera, non può essere raggiunta mediante una carrozzabile
e, a differenza di quella, è molto meno frequentata dagli escursionisti).
Ecco la meta, Frasnedo (m. 1287), paese che d'estate si anima di gente
orgogliosa delle proprie radici e diffidente rispetto ad ogni ipotesi
di più facile accessibilità della valle. Proprio all'uscita del paese,
in corrispondenza del punto di arrivo della teleferica che lo serve, si
trova l'edificio dello spaccio che dovrebbe servire come punto di appoggio
per il pernottamento di chi percorre il sentiero Italia. Qui si può attendere
la sera, godendo, se la giornata è limpida, di un'ottima visuale sull'alto
Lario e preparando, nella propria immaginazione, la terza tappa.
Se volete saperne di più, aprite la presentazione della terza tappa, tratto
che porta da Frasnedo al rifugio Volta.
Ah, volete sapere quanto ci si può mettere a percorrere
questa seconda tappa? Difficile dirlo. Il dislivello complessivo non è
certo proibitivo, e si aggira intorno ai 750 metri. Lo sviluppo in lunghezza
è però notevole. Cinque ore complessive, al netto delle soste, possono
essere un tempo medio attendibile. |
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 750 |
Tempo |
5 h |
3a
Tappa - Da Frasnedo al rifugio Volta, in Val dei Ratti
Dunque, abbiamo ipotizzato di poter dormire a Frasnedo:
in caso contrario, questa terza tappa va unita alla seconda e conviene
salire al bivacco Primalpia,
piuttosto che al rifugio
Volta, risparmiando più di un'ora di cammino.
Si lascia, dunque, Frasnedo, sfruttando prima un tratturo, poi un sentiero
che, rimanendo sulla destra idrografica della valle, scende a Corveggia
(m. 1221) per risalire ai prati di Tabiate (m. 1253). Le indicazioni sono
buone, e permettono di ignorare le deviazioni a destra, che conducono
sul versante opposto della valle. Intorno ai 1400 metri si incontra un
nuovo bivio, e qui si può optare per la duplice possibilità di cui ho
parlato. Scendendo, infatti, verso destra si attraversa su un ponticello
il torrente, per poi raggiungere un prato con alcune baite. Sul limite
superiore destro del prato parte un sentiero segnalato che raggiunge prima
l'alpe di
Primalpia bassa (caratterizzata da un grande larice solitario al centro
del prato), quindi quella superiore, dove, dopo una lunga traversata verso
sinistra (nord est), si raggiunge, dopo due-tre ore dalla partenza, il
bivacco Primalpia, a 1980 metri.
Dal bivacco un sentiero prosegue verso nord, giungendo ad intercettare
il sentiero che sale al passo di Primalpia. La collocazione del bivacco
è, dal un punto di vista panoramico, particolarmente felice, perchè permette
di dominare buona parte della testata della valle. Se però si è potuto
pernottare a Frasnedo, vale la pena di salire al rifugio
Volta, seguendo il percorso vero e proprio del sentiero Italia.
Torniamo, dunque, al bivio ed ignoriamo la deviazione a destra, salendo
ad una prima baita posta a m.1475 e, dopo una seri e
di ripidi tornanti, all'alpe Camera, posta su un bel pianoro, a m. 1792.
Siamo ormai di fronte ai gradini rocciosi che introducono al circo terminale
della valle, e si offrono due possibili percorsi. Il primo, non segnalato
e più breve, si stacca, in corrispondenza di un evidente dosso sulla sinistra,
da quello segnalato, e sale ripido, sfruttando anche un vallone, all'alpe
Talamucca, raggiungendo il rifugio Volta da sud ovest. Il secondo, che
fa parte del sentiero Italia, prosegue verso il centro della valle, ne
attraversa il torrente e risale gradualmente sul versante opposto, fino
ad intercettare il sentiero che dal dosso del Mot scende verso un ampio
vallone per poi risalire in direzione del passo di Primalpia. Non si può
sbagliare: seguendo il sentiero verso nord ovest, si risale l'ampio dosso
del Mot e si raggiunge l'alpe Talamucca, dalla quale il rifugio viene
comodamente raggiunto, dopo una traversata verso est.
Siamo a 2212 metri, il punto più alto raggiungo, finora, dal sentiero.
Di qui si scorgono le cime della testata della valle, a partire dal Sasso
Manduino, a sud ovest (m.2888), seguito dalla punta Magnaghi (m.2871),
dalle Cime della Porta, a nord ovest, dal pizzo Ligoncio (m.3038), dal
pizzo della Vedretta (m.2907), alla cui sinistra è collocato il passo
che congiunge la nostra valle
a quella dell'Oro, dal monte Spluga o Cima del Calvo (m.2967), verso nord
est e, infine, dalla Cima del Desenigo (m. 2845). A sinistra del pizzo
Ligoncio si può scorgere, in corrispondenza di una sorta di W, il passo
della Porta, che permette di scendere in val Spassato e, di qui, in val
Codera, al rifugio Brasca.
Tenete conto che da Frasnedo al rifugio Volta esiste un dislivello di
circa 920 metri e che in circa tre ore il rifugio può essere raggiunto.
Se però siete buoni camminatori, potete compiere in un'unica giornata
questa terza tappa e quella che presento come quarta (e quindi ridurre
le prime quattro tappe a due). |
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 920 |
Tempo |
3 h |
4a
Tappa - Dal rifugio Volta a Cataeggio, in Val Masino.
Il primo tratto di questa quarta giornata è un tornare
sui propri passi rispetto al cammino del giorno precedente: si scende,
infatti, dal rifugio Volta
al Mot e da questo al vallone risalito il giorno prima, senza però percorrerlo
fino in fondo: seguendo le segnalazioni, infatti, si taglia, un po' sotto
i 2000 metri, verso est (sinistra), per risalire un canalone che si fa
sempre più stretto e conduce al passo di Primalpia (m.2476).
Il sentiero non è ovviamente percorribile con uguale facilità lungo
tutto l'arco dell'anno. Il periodo ottimale è quello compreso fra i mesi
di luglio ed ottobre (se non nevica). La neve, ad inizio stagione o nel
primo autunno, può rappresentare un ostacolo ed anche un'insidia da non
sottovalutare. In primavera avanzata, poi, è massimo il rischio legato
alla caduta di massi.
Ma torniamo al nostro cammino. La salita verso il passo conduce dapprima
ad un laghetto posto a 2296 metri. La traccia passa a sinistra (per chi
sale) del laghetto e, per sfasciumi, sale ai 2476 metri del passo, che
rappresenta una porta suggestiva sulla media Valtellina, che si apre di
fronte allo
sguardo dell'escursionista. La sorpresa è grande: dalla misteriosa e nascosta
Val dei Ratti si ha l'impressione di essere passati ad orizzonti più ampi
e familiari.
Eppure anche la valle di Spluga, che ora bisogna percorrere interamente
in discesa, rivela un volto selvaggio, legato ai suoi scenari ed alla
sua difficile accessibilità (anche qui l'automobile non può oltrepassare
i 700 metri di Cevo, il paesino da cui parte la mulattiera che risale
la valle). Se si ha un po' di tempo, vale la pena di fare una puntata
al passo gemello di Talamucca, posto più a nord: basta seguire le indicazioni
per la capanna Volta, tagliando, poco sotto il passo, a sinistra ed aggirando
uno sperone roccioso. La visuale che da questo secondo passo si ha sulla
valle di Spluga e l'alto Lario è molto più ampia e suggestiva.
Terminata la diversione, si torna al passo di Primalpia e si inizia una
discesa che, nel primo tratto, è assai scarsamente segnalata ed avviene
su una traccia di sentiero molto labile. Si rimane sul versante destro
idrografico della valle, con una diagonale che perde quota solo molto
gradualmente, superando qualche valloncello, fino ad intercettare la traccia
segnalata che dal passo posto fra valle di Spluga e val Toate scende al
più grande dei laghi della valle di Spluga. Sebbene la discesa non sia
particolarmente problematica, è opportuno seguire le bandierine rosso-bianco-rosse
per superare agevolmente l'ultimo zoccolo con affioramenti rocciosi, che
presenta qualche tratto esposto. Il più grande dei laghetti dell'alta
valle di Spluga è una piccola perla, incastonata fra il pianoro (piuttosto
accidentato) terminale della valle ed il monte Spluga (o Cima del Calvo,
m.2967), che rappresenta la maggiore elevazione nella testata della valle.
Raggiunta
la sua sponda sud-orientale, ci si deve concedere una sosta per ammirarne
la bellezza, prima di passare sul lato opposto della valle. Un ulteriore
motivo di interesse è rappresentato dal fatto che non vi sono altri laghi,
nell'intera Val Masino, oltre a questo ed a quello più piccolo di Scermendone.
Dal lago sono ben visibili i passi di Primalpia e Talamucca (peraltro
visibilissimi anche da buona parte del piano della media Valtellina, nel
tratto da Sondrio ad Ardenno: basta alzare gli occhi verso nord ovest
per individuare le forme regolari della cima del Desenigo e, alla sua
destra, le due evidenti selle dei passi.
Si riprende a scendere, dunque, sul lato sinistro della valle, oltrepassando
le casere dell'alpe (che d'estate viene ancora caricata, come, del resto,
l'alpe Talamucca) e due laghetti minori. La traccia non è sempre evidente
e le segnalazioni non sovrabbondano, ma con un po' di attenzione non ci
si può perdere (diversa è però la situazione in caso di foschia molto
bassa, ma questa è un'insidia comune a quasi tutti gli itinerari escursionistici
oltre una certa quota). Lo scenario dell'alta valle è sempre molto suggestivo,
soprattutto nel suo lato sinistro, chiuso dalla costiera che la separa
dalla valle Merdarola. Se si dovesse perdere la traccia, molto labile
in questo tratto, si può prendere come punto di riferimento la più bassa
delle casere al di sopra del limite boschivo, ben visibile e posta a 1939
metri, a destra di un grande masso. Oltrepassata la casera, la discesa
diventa più ripida e la traccia più marcata. Dopo aver attraversato un
tratto di bosco, si raggiunge un nuovo ampio prato, passando molto a sinistra
di un'altra casera, per poi rientrare nel bosco e scendere alle baite
diroccate della Corte di Cevo (m. 1769).
La successiva discesa a Ceresolo (m. 1041) avviene in gran parte nel bosco,
il che, d'estate, permette di difendersi dalla calura, che non fa sconti
agli escursionisti affaticati. La bassa valle di Spluga diventa sempre
meno suggestiva ed offre molti segni che testimoniano gli effetti dell'abbandono
della montagna da parte dell'uomo. Salvo poi trovare altri segni che indicano
un ritorno di interesse economico: si sta, infatti, costruendo un bacino
artificiale per una piccola centrale idroelettrica.
L'ultimo tratto della discesa avviene su una mulattiera ben costruita,
che taglia la forra terminale della valle e raggiunge un ponte posto a
circa 700 metri. Vale la pena di oltrepassarlo, per raggiungere il vicino
paesino di Cevo e scambiare qualche impressione con la gente del posto,
scendendo poi, lungo la strada, alle cascate del Ponte del Baffo, spettacolo
che certo risentirà della costruzione dell'invaso.
Il sentiero Italia, però, non passa per il ponte, ma, poco prima che la
mulattiera lo raggiunga, se ne stacca sulla sinistra, compiendo una lunga
traversata dell'aspro e un po' desolato fianco montuoso occidentale della
bassa Val Masino. Qui la traccia è ben visibile e segnalata, ma in diversi
punti molto sporca: si tratta della sezione meno esaltante del sentiero,
che, oltretutto, impone anche l'attraversamento di un corpo franoso ed
una salita di oltre 150 metri. Superato un vallone, si raggiungono infine
le case di Cornolo, Ca' di Mei e Ca' dei Sandri, per poi calare su Cataeggio
(m.787) da sud ovest. Qui, o nella vicina Filorera (m.841, vedi immagine),
si può comodamente pernottare.
Questa
tappa comporta un dislivello complessivo, in salita, di circa 650 metri,
e tempi medi che si aggirano intorno alle 5-6 ore, sempre, ovviamente,
al netto delle soste. Consiglio però vivamente di prolungarla di un paio
d'ore, salendo, lungo la strada, al pianoro fra Filorera e San Martino
(m. 923), almeno fino alle prede, cioè ai grandi massi caduti, in qualche
mitico e remoto tempo di lotte fra giganti, dalla laterale valle di Preda.
La più grande di queste prede è la celeberrima Preda di Remenno, detta
anche Sasso Remenno (m.943),
che è anche il più grande monolito d'Europa ed una frequentatissima palestra
di roccia.
Se invece si è troppo stanchi, si potranno comunque osservare da Filorera
l'affilata cima del Cavalcorto, con a sinistra l'affilato e bizzarro "Cannone
di Cavalcorto", forse il simbolo più rappresentativo della Val Masino,
e, alla sua destra, gli eleganti Pizzi del Ferro, testata della valle
omonima (se qualche vostro amico sta percorrendo la terza
tappa del sentiero Roma, può darsi che stia passando proprio di là...).
Proseguiamo nel cammino con la presentazione della prossima tappa, la
quinta, da Cataeggio al rifugio alpe Granda. |
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 650 |
Tempo |
6 h |
5a Tappa - Da Cataeggio al rifugio Alpe Granda
Questa quinta tappa conduce dal centro, anche amministrativo,
della Val Masino, cioè Cataeggio, all'inizio del lungo crinale Granda-Scermendone,
che separa questa valle dalla media Valtellina. Un buon camminatore può
tuttavia, nella medesima giornata, percorrere tutto il crinale e fermarsi
al rifugio Scermendone,
o anche proseguire, scendendo al rifugio Marinella. Ma prendiamocela con
comodo...
Saliti a Filorera, dobbiamo imboccare la strada che conduce in valle di
Sasso Bisolo ed a Preda Rossa, seguendo le indicazioni per il rifugio
Ponti. Oltrepassato il Centro polifunzionale della montagna, si attraversa
su un ponte il torrente, osservando, a destra, l'antico ponte in pietra
che, per fortuna, è stato conservato a fianco di quello nuovo. Si sale
verso sinistra, imboccando poi un tornante destrorso. Alla fine del tornante,
invece di imboccare quello sinistrorso, si seguono le indicazioni (bandierine
e cartello con la sigla S.I.), che guidano su un sentiero che, dalla destra
idrografica della valle, si porta, sfruttando un ponte, sulla sinistra
(mentre la strada prosegue la sua salita a destra), percorrendone il fianco,
sempre in prossimità del torrente. Ci
si ritrova, alla fine, presso la grande frana di Valbiore (m.1234), dove
ci si ricongiunge con la strada.
Sul lato opposto della valle la montagna mostra il suo fianco ferito,
mentre sotto, spesso, fervono i lavori sui grandi massi di granito. A
questo punto dobbiamo per un tratto risalire la nuova strada sterrata
che sfrutta il lato opposto della valle rispetto alla precedente, sepolta
dalla frana. Dopo un primo tornante destrorso ed un secondo sinistrorso,
la lasciamo in corrispondenza di un evidente cartello che indica la partenza
del sentiero per l'alpe Granda e l'omonimo rifugio.
Prestando attenzione al terreno franoso sul ciglio della strada, imbocchiamo
il sentiero, che sale verso destra nel bosco, tracciando una lunga diagonale
che conduce alle baite Taiada, a 1492 metri. Dalle baite si gode di un'ottima
visuale su quelle medesime cime (la cima del Cavalcorto ed i Pizzi del
Ferro) che si sono potute ammirare da Filorera il giorno prima. A sinistra
della cima del Cavalcorto si possono scorgere anche le cime d'Averta,
il monte Porcellizzo ed uno scorcio della valle omonima, mentre a destra
fa capolino la punta di Zocca. Non
manca molto alla meta: l'alpe Granda, infatti, si raggiunge con un breve
supplemento di salita su un sentiero che parte dalla sommità del prato
delle baite e, salendo nel bosco, raggiunge l'alpe nella sua parte terminale,
cioè nord-orientale. Risalendo l'alpe fino al suo limite, si gode di un'ottima
visuale sulla cima del Desenigo, a sinistra, e sull'aspra costiera che
separa la Val Masino dalla valle Merdarola, a destra, con la cima di Cavislone
ed il monte Lobbia. A destra della cima del Desenigo si scorge il passo
di Primalpia, valicato anch'esso il giorno prima.
A questo punto, se non si hanno le gambe o il tempo per proseguire verso
Scermendone, si può percorrere il crinale dell'alpe in direzione sud-ovest,
superando la poco evidente Cima di Granda (m.1705) ed ammirando di nuovo
il superbo panorama che si para di fronte agli occhi in direzione della
Val Masino.
Il nuovo rifugio alpe Granda,
che, dall'autunno del 2003 sostituisce il precedente, danneggiato da due
incendi, si trova, nascosto da un gruppo di abeti, sul limite nord-orientale
dell'alpe, a circa 1680 metri di quota. Per raggiungerlo, possiamo prendere
come punto di riferimento uno dei due fontanoni che si trovano all'alpe,
quello più vicino al boscoso versante che culmina con il pizzo
Mercantelli. Qui si trovano anche alcuni cartelli: noi dobbiamo dirigerci
verso il limite del bosco, all'estremità di nord-est dell'alpe,
dove parte la pista che sale all'alpe Scermendone. Improvvisamente, ci
apparirà il bellissimo edificio, interamente in legno, del rifugio.
Supponendo
di essere partiti da Cataeggio, si è superato un dislivello di circa 920
metri. Il tempo medio necessario è di 3-4 ore.
Teniamo presente che, in caso di necessità, la discesa dall'alpe
a Buglio o ad Ardenno è agevole, in quanto questa è raggiunta
da una pista carrozzabile che sale dai prati di Erbolo (sopra Ardenno),
e che giunge a toccare anche la pista che da Buglio sale ai maggenghi
di Our di fondo e di cima (nel tratto compreso fra i due maggenghi).
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 920 |
Tempo |
4 h |
6a
Tappa - Dal rifugio alpe Granda al rifugio Marinella, a Prato Maslino.
Questa tappa del sentiero è senz'altro la più panoramica,
in quanto percorre interamente il lungo crinale Granda-Scermendone, che
offre una visuale superba sulla catena orobica e sulle cime della Val
Masino.
Tornando, dal rifugio Granda, al limite nord-orientale dell'alpe omonima,
imbocchiamo il sentiero segnalato che entra nel bosco, salendo verso nord-est
con una lunga diagonale e giungendo ad intercettare, in prossimità di
una croce di legno, una traccia che sale dall'alpe Verdel. Proseguiamo
fino ad incontrare due brevi tornanti, poco oltre i quali dobbiamo prestare
attenzione ad una traccia, non molto evidente alla sua partenza, che si
stacca sulla sinistra dal sentiero principale.
La traccia, dopo una serie di brevi tornanti, conduce al limite sud-occidentale
dell'alpe Scermendone, uscendo dal bosco in prossimità di una baita semidiroccata.
Alla nostra sinistra appare la cima q uotata
2127 metri, sulla quale possiamo facilmente salire dal fianco meridionale,
per ammirare un panorama di incomparabile bellezza. Dalla cima, infatti,
si domina non solo l'intero crinale che poi si dovrà percorrere, ma anche,
partendo da destra, il pizzo Bello, la val Terzana ed il passo di Scermendone
che la chiude, i Corni Bruciati, la valle di Preda Rossa ed il monte Disgrazia
che la sovrasta, con la sua mole regale.
Ma torniamo sui nostri passi e riprendiamo il sentiero: seguendo i segnavia,
raggiungiamo in breve la casera dell'alpe (m. 2103). Proseguiamo con calma,
gustando le molteplici prospettive del panorama, che in direzione della
Val Masino mostra la valle dell'Oro, con il pizzo Ligoncio in evidenza,
ed uno scorcio della valle Porcellizzo. Superati una baita ed un microlaghetto,
il sentiero aggira a destra un dosso e punta in direzione della chiesetta
di san Quirico (san C�res, m. 2131). La chiesetta è legata ad una devozione
molto antica ed è un'altra delle perle che il sentiero regala. Chi passasse
di qui la terza domenica di luglio troverebbe l'alpe costellata delle
tende degli escursionisti che qui convengono per celebrare la festa del
santo, nella quale la chiesetta viene aperta per la celebrazione della
S. Messa. Pochi metri oltre la chiesetta si trova il rifugio
Scermendone, ricavato nel 1999 da una baita riadattata, come punto
d'appoggio prezioso
sul sentiero Italia. Qui si può, infatti, pernottare liberamente (nella
parte cui si ha libero accesso, sempre aperta, ci sono quattro posti letto,
con la possibilità di ricavarne altri collocando brandine sul pavimento),
oppure ci si può riparare in caso di cattivo tempo (in caso di temporale
il rischio di essere colpiti da fulmini è, in questa zona, piuttosto elevato).
Il rifugio offre, quindi, la possibilità di articolare con una certa libertà
la cadenza delle tappe: si può scegliere, infatti, di effettuare un'unica
tappa da Cataeggio al rifugio, o dall'alpe Granda al rifugio, con la possibilità,
in questo secondo caso, di disporre del tempo necessario per scendere
facilmente all'alpe di Scermendone basso e di qui all'incantevole piana
di Preda Rossa, oppure per raggiungere il laghetto di Scermendone. Si
può anche scegliere un'interessante variante del sentiero Italia: nei
pressi del rifugio parte, infatti, un'evidente sentiero che percorre,
verso nord-est, tutta la val Terzana, oltrepassando il già citato laghetto
di Scermendone e salendo al passo omonimo, dal quale si scende in alta
val Caldenno, per poi attraversarla e raggiungere il passo omonimo, intercettando
il sentiero Italia che sale
dalla valle di Caldenno. Oppure, sempre dal rifugio, si può facilmente
risalire il crinale, che prosegue in direzione nord-est, conduce alla
Croce dell'Olmo e termina con la cima di Vignone, alla quale si sale facilmente
(m.2608). Dalla cima si può, poi, di nuovo scendere fino ad incontrare
un grande ometto che segnala un sentiero il quale, puntando verso est,
porta alle baite del Baric, in alta val Vignone, per raggiungere infine,
di qui, la parte bassa dell'alpe Vignone, dove si riprende il sentiero
Italia.
Se però si vuol rimanere sempre nel solco del sentiero vero e proprio,
si procede, dal rifugio, verso est, seguendo le segnalazioni ed ignorando
due tracce che si staccano l'una in salita, verso la Croce dell'Olmo,
l'altra in discesa, verso il dosso di Oligna. Numerosi e preziosi paletti
permettono di seguire una traccia che si mantiene per un buon tratto sulla
quota 2100, superando alcuni valloni che confluiscono nella valle della
Laresa. Questo è uno dei punti più delicati del sentiero, perchè la sua
traccia è poco evidente e, soprattutto, in diversi punti esposta e priva
di protezioni. Poi, finalmente, si cala in un bel bosco, raggiungendo
luoghi più tranquilli e scendendo alle baite
dell'alpe Vignone. Dal limite inferiore dell'alpe, poco sopra i 1800 metri,
parte una bella mulattiera che permette di scendere comodamente al prato
Maslino (m. 1650), dove una graziosa chiesetta sembra fronteggiare la
cima del Desenigo e gli ormai noti passi di Primalpia e Talamucca.
Il rifugio Marinella (m 1650), presso il limite sud-orientale del prato, permette di concludere
qui questa tappa, che comporta un dislivello in salita di circa 500 metri
ed un tempo complessivo che si aggira intorno alle 3-4 ore.
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 500 |
Tempo |
4 h |
7a
Tappa - Dal rifugio Marinella a Chiesa in Valmalenco
Siamo ormai all'ultima tappa, ma il sentiero Italia non
finisce di riservare sorprese e scorci di grande interesse e suggestione.
Ho già avuto modo di dire che, lungo questo sentiero, la montagna mostra
i suoi diversi aspetti, misteriosi, orridi, grandiosi, aperti, gentili.
Manca all'appello il fitto bosco di conifere, ma ora lo si incontra. Il
sentiero, infatti, riparte poco sotto un grande e ben visibile masso spaccato,
posto sul limite orientale del prato, per addentrasi in un bel bosco ed
attraversare il Dosso del Buono e la val Finale (vedi foto), mantenendosi
costantemente su una qu ota
compresa fra i 1650 ed i 1750 metri.
La traversata avviene, con qualche saliscendi, su una traccia tranquilla,
anche se in alcuni tratti un po' esposta: si può così gustare anche l'aspetto
più umbratile e raccolto della montagna. Alla fine si raggiunge la sommità
del prato Isio (m.1660 circa), in corrispondenza di una fontana (vedi
foto). Vale la pena di fermarsi per un po' qui a gustare l'ottimo panorama
orobico. Sul lato opposto del prato, quello orientale, si imbocca poi
una comoda carrozzabile che sale all'alpe Caldenno (m. 1811), dove diventa
un sentiero che risale la valle omonima. La traccia, non sempre evidente,
eagrave; segnalata da radi bolli giallo-rossi e si tiene sulla destra della valle
(per chi sale), risal endo
un gradino roccioso e raggiungendo l'alpe Palù, a 2099 metri. Percorso
il pianoro dell'alpe, sale verso sinistra ed intercetta il sentiero che,
scendendo dal passo di Scermendone, compie la traversata al passo di Caldenno.
Seguendo questo sentiero verso destra, si raggiunge facilmente questo
secondo passo, dove si ritrova, superbo e quasi a portata di mano, l'ormai
familiare profilo del monte Disgrazia. Siamo, qui, al punto più alto del
sentiero, cio&esgrave; a 2517 metri, ed il panorama che si apre è molto interessante
anche verso est, dove si scorge l'elegante profilo del pizzo Scalino,
che introduce all'inconfondibile atmosfera della Valmalenco.
La salita è terminata: inizia ora una lunga discesa in val Torreggio,
inizialmente v erso
est e poi verso nord est. Seguendo le segnalazioni, si raggiunge facilmente
il rifugio Bosio, posto
in un incantevole pianoro al centro della valle (m.2086), il cui sfondo
è dominato dai Corni Bruciati.
Qui la direttrice meridionale e quella settentrionale del sentiero Italia
(in gran parte coincidente con il sentiero
Roma), dopo essersi divise a Codera, si ricongiungono, in quanto converge
sul rifugio anche la traccia che scende dal passo di Corna Rossa. Il sentiero,
poi, prosegue seguendo buona parte dell'Alta Via della Valmalenco...
Ma questa è un'altra storia. E' giunto infatti il tempo di staccarsene
per scendere, sfruttando il versante sinistro idrografico della valle,
all'alpe Lago di Chiesa e di qui a Primolo ed a Chie sa
Valmalenco, ripensando ad immagini ed emozioni che lasciano un segno nell'anima.
Il dislivello complessivo in salita è, in quest'ultima tappa, di circa
900 metri, mentre il tempo necessario si aggira intorno alle 5-6 ore.
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Difficoltà |
E (escursionistica) |
Dislivello |
mt. 900 |
Tempo |
6 h |
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